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‘Io e Norman Gobbi? Mica dobbiamo cenare insieme’

Parla Fiorenzo Dadò, neopresidente della commissione parlamentare ‘Giustizia’: confido in un dialogo costruttivo tra noi e il Dipartimento istituzioni

Dadò (Centro), 53 anni, deputato al Gran Consiglio dal 2006
(Ti-Press)
16 maggio 2024
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«La situazione venutasi a creare al Tribunale penale cantonale è molto preoccupante. Episodi di mobbing presunti o veri e giudici che si segnalano reciprocamente alle competenti autorità sono sintomi di un grave disagio all’interno di un settore della magistratura giudicante dove equilibrio e serenità di coloro che con le proprie sentenze decidono del destino di persone imputate o vittime di reati devono essere assolutamente garantiti. Nell’esercizio dell’alta vigilanza sulle autorità giudiziarie, competenza attribuitaci dall’articolo 23 della Legge sul Gran Consiglio, la nostra commissione si sta attivando per vederci chiaro. Abbiamo già fissato un incontro con il Consiglio della magistratura e con il Consiglio di Stato. Come cittadini e come politici non possiamo permetterci di veder vacillare il potere giudiziario, nel cui operato dobbiamo invece poter riporre la massima fiducia, se teniamo al corretto funzionamento della democrazia e dello stato di diritto. Il caso Tpc va pertanto acclarato in tempi rapidi e altrettanto rapidamente vanno trovate, se necessario, le soluzioni adeguate». Com’è nel suo stile, Fiorenzo Dadò parte in quarta. Cinquantatré anni, dal 2006 in Gran Consiglio, Il deputato e presidente del Centro è il nuovo coordinatore della commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’.

Dadò, dal caso Tribunale penale cantonale non emerge anche un’altra questione, quella della rotazione delle cariche a livello di vertice? Ci sono in seno al Tribunale d’appello ticinese, di cui il Tpc fa parte, Camere e Sezioni dove le presidenze sono longeve, piuttosto longeve, quando nelle autorità giudiziarie di altri Cantoni e nei tribunali federali le stesse non sono eterne e la loro durata, limitata nel tempo, è disciplinata sul piano normativo.

Il tema si pone e andrà senz’altro affrontato dalla commissione. In democrazia la rotazione delle cariche è un principio sacrosanto per scongiurare accentramenti di potere e relative derive.

Il principale interlocutore governativo della commissione ‘Giustizia e diritti’ è il Dipartimento istituzioni. Lei è autore dell’interpellanza sull’incidente autostradale che ha coinvolto il capo del Dipartimento, il leghista Norman Gobbi. L’atto parlamentare ha innescato polemiche politiche e un procedimento penale, per le ipotesi di abuso di autorità e favoreggiamento, che vede attualmente imputati tre agenti della Polizia cantonale. I rapporti non idilliaci tra lei e Gobbi potrebbero condizionare la trattazione di determinati dossier in ‘Giustizia e diritti’ della quale ha assunto la presidenza?

Non vedo perché dovrebbero condizionare il lavoro commissionale. Ribadisco quanto ho scritto nell’interpellanza: è dovere di un deputato chiedere chiarimenti su fatti nebulosi, soprattutto quando sono in ballo organi dello Stato. Vanno sollecitati chiarimenti e spiegazioni a tutela delle istituzioni. Il cittadino pretende giustamente trasparenza dai politici, a prescindere dalle persone e dai ruoli che ricoprono. Qui di trasparenza non ce n’è stata. Ora, tornando alla domanda, io e Gobbi non dobbiamo né cenare né andare in vacanza insieme. In commissione, poi, non ci sono solo io: è composta di diciassette deputati, in rappresentanza di più partiti. Il compito che spetta al sottoscritto e al consigliere di Stato è unicamente quello di adoperarsi affinché tra la commissione e il Dipartimento istituzioni vi sia un dialogo costruttivo. Del resto i dossier sui banchi della ‘Giustizia e diritti’ non sono pochi e alcuni sono particolarmente impegnativi.

Infatti. Tra questi: parte del progetto di riforma delle autorità di protezione, la prospettata revisione totale della Legge sulla polizia e le proposte di modifica del vigente sistema di elezione dei magistrati. Dossier da tempo in ‘Giustizia e diritti’. A quale dare la priorità?

Mi preme anzitutto precisare che se questi temi sono da tempo sotto la lente della commissione non è solo perché siamo parlamentari di milizia, ma anche perché sono complessi e delicati e sui quali è politicamente auspicabile la più ampia convergenza possibile. Non si tratta di decidere sullo stanziamento di un credito per il rifacimento di un marciapiede. Parliamo di progetti che interessano tutti i cittadini di questo cantone e che di conseguenza necessitano di un largo sostegno dei partiti. La riforma delle autorità di protezione è sicuramente una priorità. Il popolo ha già approvato il nuovo principio, ancorando alla Costituzione ticinese il modello giudiziario. Tocca ora a governo e parlamento concretizzare il passaggio dalle Autorità regionali di protezione alle Preture di protezione, e dunque alla ‘cantonalizzazione’ del sistema. Sono ancora da definire le norme procedurali e degli aspetti legati al finanziamento della riforma. Mi auguro che si possa implementare la nuova organizzazione al più presto in un settore, quello delle tutele e delle curatele, che temo sarà sempre più sollecitato. Riguardo alla riforma della Legge sulla polizia, il progetto è al vaglio di una nostra sottocommissione. Anche questo è un dossier molto delicato, che richiede approfondimenti.

Senza dimenticare, a proposito di oggetti pendenti in commissione, l’iniziativa parlamentare depositata nel dicembre 2020 dall’allora deputato socialista Raoul Ghisletta, e sottoscritta pure da deputati di altri partiti, Ppd/Centro compreso, per l’introduzione di una polizia unica in Ticino: la Polizia cantonale. Che cosa pensa della proposta?

In passato ero idealmente favorevole, oggi invece sono eufemisticamente scettico sulla costituzione di un solo corpo di polizia, derivante dalla fusione tra la Polizia cantonale e le polizie comunali. Alla luce di alcuni fatti, considero altamente problematico dar vita a una sorta di esercito: un migliaio di agenti sotto un unico Comando e con un unico referente politico, cioè il direttore di turno del Dipartimento istituzioni. Inoltre è di questi giorni una notizia tutt’altro che trascurabile.

Quale?

Alludo all’inchiesta penale sulla parziale demolizione dell’ex Macello a Lugano. In particolare mi riferisco alla decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi di levare i sigilli a documentazione della Polizia cantonale, consentendo quindi al procuratore generale di accedere a delle carte che aveva chiesto e che le forze dell’ordine volevano tenere segrete. Auspico che la decisione del gpc venga resa pubblica, dato l’interesse istituzionale su una vicenda, quella appunto dell’abbattimento dell’ex Macello, che ha fatto scorrere fiumi di parole e che ancora non è stata chiarita sul piano penale. È importante conoscere i motivi per i quali la Polizia cantonale opponeva il segreto al Ministero pubblico, l’autorità giudiziaria con la quale oltretutto è tenuta a collaborare per lo svolgimento di varie indagini, e i motivi per cui il gpc ha disposto la levata dei sigilli.

Dal tormentone polizia unica a un altro: l’elezione dei magistrati. Si riuscirà a trovare la quadratura del cerchio?

Un sistema ottimale di reclutamento dei magistrati inquirenti e giudicanti non esiste, altrimenti lo avremmo già adottato. Ovviamente questo non significa che quello attuale non abbia bisogno di correttivi.

Per esempio togliendo la competenza di nomina al Gran Consiglio?

Credo che l’elezione di procuratori e giudici debba rimanere un compito del parlamento. Parliamo di figure istituzionali che devono godere di una forte legittimazione e questa legittimazione la conferisce o direttamente il popolo oppure i suoi rappresentanti, vale a dire i deputati. Ciò detto, quello che ritengo vada assolutamente migliorato è la fase precedente alla nomina: la selezione degli aspiranti magistrati. Quand’ero capogruppo in Gran Consiglio avevo proposto, invano, all’Ufficio presidenziale del parlamento l’introduzione degli assessment. Non ho cambiato idea. Occorrerebbe inoltre rendere obbligatoria la frequentazione di una scuola o di corsi, che in Svizzera non mancano, per futuri magistrati prima di concorrere a un posto di procuratore o di giudice. Insomma il Gran Consiglio deve poter scegliere fra candidati la cui preparazione scientifica sia certificata da un diploma e le cui attitudini, carattere incluso, siano state oggetto di una valutazione da parte di specialisti. Ad ogni modo come commissione stiamo facendo le nostre riflessioni, guardando anche a come vengono reclutati i magistrati negli altri cantoni.

Restando in tema, in commissione è pendente anche l’iniziativa parlamentare inoltrata nel 2021 per il gruppo Plr dall’ex pp Marco Bertoli, all’epoca deputato, che propone di far eleggere dal Gran Consiglio soltanto la Direzione del Ministero pubblico, ovvero procuratore generale e “quattro” aggiunti. Alla Direzione il compito di nominare tutti gli altri procuratori.

È una proposta che personalmente non mi convince. Vogliamo differenziare le strade di accesso alla magistratura? Con il Gran Consiglio che eleggerebbe i giudici ma non i procuratori e così i primi godrebbero di una forte legittimazione, mentre i secondi sarebbero di fatto dei funzionari in quanto scelti dalla Direzione di un ufficio giudiziario? Non solo. Visto anche quello che sta succedendo di questi tempi, quanto a rapporti tra giudici e interferenze esterne nelle nomine, dubito fortemente che sia più efficace e garanzia di indipendenza una Procura che si autonomina.

Altro argomento: le risorse umane nella magistratura ticinese. Considerate un po’ da tutti numericamente insufficienti.

Indubbiamente. Ma ciò è anche il risultato della politica portata avanti in tutti questi anni da Gobbi in ambito giudiziario: ha aumentato a dismisura gli agenti di polizia negli uffici, ma non ha adeguato il numero dei magistrati penali. Dimenticandosi che con più procuratori e giudici avremmo anche, per quanto attiene soprattutto alle inchieste su reati finanziari, più sequestri e confische a favore dello Stato. Purtroppo come parlamento ci manca una visione di insieme che ci permetta di conoscere l’esatto fabbisogno della magistratura in termini di risorse umane. Sarebbe allora opportuno che almeno il Consiglio della magistratura, visto che il Dipartimento non l’ha mai fatto, dica alla politica di quante risorse – tra magistrati, cancellieri, segretari giudiziari e funzionari amministrativi – necessita ogni singolo settore del potere giudiziario. Di sicuro il tema delle risorse umane e dell’organizzazione in magistratura è oggi prioritario per il funzionamento della giustizia rispetto all’acquisto di stabili per i giudici.

I fautori dell’acquisizione dello stabile Efg a Lugano, perno della prospettata ‘Cittadella della giustizia’, reputano indispensabile l’investimento per dare dignità logistica alla giustizia…

Belle parole, in astratto condivisibili, se solo avessimo i soldi. Anche lo Stato dovrebbe imparare a fare i conti con l’oste e agire secondo delle priorità, perché fare tutto non è finanziariamente sostenibile in un momento in cui per far quadrare i conti si taglia persino sul sociale e nella scuola. Tra l’acquisto del citato stabile e la ristrutturazione di altri contigui edifici, la cosiddetta Cittadella della giustizia verrebbe a costare ai contribuenti oltre duecentocinquanta milioni di franchi. Senza peraltro aggiungere un solo giudice o procuratore alle autorità giudiziarie oggi in affanno. Oltre a ciò, è lecito avere qualche dubbio anche sull’opportunità di mettere sotto lo stesso tetto, quello dell’edificio Efg, la Corte d’appello penale e il Tribunale penale cantonale, ossia la seconda e la prima istanza. Basta un bar o un ristorante all’interno dello stabile per tenerle separate? Ma per piacere.