Il fronte del no alle misure di compensazione per le rendite pensionistiche: ‘Necessario fare tabula rasa della governance del peggiore istituto svizzero’
«Dire ‘no’ a questo credito significa tutelare i contribuenti da un inutile sperpero di denaro per rianimare un paziente già morto». Il fronte dei contrari alle misure di compensazione per le rendite pensionistiche versate dall’Ipct, l’Istituto di previdenza del Canton Ticino, non usa mezzi termini. Non poche le ragioni, presentate stamane a Lugano, contro «il credito annuo ricorrente di 21 milioni di franchi all’Ipct».
«Negli anni ‘90 – ha ricordato in apertura il consigliere nazionale leghista e municipale di Lugano Lorenzo Quadri – l’allora direttore del Dipartimento finanze ed economia Dick Marty aveva definito la cassa pensioni dello Stato la ‘Rolls-Royce delle casse pensioni’. Ora, il problema è che per decenni si è andati avanti come se si stesse guidando un’auto di lusso, quando invece forse sarebbe stato meglio optare per una Toyota». E rincara la dose: «L’Ipct è il peggiore istituto pensionistico della Svizzera. Ciononostante, fino all’anno scorso, il suo tasso di conversione era ancora del 6,17%, quando secondo i parametri attuariali sarebbe dovuto essere del 4,86%. Tuttavia, se da un lato si è deciso di diminuire questo tasso al 6,05%, dall’altro la media delle casse cantonali è del 5,27%. È manifesto che l’Ipct stia vivendo al di sopra delle proprie possibilità. Il suo tasso di copertura è infatti il più basso rispetto a tutte le altre casse cantonali». Non solo. «L’Ipct – affonda Quadri – ha un disavanzo di 3 miliardi di franchi. Superiore a quello del Cantone che è di 2,5 miliardi. Un totale di 5,5 miliardi che grava sul groppone del contribuente». Per il leghista le responsabilità «sono delle maggioranze politiche che hanno cincischiato per non inimicarsi il funzionariato quale bacino di voti». Le misure di compensazione, riprende Quadri, «costituiscono di fatto un’ulteriore capitolazione della politica finanziata con i soldi degli altri. I beneficiari di questo tesoretto di 1,3 miliardi di franchi saranno i funzionari anziani con alle spalle una carriera piena e stipendi elevati. Piove sempre sul bagnato».
A fargli eco il consigliere nazionale e presidente cantonale dell’Udc Piero Marchesi. «L’Ipct non è che una vecchia Fiat Panda sgangherata di cui però paghiamo il leasing come se fosse una Rolls-Royce». E rimarca: «Questo non solo è un problema per i contribuenti, ma anche per i dipendenti pubblici più giovani chiamati a pagare contributi importanti con prospettive pensionistiche tutt’altro che rosee. Un vero e proprio disastro che rimarrà tale finché non verranno messi in discussione determinati diritti acquisiti». Nel 2012, rievoca Marchesi, «il Gran Consiglio approvò 500 milioni di franchi di contributo assicurando che sarebbe stato risolutivo. Dopo una decina di anni ci ritroviamo ai piedi della scala, se non più in basso. Le misure in votazione a giugno non risolveranno nulla». E questo perché, interviene il consigliere nazionale democentrista e già membro della commissione parlamentare Gestione e finanze Paolo Pamini, «il perito previdenziale commissionato dalla Gestione ha concluso che la possibilità che la cassa riesca a raggiungere una copertura dell’85%, il minimo secondo la legge, entro il 2051 è grossomodo del 50%». Un dato poco incoraggiante, secondo Pamini che rileva: «Lo Stato ha negli anni dato sistematicamente cattivo esempio in termini di gestione. Bisognerebbe fare tabula rasa della governance dell’istituto. I problemi attuali sono figli del clientelismo degli ultimi quarant’anni, solo che in materia previdenziale i bubboni vengono fuori a distanza di decenni. La fattura non arriva subito, ma ora è arrivata».
Presente in sala anche il deputato leghista e commissario della Gestione Omar Balli. «Si parla in continuazione, anche giustamente, delle 17mila persone toccate dalle misure di compensazione. Bene. Non si dimentichi però che le altre sono molte di più e che dietro allo Stato in veste di datore di lavoro c’è il cittadino contribuente».