Ticino

‘Grave dimenticanza non includere il part time nel rapporto Csr’

L’Agna a Vitta: ‘Come spiega il Dfe l’assenza del tempo parziale?’. La replica di Assi (Supsi): ‘L’indicatore c’è eccome’

Pietro Vanetti
(Ti-Press)
22 marzo 2024
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“Una dimenticanza grave”. Non usa mezzi termini il presidente dell’Agna, l’Associazione genitori nell’accudimento, Pietro Vanetti nella lettera inviata al direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta. Motivo della missiva? Il fatto che il rapporto Csr di territorio, presentato a inizio marzo a Bellinzona dall’Associazione industrie ticinesi (Aiti), non includa – secondo Vanetti – nei suoi trenta indicatori da valutare la possibilità per i dipendenti di poter lavorare a ‘tempo parziale’ o ‘part time’. In tal senso, Vanetti chiede lumi al consigliere di Stato: “Come spiega il Dfe l’assenza, nel rapporto di sostenibilità Csr, di un indicatore per il lavoro ‘a tempo parziale’ tra le buone pratiche che le aziende ticinesi dovrebbero introdurre per operare con virtuosa sostenibilità ambientale, economica e sociale?”.

Un documento per misurare gli impatti economici, sociali ed ecologici di un’azienda

Nel gergo economico e finanziario, lo ricordiamo, la Responsabilità sociale delle imprese (Rsi o Csr, dall’inglese Corporate social responsibility) è l’ambito riguardante le implicazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’azienda. Un rapporto di sostenibilità, invece, è un documento che permette di misurare gli impatti economici, sociali ed ecologici di un’azienda. Tant’è, scrive Vanetti, che questo strumento “indica la varietà di tematiche di cui il management delle aziende ticinesi dovrebbe tenere conto per operare con virtuosa sostenibilità ambientale, economica e sociale, selezionando trenta indicatori da valutare”.

‘Sorpresa e rammarico’

Sfogliando la documentazione disponibile online, il presidente dell’Agna ha notato – sostiene –, “con sorpresa e rammarico”, come tra questi indicatori non figuri “la possibilità per i dipendenti di poter lavorare a ‘tempo parziale’ o ‘part time’”. Come detto, per Vanetti, questa “dimenticanza è grave”, proprio perché per l’associazione che presiede, che “si impegna per la bi-genitorialità dopo il divorzio, la possibilità di lavorare ‘a tempo parziale’ non va considerata solo un capriccio, ma un’opportunità importante e spesso anche un’esigenza per i genitori divorziati”.

‘Un’evoluta sensibilità della società’

Vanetti rileva inoltre che recentemente il Tribunale federale ha “tenuto conto dell’evoluta sensibilità della società, stabilendo in una prima sentenza che, nell’interesse dei figli, il criterio di base per definire il loro accudimento deve essere la ‘custodia alternata’ che coinvolge ambedue i genitori i quali, di conseguenza, necessitano del tempo necessario per dedicarsi ai figli”. Non solo. “In una seconda sentenza – aggiunge Vanetti –, in considerazione delle limitate disponibilità finanziarie per la maggior parte delle coppie divorziate, ha stabilito che al genitore che accudisce i figli (in genere le madri) si può chiedere di lavorare almeno al 50% dal momento in cui il minore ha raggiunto l’età scolastica di sei anni”. E affonda: “Si fa un gran parlare di conciliabilità tra lavoro e doveri genitoriali ma poi ci si dimentica troppo facilmente che per conciliarli occorrono le premesse giuste”.

‘Costi marginali per le imprese’

Il presidente dell’Agna tiene poi a precisare che “il lavoro ‘part time’ non va confuso con orario flessibile, telelavoro o congedi parentali, e ancor meno con il lavoro su chiamata”, evidenziando come “studi universitari indichino che il ‘part time’ produce costi marginali per le aziende. Assumere due persone a metà tempo oppure una a tempo pieno è equivalente. Ma per le coppie genitoriali, in particolare quelle separate, poter lavorare a tempo parziale può essere di grande aiuto”. Stando a Vanetti, “da noi, purtroppo, c’è ancora molto pregiudizio sul lavoro ‘part time’, che viene sempre associato, erroneamente, e questo vale sia per gli uomini sia per le donne, a una scarsa motivazione o ambizione professionale. Al contrario, al nostro sportello di consulenza accogliamo sempre più coppie in fase di divorzio che, con grande senso di responsabilità, chiedono consigli per far fronte ai loro doveri genitoriali in modo collaborativo”.

‘Anche se divorziati o separati, entrambi i genitori rimangono responsabili dell’accudimento’

Per l’Agna, “una ‘separazione collaborativa’, oltre al dialogo, presuppone l’assunzione degli oneri dell’accudimento dei figli condivisa, e una ripartizione degli oneri di mantenimento equa tra i genitori. È bene, qui, ricordare che i genitori, anche se divorziati o separati, sono e rimangono ambedue responsabili dell’accudimento e del mantenimento dei figli, ognuno secondo le proprie possibilità. E per farlo – sostiene Vanetti – hanno bisogno entrambi di tempo e denaro, e avendo la possibilità di lavorare ambedue a tempo parziale, organizzandosi riuscirebbero a far fronte ai loro doveri genitoriali molto più virtuosamente. E ne approfitterebbero i figli”.

Assi (Supsi): ‘L’indicatore c’è eccome’

Queste le parole di Vanetti. Parole nelle quali Jenny Assi, responsabile del settore Csr presso la Supsi che ha partecipato all’ideazione del rapporto, non si ritrova. «Sia nel modello semplificato della Camera di commercio destinato alle piccole aziende, sia nel rapporto di Aiti pensato per le industrie più grandi – illustra la ricercatrice – si possono ritrovare degli elementi sul tema». Per quanto concerne il modello della Camera di commercio, Assi spiega che «non potevamo inserire il part time direttamente nei trenta indicatori, perché questa modalità di lavoro non è automaticamente positiva. Ci sono persone che oggi lavorano al 60%, ma che vorrebbero lavorare al 100%. L’indicatore è comunque presente nelle pagine iniziali, insieme ai contratti a tempo determinato». Il modello di base di Aiti non è pubblicato online, ma sono disponibili due esempi. «Nel rapporto Csr di territorio, nello schema riassuntivo riportato nelle pagine finali dei due esempi, troviamo l’indicatore ‘percentuale di contratti a tempo pieno’, al quale riferirsi per la categoria ‘contratti di lavoro’».

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