Indipendenza e autonomia a rischio? La commissione parlamentare sentirà Bozzini e Tattarletti, ex e neo presidente del Tribunale d'appello. Gobbi replica
La settimana prossima toccherà ai giudici Damiano Bozzini e Giovan Maria Tattarletti. Non sono terminate le audizioni condotte dalla commissione parlamentare sulle questioni – risorse umane, logistica, rapporti con l’Amministrazione… – che stanno investendo il terzo potere in Ticino. Dopo aver ascoltato il 10 giugno il Consiglio della magistratura e stamane una delegazione del Consiglio di Stato, la ‘Giustizia e diritti’ capitanata dal deputato e presidente del Centro Fiorenzo Dadò intende sentire lunedì 24 l’ex e il neo presidente del Tribunale d’appello. Soprattutto dopo quanto scritto da Bozzini nella sua ultima, incandescente, relazione da responsabile della massima autorità giudiziaria del cantone. Da parte del Dipartimento istituzioni e della Divisione giustizia «non vi è nessuna ingerenza nelle nomine di competenza del Tribunale», quelle cioè di funzionari amministrativi e giuristi, assicurano il consigliere di Stato Norman Gobbi e la direttrice della Divisione giustizia Frida Andreotti, reduci dall’incontro con la ‘Giustizia e diritti’, cui ha preso parte anche il presidente del governo Christian Vitta.
Tuttavia la commissione vuole vederci chiaro e approfondire quello che Bozzini sostiene nel rendiconto 2023. “Senza peraltro disporre di una specifica base legale, la Divisione della giustizia (Dipartimento istituzioni, ndr) si ritiene in diritto di subordinare le decisioni sul personale a propri obiettivi o desideri, spesso in contrasto con quello del Tribunale, o, in alcuni casi, addirittura in violazione delle norme applicabili”. Cosa che secondo il giudice “comporta crescenti difficoltà, ritardi e un uso irrazionale delle risorse”. Considerazioni toste, pesanti. Che sottintendono una (presunta) violazione del principio della separazione dei poteri. Dichiara Fiorenzo Dadò: «Stamattina abbiamo raccolto la versione del Consiglio di Stato. Come commissione è nostra volontà avere un quadro completo della situazione, e per farlo ci sono ancora dei punti da chiarire». Uno su tutti: c’è appunto un’invasione di campo ad opera della Divisione giustizia, tale da minare l’indipendenza del terzo potere dello Stato, come asserisce il giudice Bozzini? «Per ora abbiamo due versioni discordanti: quello che scrive il già presidente del Tribunale d’appello e le risposte della direttrice della Divisione giustizia. Vogliamo capire – continua Dadò – se è una questione di incompatibilità caratteriale tra persone o se c’è un problema strutturale». Il coordinatore della ‘Giustizia e diritti’ però rassicura: «Ci sono delle problematiche ma ci sono anche tutti gli strumenti in un Paese come il nostro per poterle affrontare e risolvere».
Intanto Gobbi e Andreotti rimandano le accuse al mittente, ossia a Bozzini. «L’indipendenza del Tribunale d’appello, e di tutti gli altri organi giudiziari, è garantita», sottolinea il capo del Dipartimento istituzioni avvicinato dai giornalisti alla fine dell’audizione in commissione. Nella scelta e nel reclutamento del personale amministrativo e dei funzionari, aggiunge Gobbi, «il Tribunale è autonomo». Tribunale d’appello, Ministero pubblico e le altre magistrature permanenti sono del resto riconosciute dalla Lord, la Legge sull’ordinamento degli impiegati dello Stato e dei docenti, autorità di nomina “per i propri dipendenti”. Che non sono i magistrati: procuratori e giudici vengono infatti eletti dal Gran Consiglio. Ma l’autonomia della quale gode la magistratura ai sensi della Lord, «non è assoluta», riprende Gobbi: «Non ha l’autonomia di fare quello che vuole. Per esempio per ciò che concerne gli scatti salariali. Altrimenti si creano in seno all’Amministrazione cantonale dei mondi paralleli dove i funzionari amministrativi che lavorano in magistratura soggiacciono a regole diverse da quelle previste per i loro colleghi attivi negli altri settori dello Stato, con conseguente disparità di trattamento”.
Nell’incontro tra commissione parlamentare e Consiglio di Stato non si è discusso solo dei contenuti del rendiconto redatto dal già presidente del Tribunale d’appello. Un altro grosso tema sul tavolo della politica – con governo e Gran Consiglio chiamati a garantire le condizioni operative necessarie a un’azione incisiva della magistratura penale, civile e amministrativa – sono le risorse umane. «Al momento – osserva Gobbi – sono state formalizzate dalla magistratura all’attenzione del Dipartimento tre richieste di potenziamento»: un segretario giudiziario giurista e un paio di funzionari amministrativi per il Ministero pubblico, un pretore aggiunto per la Pretura penale, vicecancellieri per la Carp, la Corte di appello e revisione penale. «Bisogna comunque che i tre poteri – giudiziario, legislativo ed esecutivo – lavorino insieme – rileva il direttore del Dipartimento istituzioni –. Ed è ciò che verrà fatto con il gruppo di lavoro che dovrà occuparsi del Ministero pubblico, per quel che riguarda alcuni aspetti organizzativi e il tema delle risorse. Questo gruppo affronterà tutta una serie di atti parlamentari pendenti». Verrà costituito dal Dipartimento e sarà coordinato «dal Consiglio della magistratura d’intesa con il procuratore generale», precisa la responsabile della Divisione giustizia, Andreotti.
«Del gruppo di lavoro del quale ci ha riferito il Dipartimento parleremo sicuramente – indica Cristina Maderni (Plr), alla testa, in seno alla ‘Giustizia e diritti’, della sottocommissione ‘Ministero pubblico’ –. Se questo consesso finisce per allungare i tempi, come avviene con alcuni gruppi di lavoro, forse non ci siamo… Tant’è che durante l’audizione ho chiesto al Dipartimento istituzioni delle tempistiche circa i suoi progetti in materia di giustizia. Come commissione faremo ad ogni modo la nostra parte cercando per esempio di evadere a breve-medio termine l’iniziativa che propone la reintroduzione della figura del sostituto procuratore pubblico». Iniziativa depositata qualche anno fa dall’allora deputato Giorgio Galusero a nome del Plr.
Dalla Divisione giustizia è stata annunciata appunto l’intenzione di compiere una serie di passi per riorganizzare la giustizia e potenziare alcuni settori. «Ben venga – dice il presidente della commissione Dadò –. Si tratta però di cose già dette diverse volte, noi pensiamo che dopo anni di gruppi di lavoro sia arrivata anche l’ora di arrivare a qualche fatto concreto». Obiettivo della ‘Giustizia e diritti’ «è di dare degli input. Prima però, come detto, abbiamo bisogno di un quadro completo e poi di stilare una lista delle priorità. L’idea – prosegue il coordinatore della commissione – è di arrivare in autunno con un quadro generale e con quelli che secondo noi sono i temi da trattare con più urgenza».
Al centro dell’incontro ci sono state anche le dichiarazioni di Gobbi subito dopo il secco no popolare all'acquisto dello stabile Efg, primo step della (fu) ‘Cittadella della giustizia’. Dadò: «Mi sembra di poter dire che le reazioni del consigliere di Stato, magari dettate anche da un momento di scoramento, siano un po’ rientrate. Non c’è nessuna intenzione da parte del Dipartimento di bloccare gli investimenti nella giustizia o di non affrontare i temi sul tavolo, compresi quelli logistici. Da questo punto di vista siamo confortati».
E a proposito di logistica, c’è ad esempio la Corte di appello e di revisione penale che deve fare i conti anche con la mancanza di un’aula per le udienze. «Il tetto all’ex Croydor di Giubiasco è ora risanato. Nel contempo – prosegue Gobbi – stiamo discutendo con alcuni Comuni per avere anche il loro supporto: se chiedono la presenza sul territorio di autorità giudiziarie, dovrebbero, secondo me, mettere a disposizione delle risorse logistiche. D’altronde se il Cantone deve pagare gli affitti, avrà meno soldi da destinare al personale» del settore giustizia.
Particolarmente duro il commento generale del democentrista Pierluigi Pasi, anch’egli nella commissione ‘Giustizia e diritti’. «È una situazione critica e sono preoccupato: lavoro da decenni nella giustizia, in passato anche come magistrato sia per la giustizia cantonale sia per quella federale, ma una situazione come questa credo di non averla mai vista – commenta Pasi, avvocato ed ex procuratore federale –. Sono solidale con i magistrati e con chi lavora nella giustizia, che ne fanno le spese pur non avendone alcuna responsabilità. Assistiamo a un tutti contro tutti, a un’escalation che per finire delegittima tutti e tre i poteri dello Stato. Occorre dare risposte concrete e globali al popolo ticinese, non solo modifiche qua e là. La prima è trovare una regia legittimata, che a leggere fra le righe il rapporto del Consiglio della magistratura e quello del Tribunale d’appello non sembra più esserci. Occorre riprendere il bandolo della matassa. Il problema è sistemico e grandi cambiamenti ci attendono con la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale. Stop quindi a proposte di modifica qua e là del sistema giudiziario». Per Pasi, servono insomma una visione d’insieme e un intervento riformatore a trecentosessanta gradi.
«Dopo le audizioni – nota a sua volta il granconsigliere dei Verdi Marco Noi – bisognerà arrivare a una sintesi e stabilire delle priorità. In merito alle risorse umane, beh ricordo che sulla polizia cantonale si è investito parecchio in questo senso, nella magistratura invece meno. Occorrerà un riequilibrio» per rimuovere ed evitare colli di bottiglia nella catena penale. «Sarà importante per la commissione ‘Giustizia e diritti’ capire quali sono le sue possibilità, i suoi margini di azione», avverte Ivo Durisch, capogruppo del Ps: «I prossimi mesi ci permetteranno di capire se, e in che misura, abbiamo una competenza nell’organizzazione e nelle risorse».
A proposito di magistratura e logistica, c’è un’iniziativa parlamentare appena inoltrata con cui i due deputati del Movimento per il socialismo Matteo Pronzini e Giuseppe Sergi propongono di cancellare dalla Legge sull’organizzazione giudiziaria qualsiasi riferimento geografico all’ubicazione della sede di questa o quella autorità giudiziaria. “Le cittadine e i cittadini di Lugano – scrivono Sergi e Pronzini – hanno detto, forte e chiaro, che a loro non interessa poi un granché che la futura sede delle istituzioni giudiziarie si trovi a Lugano: non si spiega altrimenti il fatto che il 53% dei votanti abbia detto no” all’acquisto dello stabile Efg. “A noi sembra che oggi il Ticino offra molte possibilità per trovare una soluzione adeguata alle istituzioni giudiziarie. Lo sviluppo del Ticino (quanti discorsi sentiamo sulla città-Cantone!) e dei collegamenti pubblici dovrebbero permettere la ricerca di una soluzione adeguata, liberando questa ricerca da condizionamenti come quelli inseriti nella legge sull’organizzazione giudiziaria”.
Sullo sfondo dell’audizione dell’Esecutivo in commissione, una decina di domande. Quelle inviate per iscritto martedì scorso dalla ‘Giustizia e diritti’ al governo in vista dell’incontro odierno. Domande alle quali il Consiglio di Stato risponderà nero su bianco prossimamente. A quel punto sul futuro della giustizia in Ticino se ne saprà di più. Forse.