Intervista all’ex consigliere di Stato socialista Pietro Martinelli alla vigilia di uno storico e nervoso Congresso del suo partito
Il Partito socialista affronta un Congresso d’importanza storica: deve infatti discutere e approvare la lista per il Consiglio di Stato alle elezioni di primavera e la scelta strategica dell’alleanza con i Verdi. Tuttavia, fuori e dentro il partito più che di questa svolta si è discusso molto, se non esclusivamente, e con toni accesissimi, della richiesta di Amalia Mirante di far parte della lista per l’elezione del governo cantonale. Abbiamo chiesto che cosa ne pensa a Pietro Martinelli, già consigliere di Stato e memoria storica del socialismo ticinese.
Non ritiene che quella di Mirante sia una volontà legittima per chi ha già corso col Ps?
La prassi democratica (anche) del Ps vuole che una candidatura al Consiglio di Stato venga prioritariamente sottoposta a una Commissione che, appunto, si chiama ‘Commissione cerca’, e non venga annunciata pubblicamente con largo anticipo, quasi fosse un diritto, cercando di mettere il Partito di fronte al fatto compiuto. Con questo non discuto la legittimità della richiesta di Amalia Mirante, se fatta nei dovuti modi, di essere candidata per le prossime elezioni dopo esserlo stata nelle due elezioni precedenti, dove era arrivata sempre seconda dietro al consigliere di Stato uscente, e con buoni risultati. Nell’ultima elezione, quella del 2019, aveva anche raccolto 17’000 voti preferenziali, di cui la metà esterni. Voti che stanno a testimoniare un importante appoggio da parte di elettori di altri partiti. Un bottino suo personale che può avere diversi significati, ma che non aumenta la forza del Ps, forza che invece si misura con i seggi in Gran Consiglio, dove, in genere, quei voti non li ritroviamo anche perché Amalia Mirante non si è mai presentata per l’elezione del Gran Consiglio. Quindi richiesta legittima la sua, ma fatta con modalità discutibili. Casomai ci si può chiedere per quali meriti venne messa nella lista la prima volta nel 2015.
Quindi, richiesta legittima ma…?
Ma inopportuna. Per tutta una serie di problemi. Innanzitutto, Amalia Mirante si palesa politicamente quasi esclusivamente quando si tratta di votare, e lo fa con modalità a mio parere discutibili, solo per il Consiglio di Stato, mentre non chiede mai di candidarsi per il Gran Consiglio…
Lei afferma che lo fa per non togliere l’opportunità che al legislativo vengano eletti altri candidati.
Fosse così sarebbe una spiegazione che pecca di superbia, per non dire di supponenza. Se si vuole fare politica, il Gran Consiglio è l’arena dove si impara a conoscere lo Stato, a portare avanti le proprie rivendicazioni, a costruire le alleanze necessarie. E dove si conquistano dei meriti politici, come ad esempio quelli del nostro capogruppo Ivo Durisch (che, per contro, non ha chiesto di essere candidato!). Un apprendistato non obbligatorio, ma certamente utile al partito e alla propria immagine e competenza. Ma non c’è solo questo. Io non l’ho mai sentita, ad esempio, prendere posizione pubblica di fronte a problemi per noi importanti come i diversi tagli alla fiscalità e l’aumento delle deduzioni a favore dei più ricchi o il "Decreto Morisoli". Non l’ho mai vista in prima linea durante le battaglie del partito, e nemmeno manifestarsi come personaggio politico nel corso del quadriennio. Invece eccola rivendicare, come se la cosa fosse del tutto naturale, la sua candidatura al Consiglio di Stato. Infine, e sempre per stare agli aspetti più importanti, Mirante si rivolge soltanto a un gruppo all’interno del partito, svolgendo così un ruolo divisivo. Negli scorsi giorni ha confermato questa sua inclinazione scrivendo una lettera a un folto, ma selezionato gruppo d’iscritti al partito (dove ha avuto gli indirizzi?). Soltanto a loro, e infatti termina scrivendo ‘mi scuso se questa lettera è arrivata a chi non è interessato’. Questa azione ha creato interrogativi e disagio all’interno del Ps.
Amalia Mirante ritiene di rappresentare l’ala socialdemocratica del Ps. Ne ha il diritto?
Non è un problema di diritti, ma di sapere cosa si intende per socialdemocrazia. In un’intervista al Corriere del Ticino, Mirante afferma che la socialdemocrazia dopo la svolta di Bad Godesberg è in sostanza rifiuto del comunismo, accettazione del libero mercato e giustizia sociale. Una definizione che, credo non a caso, dimentica di specificare cosa significa "giustizia sociale". Significa imposte tanto progressive quanto necessarie per finanziare attraverso lo Stato sociale un’equa ripartizione del reddito, lotta all’evasione e all’elusione d’imposta e attribuzione allo Stato di quel ruolo che la "mano invisibile" del mercato non è mai riuscita a garantire. La socialdemocrazia svizzera dopo Bad Godesberg (sarebbe meglio dire dopo il congresso e il programma di Winterthur del 1959, presidente Walter Bringolf) ha fatto certo una scelta riformista, ma ha sempre operato contro l’idea che basti il mercato per garantire la redistribuzione del reddito, della ricchezza prodotta da tutti. I migliori momenti della socialdemocrazia nei Paesi nordici sono sempre stati caratterizzati da imposte fortemente progressive e da un importante Stato sociale (dalla culla alla tomba) e non certamente dalla nuova versione della "mano invisibile", quella di un ipotetico ‘sgocciolamento’, del "trickle down", per cui più ricchi ci sono, più di questa ricchezza si beneficerebbe anche in basso. Ecco, Amalia Mirante su questi aspetti è evasiva, si limita a parlare genericamente di "giustizia sociale".
Più in generale, l’accusa che si rivolge all’attuale copresidenza è quella di una gestione verticistica: fatti compiuti, poche discussioni, decisioni dall’alto.
Negli ultimi anni seguo, più che altro da osservatore esterno, la traiettoria del Partito socialista, ma ascolto, analizzo, mi informo, incontro compagni, e partecipo anche ad alcune riunioni. Vorrei ricordare che due anni fa il partito ha deciso di affidare la direzione a una ventiquattrenne, Laura Riget, e al trentenne Fabrizio Sirica. Non si poteva certo pensare che le cose rimanessero come prima. Hanno portato la loro vitalità, lo sguardo sul futuro, le idee e lo slancio della loro generazione. Per quello che si sa, ed è documentabile, hanno proceduto democraticamente, in modo trasparente, spiegando e consultando, fino ad avere un’ampia maggioranza negli organi di partito sulla loro linea e sulle loro proposte. Non ho mai sentito che decisioni di questa importanza siano state prese senza essere preventivamente discusse dal comitato cantonale, che è l’organo preposto a queste analisi. Comunque, ho recentemente assistito a un comitato cantonale, ma da parte di eventuali oppositori interni non ho sentito nulla. Si sono espressi alla Conferenza cantonale, ma con argomentazioni deboli che non hanno convinto i presenti. In alcuni casi si sono invece serviti dei giornali, eludendo il confronto interno, proprio mentre si operava una scelta fondamentale, una scelta strategica. Che condivido. La lotta per l’ambiente è diventata fondamentale.
Il Partito socialista esiste da 120 anni, ha fatto le sue battaglie in favore dei lavoratori e dei meno abbienti, e deve continuare a farlo; il partito dei Verdi è una realtà degli ultimi venti-trent’anni, si è maggiormente concentrato sulle battaglie ambientali, che oggi devono essere battaglie di tutti. Ce lo dicono praticamente (quasi) tutti gli scienziati: di questo passo mettiamo in pericolo la nostra stessa esistenza, di noi umani, dell’homo sapiens, non del pianeta che in qualche modo continuerà a esserci. I motivi di preoccupazione sono reali e numerosi. Mi limito a citarne uno: leggevo recentemente che la velocità con cui cambia in peggio il clima è di 700 volte più alta di quanto non avveniva nei periodi di riscaldamento climatico di un passato remoto. Questo significa che quello che una volta capitava durante sette secoli in un mondo con pochi milioni di umani, oggi capita in un solo anno in un mondo con otto miliardi (sic) di abitanti. Senza poi parlare delle nuove pandemie (sembrava che le malattie infettive fossero state definitivamente sconfitte per cui gli unici rischi erano il cancro e l’infarto!!) e dei nuovi imperialismi. Tutte cose che accelerano i fenomeni migratori di persone che fuggono la loro terra desertificata o allagata o in guerra o a causa delle esternalità prodotte dal nostro modo di creare ricchezza. Fenomeni migratori ai quali l’Occidente non sa trovare risposte adeguate. Ecco perché la scelta dell’alleanza rossoverde è strategica. E, aggiungerei, coraggiosa, oltre che coerente. Oggi la politica è avvolta da un’immagine negativa. Proprio per la sua incoerenza, per il suo bla bla, per il fatto che non affronta i problemi, che non sa, appunto, prendere decisioni coerenti sui temi più importanti.
Ma anche la Mirante di recente si è detta d’accordo con la nuova alleanza strategica.
Sicuramente non ha contribuito a costruirla, anche se di recente, dopo averla criticata, sembra averla accettata. Così come sembra aver accettato, dopo averla combattuta, l’idea del 2+2+1. Pur di essere compresa in quel due attribuito al Ps. Una scelta, quella del 2+2+1, coerente con il fatto che l’alleanza con i Verdi non è tattica per questa votazione, ma è strategica per affrontare assieme le responsabilità che questo difficile momento storico mondiale carica su chi fa politica in un esecutivo, dove a contare non deve essere l’etica della convinzione (quello in cui credi), ma l’etica della responsabilità (le conseguenze di quello che fai indipendentemente dalle tue intenzioni).
Ma in questo modo si è garantita a Marina Carobbio una ‘candidatura blindata’.
Guardi, io credo che Marina Carobbio abbia fatto una scelta difficile, una scelta che penso le sia pesata pensando alle polemiche strumentali che avrebbe innescato. In questo senso è stata una scelta coraggiosa. D’altronde se Greta Gysin fosse stata della partita, come sembrava il caso, la candidatura non sarebbe stata blindata mentre si sarebbe potuto addirittura aspirare al raddoppio. Comunque, io non vedo altri che Marina Carobbio all’altezza del compito: nessuno nel Ps Ticino (e non solo) ha la sua competenza, la sua esperienza e può vantare i risultati ottenuti a Berna e i riconoscimenti raccolti dentro e fuori il partito.
Cosa teme maggiormente per il Congresso?
Il modo con cui i partecipanti accetteranno le decisioni. In altre situazioni e realtà, vediamo come oggi vi sia la tendenza a rifiutare la democraticità di un voto. Naturalmente c’è il fatto che ‘uno vale uno’, e alla fine vince la maggioranza.
La preoccupa l’ipotesi ‘scissione’?
Sarebbe una scelta disperata, e davvero sciagurata. Da qualsiasi parte provenga. No, non riesco a immaginarlo e, conoscendo molti compagni, non lo penso.
Un’ultima battuta. Molti lo dicono o lo pensano: a destra, nonostante non manchino frizioni, un accordo lo si trova sempre o più facilmente; mentre nel Dna della sinistra sembra esservi una pervicace tendenza a dividersi e scindersi.
La destra ha una forza irresistibile e convincente per restare unita, che è quella degli interessi materiali in qualche modo legati alla politica. Una forza spesso più convincente e attrattiva della spinta dialettica e ideale che invece a sinistra può portare allo scontro, e alle divisioni. Ma bisogna evitare che divergenze dialettiche anche forti portino alla propria disintegrazione. Altrimenti si aprono le porte alla destra, anche a quella peggiore.
Questo contenuto è stato pubblicato grazie alla collaborazione con il blog naufraghi.ch.