Il presidente cantonale: ‘Sì a un secondo mandato. Finanze sane, ma senza pallottoliere. Dal governo più leadership’. E sul politicamente corretto...
«Sono motivato a continuare come presidente, e a servire il partito. Ho promesso di avere le energie per andare oltre a una semplice presidenza di legislatura quadriennale, dedicandomi per due mandati. Questa promessa la mantengo, perché energie, idee e motivazioni non mancano. Il triplo appuntamento elettorale, ma non solo, ha permesso di rilevare tutti gli aspetti da migliorare, e siamo già al lavoro da tempo per continuare a cambiare e innovare il nostro partito». Manca ancora molto al congresso del Plr, previsto per febbraio 2025, ma il suo presidente Alessandro Speziali rompe gli indugi e in un lungo colloquio con ‘laRegione’ parla a tutto campo di dove vuol portare i liberali radicali, in che modo e, soprattutto, capendo cosa non ha funzionato. Perché non è stata una presidenza solo di rose e fiori, finora.
Certo, la pandemia, la guerra tornata in Europa, l’inflazione, il potere d’acquisto in crisi. Ma anche questioni più di partito, come la non elezione di Alex Farinelli al Consiglio degli Stati, o le due poltrone perse in Gran Consiglio. «Ma è un Plr che sta tornando tonico», sottolinea Speziali: «A livello nazionale l’Fdp ha capito, finalmente, che occorre essere più trasversali, interclassisti e capaci di parlare di temi più concreti e quotidiani come la scuola, assente dai radar del partito nazionale, o essere più attenti alle Pmi rispetto che solo ai grandi centri economici».
A livello cantonale invece?
Stiamo facendo tesoro di tutti i problemi emersi, sia al nostro interno sia nell’attualità politica. A livello sezionale stiamo facendo un gran lavoro sul territorio e i risultati, le ultime Elezioni comunali lo attestano, stanno arrivando. Coltiviamo di più il rapporto con i nostri iscritti, ma anche con ogni cittadino che si affaccia magari distrattamente alla politica. Tutto questo ci permette di profilarci meglio e scegliere anche temi più ‘pop’, che toccano il quotidiano e il percepito di ognuno. Non solo orizzonte e condizioni quadro, ma concretezza e attualità. Rimamendo un partito il più universalista possibile, al nostro interno abbiamo competenze in ogni ramo che giustamente desiderano vedere il partito esprimersi in quel determinato ambito. Se diventassimo monotematici saremmo comunicativamente più riconoscibili, lo concedo, ma sarebbe davvero pagante alla lunga?
Non si cade nel rischio demagogia?
È un tasto dolente. Molti sono ancora convinti che cifre e fatti bastino da soli, che ‘bisogna solo spiegarlo alla gente, lo capirà’. Non è più così, siamo nell’epoca della postverità e fatichiamo ad ammetterlo. La famosa responsabilità, nostro marchio di fabbrica, deve spingerci a trovare nuove vie per spiegare la realtà, o permettere di interpretarla con i valori della libertà. Sono però convinto che se diventassimo demagogici saremmo goffi, e perderemmo chi non concepisce questo modo di fare politica. Soprattutto, coloro che vogliono consegnare alle prossime generazioni un Cantone migliore.
Cosa non ha funzionato invece secondo lei, tra arretramento in Gran Consiglio e una perdita di smalto generale alle elezioni?
Le elezioni sono sempre più ‘stagionali’, legate a temi e votazioni contingenti, dove occorre essere presenti, da subito, in maniera chiara. Occorre non solo avere intuito, ma anche essere agili nel decidere una posizione e difenderla: un compito non semplice in un partito pluralista e dalle diverse sensibilità. La sintesi non è sempre possibile, e spesso non nei tempi dettati dai media. Certo, l’elettore vuole profilo, però si arrabbia se non corrisponde al suo. Si tratta dunque di lavorare di più e meglio sulla capacità di comunicare e convincere della posizione liberale radicale che abbiamo sui temi, trovando ispirazione nel programma di partito dal profilo chiaro, che era stato condiviso da tutti. E questo, senza però soffocare il dibattito interno. Per noi, un esercizio eterno, ma che riusciremo a fare.
Sembra già una relazione congressuale. È quindi davvero pronto a ricandidarsi? Dopo le Cantonali e le Federali c’era più di qualche mugugno nei corridoi del suo partito...
Sì, come detto sono pronto e pieno di motivazione. Soprattutto ripartendo dalle cose che non hanno funzionato, e cambiando impostazione: voglio un Plr molto più profilato sui temi, più coraggioso e più a petto in fuori. È un marchio che ho già provato a imprimere, ma che dobbiamo migliorare. Sono stato eletto durante la pandemia, e poco dopo abbiamo messo fuori la faccia per le riaperture e denunciando i danni incalcolabili che le chiusure hanno avuto sui giovani e sulla salute mentale. Lo abbiamo fatto sui livelli alla scuola media, sulla riforma fiscale, sulla mobilità a sud del Ticino, sulla perequazione federale e sulla sostenibilità ambientale. E ancora: sullo sciopero di alcuni funzionari, sul nostro no a un ‘Decreto Morisoli bis’ e sull’uso spropositato del politicamente corretto. Su questi aspetti, e anche altri in futuro, dovremo essere pronti a essere un po’ meno filogovernativi e un po’ più coraggiosi.
D’accordo, ma come la mettiamo con le finanze? Siete da sempre il partito dei conti in ordine, e a volte sembrate un po’ schiacciati sul vostro consigliere di Stato, il direttore del Dfe Christian Vitta.
Sì, qui è dove siamo più vicini al governo. È vero, è nel Dna del partito. È chiaro, però, che questo comportamento riduce il margine di creatività o di smarcamento. Margine di cui abbiamo bisogno.
È per questo che ha già annunciato che non ci sarà un sostegno liberale radicale al ‘Decreto Morisoli bis’, vale a dire il prolungarlo al 2027?
Sono convinto che uno Stato moderno, che spende bene e meglio, è l’obiettivo di ogni nostro programma, tatuato in maniera indelebile nella nostra azione politica. Questo decreto era un accordo politico nato in un determinato contesto, e ne rivendichiamo ancora i suoi principi: no all’aumento delle imposte, contenimento della spesa e riformare alcuni settori per non colpire i più deboli. In questa fase, però, occorre andare oltre. Altrimenti, rimarremmo incastrati nel dibattito sul decreto in sé, e sul suo nome. Andiamo oltre, facciamolo con ogni Preventivo e Consuntivo che ci arriverà per rendere il Ticino capace di spendere e investire. E dal governo vogliamo più visioni, riforme, leadership.
Le votazioni del 9 giugno su riforma fiscale, stabile Efg e misure di compensazione per gli affiliati dell’Ipct saranno uno spartiacque per la politica dei prossimi anni. Quali sono i vostri calcoli?
Elettorali dice? Nessuno. Profilarsi vuol dire anche essere un punto di riferimento, e noi vogliamo riformare il fisco affinché si eviti un aumento di imposte e si attirino persone che portano risorse a Comuni e Cantone. Vogliamo investire nella giustizia, che tra le altre cose ha bisogno anche di spazi per svolgere bene il proprio lavoro. Siamo per salvaguardare le pensioni di migliaia e migliaia di persone che si dedicano al settore pubblico, tra cui infermieri, personale delle case anziani, docenti... Riformare lo Stato non significa penalizzare i funzionari. No, non abbiamo fatto alcun calcolo elettorale perché fare politica con l’indice bagnato per capire dove tira il vento non è un progetto a lungo termine. Non sono qui per questo, sui tre temi in votazione come molti altri.
Per esempio?
Segnaliamo da tempo come il Ticino abbia un gran potenziale nel campo della medicina: e si sa, occorre concentrare i casi per formare al meglio il nostro personale medico. Pretendere o pianificare un ospedale ogni 15 km e possibilmente dotato di ogni specializzazione è coerente? Anche se pensiamo ai costi? La risposta è no. Enne-o. E allora ci vuole un po’ di coraggio per rompere questi regionalismi che, a dire il vero, non è cosi difficile sbriciolare: perché alla fine quando si parla a quattrocchi con il cittadino, spesso è consapevole e preferisce di gran lunga una medicina di qualità, affidabile. Non scegliendo più il treno per Zurigo.
Le finanze però passano dai Preventivi e dai Consuntivi, come ha detto prima. L’ultima volta il Gran Consiglio non ha offerto un grande spettacolo, e il suo partito, finito un po’ in mezzo, lo ha votato quasi obtorto collo facendo una magra figura.
Già questo mese ci incontreremo come gruppo parlamentare, ma non con il pallottoliere in mano. Semmai, con chiari in mente i settori che devono essere trainanti e quelli che devono essere riformati e analizzati. Agire sulla spesa, deve portarci ad agire sulle entrate: non alzando le tasse, bensì facendo correre le nostre aziende che generano gettito e indotto. Il Plr è il partito della crescita, ma deve essere anche realista e pensare di più ai salari.
In che senso? Di solito è la sinistra a premere molto sulla questione dei salari, sconfessata poi nelle tesi e nelle interpretazioni dalle associazioni padronali.
Il nostro Paese ha un tasso di disoccupazione molto basso e invidiato. Più che creare posti di lavoro in sé, dobbiamo puntare sulla qualità di questi posti di lavoro, tra cui le condizioni e i salari. Questo significa potere d’acquisto, potere d’acquisto, prospettiva, fiducia, futuro. E sono sicuro che la maggior parte delle aziende sia della partita.
Compagno Speziali?
(Ride, ndr). No, uno Speziali attento al fatto che le persone possano sognare, vivere, guadagnare e realizzarsi in Ticino.
Però non si vive di sola economia. Il Plr lo sta capendo? Sulle questioni di società tra cancel culture, gender e politicamente corretto serve più coraggio o più ascolto?
Guardi, di certo il coraggio non ci manca. Siamo profondamente liberali, e proprio per questo siamo liberi di criticare alcune evoluzioni, o meglio, involuzioni socioculturali in cui stiamo annegando. Uniamo i puntini: teorie gender, cancel culture, turbo ecologismo, il movimento ‘woke’... questo, mi perdoni, è tutto tranne che un disegno liberale. Un partito laico è attento al ruolo delle religioni, ecco, mi pare che questo vento culturale assomigli parecchio a una professione di fede, che entra ovunque, anche nelle scuole. L’esercizio che portiamo avanti, così come fanno altri ambienti autenticamente liberali come la Neue Zürcher Zeitung, filosofi e professori, è di essere consapevoli e ricordare che questo mainstream imperante non è ineluttabile, e che il politicamente corretto spesso è scientificamente scorretto e ideologicamente schierato.
Nell’ultimo editoriale di ‘Lib-’ lei ha scritto di ‘sharia arcobaleno’, tirandosi dietro degli strali. Col senno di poi, è stata un’esagerazione?
No, era un’immagine forte per segnalare come il pensiero contrario sia sempre più bandito, si veda per esempio la fine di molti intellettuali e professori in alcune università. O come alcune cose le diciamo solo sottovoce. L’etichetta di retrogrado, conservatore, illiberale e ovviamente fascista è sempre lì, con la colla che luccica.
Ma è sicuro di questo approccio? È pagante in Svizzera?
Io so che ogni volta che parliamo senza tabù e senza peli sulla lingua sento molte reazioni positive e tanti ‘a san po' pü’, anche a sinistra. Evidentemente non è la sola battaglia culturale, ce n’è un’altra quasi più ostica soprattutto in Ticino, quella dei diritti e doveri.
Cavallo di battaglia pericolosetto... soprattutto per il cosiddetto partito della responsabilità.
Sì. Oggi è elettoralmente pagante vendere diritti, pretese, bisogni da esaudire possibilmente subito, possibilmente gratis. È il contrario della frugalità del nostro Paese, e stiamo scivolando sempre più verso una cultura politica molto diversa da quella che abbiamo conosciuto.
Da un lato dice che serve smarcarsi e avere più coraggio, dall’altro che occorre richiamare ai doveri e alla responsabilità. Come si coniugano questi due atteggiamenti?
Con un Plr aperto al futuro, al fare e all’investire. Senza coltivare i ‘no’, la polemica e la rivendicazione piagnucolante. Dall’ospedale universitario a una nuova scuola media, passando da professioni che abbiano, come detto, salari giusti e interessanti, e una transizione energetica senza ideologia e gente che si incolla per le strade. Dobbiamo schierarci, con rigore, per riforme, progetti, crescita e l’osare. La responsabilità non è un cappio al collo, ma fare il passo secondo la gamba e investire per far diventare un franco due, tre, quattro, cinque, dieci. Anche quando i tempi sono difficili, altrimenti, come direbbe Giuseppe Buffi, ‘troppo facile amico’.