Per il capitano della polizia cantonale Orlando Gnosca, l’anonimato e la transnazionalità dei reati commessi con queste monete sono i limiti principali
Di criptovalute si parla e si scrive da tempo. La tecnologia blockchain su cui si basa il sistema di validazione di questo circuito monetario e finanziario alternativo a quello classico è nota da anni. Molti analisti intravvedono in questa innovazione la possibilità di democratizzare la finanza. L’emissione di moneta sganciata da una autorità monetaria centrale è considerata un modo per permettere l’accesso a strumenti d’investimento e di pagamento a chi ne è sprovvisto. In un’economia sempre più digitalizzata, le criptovalute sono anche considerate degli asset, ovvero degli attivi, spendibili nel mondo digitale. Oltre alle monete, infatti, sono nate anche le opere d’arte basate su complicati algoritmi di calcolo: i cosiddetti Nft, Non fungible token. Si tratta di un bene digitale (una canzone, un video, una foto, eccetera facilmente replicabili) che grazie alla blockchain diventano univoci e ne permettono la valorizzazione. Le truffe, però, sono dietro l’angolo.
«Di principio, in caso di denuncia e laddove le evidenze investigative fanno emergere sospetti di possibili reati, le autorità di perseguimento penale si attivano immediatamente», ci spiega il capitano Orlando Gnosca, ufficiale responsabile del reparto giudiziario 1 della polizia cantonale. «Si eseguono gli accertamenti del caso e, a seconda delle risultanze, si valutano in accordo con il magistrato di riferimento ulteriori misure (richieste di assistenza giudiziaria internazionale, perquisizioni, sequestri di materiale informatico o cartaceo, eccetera)». «È importante ribadire come la tempestività nelle segnalazioni/denunce sia essenziale per permettere a Polizia cantonale e Ministero pubblico di sganciare le necessarie misure urgenti. Si pensi per esempio anche a un possibile congelamento di conti (nell’ottica di una restituzione dei fondi sottratti)», aggiunge e questo in un’ottica anche di prevenzione.
Capitano Gnosca, il rischio di riciclaggio nelle operazioni finanziarie classiche è sempre latente. Con le criptovalute è più elevato? Come organo inquirente vi siete confrontati con truffe o tentativi di riciclaggio con le criptovalute in generale?
Sulla base delle nostre esperienze, sono emersi per lo più in passato casi in cui la componente delle criptovalute era legata a reati che potremmo definire classici (si pensi per esempio a un’estorsione in cui si chiede di pagare in valuta virtuale anziché in franchi o in euro) o al pagamento di beni illeciti (per esempio stupefacenti). Meno frequenti sono invece gli attacchi informatici più sofisticati. A tal riferimento, e senza entrare nello specifico, possiamo dire che la Sezione analisi tracce informatiche (Sati), dal 2018 a oggi, ha indagato su cinque presunti furti di monete virtuali di una certa importanza. Fatte le precisazioni di cui sopra, i limiti principali sono dettati da due fattori: l’anonimato, insito nella natura delle criptovalute, che rende difficile l’identificazione dell’autore e la transnazionalità dei reati per cui sovente chi li commette opera dall’estero, appoggiandosi magari su infrastrutture informatiche attive in altri Paesi e all’altro capo del mondo.
Alla luce di ciò, in tema di inchieste per presunto riciclaggio, le difficoltà maggiori sono dunque legate all’identificazione degli autori e all’individuazione dei fondi provento del reato dal momento che si parla anche di transazioni finanziarie che avvengono al di fuori degli usuali circuiti bancari.
Immagino che gli addentellati di queste inchieste siano internazionali. La cooperazione è buona?
Come osservato in precedenza e in ragione della transnazionalità di questi reati, si rende il più delle volte necessario operare attraverso la Convenzione sulla cibercriminalità e allo strumento della richiesta di assistenza giudiziaria internazionale (la cosiddetta rogatoria) chiedendo la collaborazione delle autorità di perseguimento penale di altre nazioni. Questo tenendo conto che non tutte le nazioni concedono l’assistenza giudiziaria e, nei casi in cui la via della rogatoria è percorribile, occorre considerare l’esistenza di ordinamenti giuridici differenti.
Le criptovalute rappresentano dunque una sfida per la giustizia anche di stati-nazione più grandi che impone un costante aggiornamento delle competenze per quanto riguarda gli inquirenti e una regolamentazione chiara e il più possibile uniforme a livello internazionale.
Quali consigli si sente di dare a chi è allettato da investimenti in criptovalute?
Alle aziende e agli investitori raccomandiamo di trattare i propri wallet (i portafogli online dove sono depositate queste valute digitali, ndr) come delle vere e proprie relazioni bancarie, ponendo quindi particolare attenzione alla gestione delle credenziali d’accesso e dei dispositivi, nonché alle persone che possono accedervi. È bene sempre diffidare da proposte d’investimento non chiare o troppo allettanti.
Questo, ribadendo che le criptovalute non sono una moneta convenzionale ma valori che potenzialmente hanno un’elevata volatilità con andamenti differenti dalle evoluzioni economiche e politiche. Nessuna istituzione o autorità centrale controlla queste valute. Spesso il corso può dunque essere dettato anche da speculazioni.