La settimana prossima il Gran Consiglio discuterà la riforma fiscale. Dibattito tra il professor Sergio Rossi e il direttore dell'Ire Mario Jametti
La riforma fiscale che la prossima settimana andrà sui banchi del Gran Consiglio fa discutere il mondo della politica, ma anche quello accademico. Soprattutto la riduzione progressiva dal 15 al 12% dell’aliquota massima per le persone più abbienti e la compensazione del ritorno del coefficiente cantonale d’imposta al 100% con un taglio lineare delle aliquote pari all’1,66% con conseguenze anche sul gettito per i Comuni. Nella sede centrale de ‘laRegione’ si sono confrontati l’economista e professore ordinario all’Università di Friborgo Sergio Rossi e il direttore dell’Istituto di ricerche economiche dell’Usi Mario Jametti.
Professor Jametti, c’è modo di misurare la virtuosità degli sgravi fiscali sui redditi alti e molto alti?
Jametti: È abbastanza misurabile, utilizzando il concetto della curva di Laffer che mette in relazione l’aliquota con il gettito generato. E c’è un’evidenza empirica che siamo sul lato crescente di questa curva, in cui una riduzione dell’aliquota generalmente a corto termine riduce il gettito. C’è chi dice che aumenta il gettito, ma non è così. A lungo termine, semmai, potrebbe eventualmente cambiare la situazione se effettivamente si attirano persone ricche in Ticino. Ma dal punto di vista scientifico si dovrebbe poi fare una verifica se sono venuti per la riduzione delle imposte o se sarebbero venuti comunque a vivere qui.
Professor Rossi, ma alla fine gli sgravi ai facoltosi stimolano l’attività economica?
Rossi: Purtroppo no, perché l’evidenza empirica mostra che dove si è ridotta l’aliquota di imposta, come negli Stati Uniti, il gettito fiscale non è aumentato, ma è diminuito in modo notevole. Se poi consideriamo le persone molto benestanti che in Ticino avranno un maggior reddito disponibile dopo questa riforma, nel 95% dei casi non spenderanno questo reddito nell’economia ticinese: o i soldi verranno lasciati nei loro conti bancari, oppure verranno parcheggiati nei mercati finanziari o investiti nell’edilizia. Un settore come il commercio al dettaglio avrebbe bisogno di sostegno, ma non è abbassando l’aliquota massima che si ottiene questo effetto.
E non è neanche un aiuto al ceto medio? C’è chi sostiene che sgravando le persone più ricche a cascata poi ne beneficiano tutti perché rimangono e pagano qui le imposte. È così?
Rossi: No, e non è mai stato così. Non si è mai verificato un effetto di ‘sgocciolamento’: gli sgravi ai benestanti saranno a discapito della collettività e quindi anche del ceto medio.
Nemmeno la neutralizzazione del ritorno al 100% del coefficiente cantonale d’imposta avrà un effetto concreto positivo?
Jametti: A stimolare l’economia è la propensione al consumo: se il ceto medio avrà più possibilità di spendere potrà partecipare a un circolo virtuoso. Se le minori imposte da pagare basteranno o meno a compensare i maggiori costi da sopportare dovuti alla riduzione delle attività dello Stato, è una domanda aperta.
Rossi: Se riportiamo il coefficiente al 100% ma riduciamo dell’1,66% le aliquote, ne beneficeranno maggiormente le persone con i redditi più alti. Il ceto medio avrà minori imposte da pagare, ma a questo riguardo la differenza rispetto alla situazione precedente non sarà rilevante. Il ceto medio dovrà tuttavia sobbarcarsi una spesa maggiore, perché a seguito delle minori risorse fiscali lo Stato dovrà tagliare parte della spesa pubblica: meno sussidi, meno aiuti nel sociosanitario… Le persone del ceto medio e di quello medio-basso pagheranno pochissimo meno di imposte ma dovranno finanziare maggiori spese, perché subiranno questi tagli della spesa pubblica.
In questo discorso entrano anche i Comuni, che hanno accusato il Consiglio di Stato di far quadrare i conti del Cantone sulle loro spalle.
Jametti: Posso capire l’amarezza dei Comuni che non sono stati consultati, ma il Cantone con la Legge tributaria fissa le aliquote di base lasciando l’autonomia ai Comuni di aggiustarle con il moltiplicatore comunale. Alcuni di essi reagiranno alzandolo e creando una concorrenza fiscale tra Comuni. Non credo quindi che questo risanamento sia sulle loro spalle.
Rossi: In un qualche modo però il Cantone scarica sui Comuni questa ‘peppa tencia’ e parte della propria colpa nella sua maldestra manovra fiscale.
Siete concordi sul fatto che ridurre l’aliquota massima porterà a una diminuzione del gettito, ma come può andare questa cosa in parallelo col fatto che i disavanzi sono sempre più ingenti e il Cantone aumenta il proprio debito?
Rossi: Prendiamo da esempio la crisi in Grecia, che aveva portato la Troika a imporre misure di risparmio draconiane: così facendo si è ulteriormente ridotto il Pil. Se in Ticino si riduce il disavanzo con dei tagli, si ridimensiona anche l’indotto economico. Per cui alla fine ci saranno meno risorse fiscali. Questa spirale farà molto male a tutta l’economia cantonale, salvo per i grandi portatori di interesse. Si tagliano le uscite, che per le Pmi e molte persone sono vitali, generando un maggior conflitto sociale. E non è certo il periodo giusto per farlo. Quando c’è un’emergenza, il “buon padre di famiglia” deve occuparsi del figlio malato per aiutarlo a rimettersi, a lavorare e a essere nelle condizioni di rimborsare i propri debiti.
In diverse occasioni il direttore del Dfe Christian Vitta ha detto che indebitarsi per finanziare gli investimenti va bene, ma non per sostenere la spesa corrente.
Jametti: Prima di tutto c’è da dire che la situazione del debito pubblico in Ticino per il momento non è drammatica. Poi bisognerebbe anche capire a partire da quando bisogna preoccuparsi: ora il debito non è neanche al 10% del Pil. Il fattore importante è come si crea il disavanzo: se è per finanziare beni e servizi che hanno un’utilità, ciò non vuol dire scaricare il problema sulle generazioni future. Pensiamo all’istruzione per esempio. Poi, è chiaro, come un privato lo Stato non può vivere a lungo al di sopra delle proprie possibilità.
Rossi: Vitta ricorda la regola d’oro della finanza pubblica, ma non sono tanto le risorse fiscali a dover determinare il vincolo di bilancio, come invece succede ora. Idealmente la politica dovrebbe decidere prima i bisogni da soddisfare, per poi capire quante entrate correnti servono e come finanziarsi attraverso le imposte.
Il meccanismo del freno ai disavanzi, già sospeso in alcune occasioni recentemente, andrebbe ancora messo in stand by considerata l’emergenza che stiamo vivendo?
Jametti: Da un lato penso che una certa pressione dello Stato per mantenere l’equilibrio finanziario sia importante e debba esserci, non si possono solo aumentare le imposte per finanziare il debito. E anche l’Amministrazione pubblica ha il mandato di essere efficiente. Dall’altro, però, questi vincoli riducono la flessibilità che garantiscono le misure anticicliche. Quando c’è una crisi lo Stato dovrebbe avere la possibilità di spendere con l’idea, quando la situazione migliorerà, di recuperare.
Rossi: Va sospeso quando ci si trova confrontati con fattori esogeni come quelli attuali: una pandemia e due guerre nel giro di tre anni. Concordo, quando è necessario lo Stato deve indebitarsi maggiormente. Il fieno in cascina si mette quando le cose vanno bene: quando le cose cominciano ad andare male si investe e si distribuisce.
Il taglio dei salari nel Cantone, con il contributo di solidarietà e il mancato riconoscimento del rincaro non rischia di essere un passo falso anche nell’indicazione che può trarne l’economia privata?
Jametti: A livello comunicativo il messaggio è davvero sfortunato: l’anno scorso hanno concesso il rincaro per, di fatto, toglierlo l’anno seguente.
Rossi: Tutto questo è un segnale molto negativo, sia per chi lavora nella pubblica amministrazione di questo cantone e si impegna, sia per chi fa impresa: perché se il Cantone si comporta in questo modo, allora possono farlo anche le aziende private. Lo Stato deve dare un esempio, e quello che sta dando ora è pessimo.
Jametti: No, io non sono così assolutista. Sarà interessante la discussione che ci sarà nel settore privato, ma il vero punto è che si faticherà a trovare lavoratori nel pubblico. Anzi, credo che nel privato faranno fatica a ridurre i salari.
Rossi: Più che altro ci sarà un maggior divario tra gli stipendi molto alti, perché saranno indicizzati con l’obiettivo di non perdere quei lavoratori, e chi sta in fondo alla gerarchia aziendale, che invece rischia di non ricevere nulla.
Però la spesa pubblica va ottimizzata. Oppure no?
Rossi: Serve una spending review seria, affidata a dei professionisti indipendenti. Magari varrebbe la pena ragionare su chi occupa dei posti di lavoro importanti ma con stipendi davvero stravaganti. Si potrebbero ridurre quei salari, piuttosto che quelli degli apprendisti o di chi sta in basso alla gerarchia ma ha una maggior propensione al consumo.
Jametti: La spending review è utile, ci sono inefficienze nello Stato. Bisogna valutare in quali settori il famoso franco pubblico speso ne genera di più, e invertire la rotta in quelli in cui si va in perdita.
Può servire una Corte dei Conti?
Jametti: No, con la democrazia diretta l’istituzione che vince è il popolo. È la voce dei cittadini che valuta con iniziative e referendum la bontà delle proposte.
Rossi: Mi sembra una visione un po’ idealista della democrazia diretta, visto che purtroppo sempre meno persone votano. Sono favorevole a una Corte dei Conti, valutando però il rapporto tra costi e benefici di questa istituzione.
Se aveste in questo momento davanti il direttore del Dfe, cosa gli consigliereste?
Jametti: Di valutare davvero bene i tagli proposti.
Rossi: Di usare bastone e carota. Si vuole tagliare l’aliquota ai grandi contribuenti? La si tagli solo per i soggetti economici virtuosi, che fanno scelte favorevoli alla transizione ecologica. Per le persone fisiche, si potrebbero concepire dei bonus fiscali se con il proprio reddito si fanno acquisti in Ticino sostenendo il tessuto economico. Le risorse fiscali ci sono e sarebbe auspicabile aumentare le imposte a chi ha avuto ingenti benefici durante il Covid o a seguito della crisi energetica.