Parla un fattorino dopo la denuncia di licenziamenti antisindacali e la petizione di Unia. L‘azienda nega scorrettezze
«Se stavo zitto, potevo restare lì altri quindici anni. Però uno deve anche fare i conti con la propria dignità». Danilo Moro è amareggiato, ma non scoraggiato. Ha perso il suo lavoro di autista presso Dpd, ma senza abbassare la testa. La vicenda è stata denunciata martedì dal sindacato Unia, con una petizione rivolta ai vertici della società di consegne: una delle tre aziende che forniscono il servizio a Dpd è stata chiusa e rimpiazzata con un’altra, che ha impiegato tutti i vecchi autisti – una ventina – tranne quattro ‘sindacalizzati’. Tra questi, Moro. Una ristrutturazione, secondo il ben noto lessico aziendale; un’«epurazione», secondo lui, «tanto più che quando sono andato a controllare ho visto che ci avevano già rimpiazzato con altri».
La cosa sarebbe andata per le spicce: «Ci chiamano tutti il 31 dicembre per dirci che l’azienda Ps trasporti chiude, ma di non preoccuparci perché ne nascerà una nuova e ci sarà posto per tutti. Domenica io e altri tre colleghi veniamo contattati. La telefonata con me è durata mezzo minuto: mi hanno detto che dovevano ristrutturare, che erano al completo e di non presentarmi al lavoro». Lasciato a casa da un giorno all’altro, nonostante il 33enne Moro – «una compagna, una figlia e un’ipoteca da pagare» – sia uno dei fattorini con maggiore esperienza in Dpd e abbia ricevuto una trentina di volte il premio mensile riservato ai migliori dipendenti. «Dieci volte sul podio, solo nell’ultimo anno». Poi la porta si è chiusa, sbattendo forte. Ma come siamo arrivati fin qui?
Indietro veloce. A febbraio dell’anno scorso, alcuni autisti di Dpd iniziarono a denunciare condizioni di lavoro giudicate massacranti: giornate da 12-14 ore, 100-150 consegne al giorno, ritmi spossanti, intimidazioni, straordinari non pagati, il tutto per un salario mensile di poco superiore ai 3’500 franchi lordi per un impiego al 100%, senza tredicesima. Alcuni, parlando sotto anonimato perché terrorizzati dalle possibili ritorsioni, ci raccontarono tra le altre cose che dovevano mangiare mentre guidavano e fare pipì nelle bottiglie, senza fermarsi (vedi ‘laRegione’ del 26.02.2021). Dpd – il più grande servizio privato di consegne in Svizzera e il secondo in Europa dopo Dhl – si è sempre difesa sottolineando che non impiega direttamente nemmeno un fattorino, e che sta alle aziende fornitrici – i cosiddetti ‘partner commerciali’ – rispettare i loro lavoratori secondo i crismi del contratto collettivo. Eppure è proprio Dpd a imporre gli standard operativi e a monitorare le consegne tramite i suoi sistemi informatici, collegati ai terminali che ogni autista deve portare con sé.
Dopo quelle prime denunce «la nostra lotta ha portato a dei miglioramenti», nota Moro. «Abbiamo organizzato un collettivo operaio che prima dei licenziamenti – e questi non sono i primi – era arrivato a coinvolgere una ventina di dipendenti. Guardi che non è facile, in un’azienda dove il turnover è altissimo e in media si regge tra sì e no un paio d’anni. Io, che dopo cinque anni ero un po’ il matusalemme del gruppo, delle volte quando tornavo dopo le ferie pensavo di aver sbagliato indirizzo, tanti erano i volti nuovi». Certo, «molti colleghi hanno avuto paura, ci dicevano ‘avete ragione voi, ma io ho una famiglia…’». Però alcuni risultati concreti si sarebbero visti. Tra questi «l’assunzione di nuovi addetti per lo smistamento dei pacchi dal container, una cosa che prima dovevamo fare noi autisti: col boom delle consegne legato ai lockdown erano arrivati perfino ad accelerare il nastro trasportatore…». E poi «una pausa pranzo di 45 minuti, oltre all’esenzione dall’obbligo di pagare noi le franchigie assicurative per i furgoni in caso di incidente e le penali imposte da Dpd per problemi, ad esempio un pacco smarrito o una mancata consegna. Ci hanno anche rimborsato trattenute sindacali indebite, riconosciuto gli extra per i giorni festivi… Insomma: ci trattavano meglio. Ora la paura è che anche le conquiste fatte vadano perdute».
In quest’anno, d’altronde, «le pressioni non sono mancate». Unia è andata fino a Parigi per ottenere dalla Posta pubblica francese – che controlla Dpd tramite la holding Geopost – chiarimenti e rassicurazioni. Per ora non ci sono state grandi ammissioni e la discussione per il nuovo contratto collettivo di lavoro vede tagliato fuori il collettivo di Unia. Le pressioni però «hanno sventato almeno un licenziamento antisindacale l’estate scorsa». Non è andata così per Moro. «Ma tanto lo sapevo, che prima o poi sarebbe finita così».
Nessuna volontà di contrastare l’attività sindacale. Il direttore marketing e comunicazione Dpd Marco Kaiser respinge le accuse mosse dal sindacato Unia – con una petizione sostenuta tra gli altri da ForumAlternativo, Partito comunista e Partito socialista – e in un’asciutta e-mail a ‘laRegione’ spiega la scelta di terminare il contratto con Ps trasporti, l’azienda defunta a fine anno: “Dpd Svizzera ha interrotto la collaborazione con uno dei suoi partner contrattuali nel dicembre 2021. Il partner contrattuale ha licenziato tutti i dipendenti a seguito della fine della collaborazione. Ne consegue che i licenziamenti non possono considerarsi dovuti ad attività sindacali”. Inoltre, prosegue il comunicato, “Dpd non è a conoscenza di tutti i singoli iscritti al sindacato, e il fatto di saperlo non sarebbe comunque importante”.
La società spiega che “a causa della fine della cooperazione con il partner contrattuale, i servizi forniti hanno dovuto essere riassegnati. Dpd è riuscita a raggiungere un accordo contrattuale con un nuovo partner tramite una procedura accelerata. Questa nuova azienda, come tutti i nostri partner contrattuali, si è impegnata in sede di accordo a rispettare i termini del contratto collettivo di lavoro che abbiamo firmato con i sindacati Transfair e Syndicom”.
Non abbiamo ricevuto risposte ad alcune delle nostre domande (cosa intendono fare per evitare ulteriori abusi, quali problemi hanno riscontrato in Ticino, se è vero che i quattro licenziati sono stati prontamente sostituiti). Alla Rsi, un altro portavoce aveva però aggiunto che la fine del vecchio incarico era dovuta a problemi di rispetto degli standard operativi, con “diversi autisti” che “non rispettavano più le istruzioni del direttore di Ps trasporti e si comportavano in modo sempre più aggressivo e inappropriato”, con tanto di “minacce verbali e fisiche”. Per chiarire questo e altri aspetti abbiamo anche tentato di contattare uno dei responsabili della nuova società che ha rilevato il mandato. Risultato: “No comment".
Il segretario regionale di Unia Giangiorgio Gargantini contesta fermamente questa versione dei fatti: «La storia delle minacce è del tutto infondata. Se poi si cancella una società e se ne crea un’altra nottetempo con gli stessi autisti, tranne quelli che hanno partecipato alle rivendicazioni sindacali e organizzato le attività del collettivo interno, diventa difficile sostenere che la tattica sia qualcosa di diverso da un meschino stratagemma. Anche questo fa parte del sistema Dpd, basato sul fatto di non risultare direttamente datori di lavoro di nessun fattorino, in modo da scaricare sui partner commerciali tutte le responsabilità, dividere il fronte dei lavoratori e continuare a imporre condizioni inaccettabili». Unia e il collettivo continuano a chiedere la revoca dei licenziamenti, giudicati antisindacali e abusivi.
I tre partner commerciali di Dpd in Ticino impiegano volumi di personale molto variabili a seconda del periodo dell’anno e delle esigenze di mercato. In media, gli autisti sono una quarantina (circa 800 quelli in tutta la Svizzera, tramite un’ottantina di partner). Syndicom e Transfair sono gli unici interlocutori sindacali riconosciuti come legittimi da Dpd. Abbiamo quindi chiesto un parere a Matteo Antonini, responsabile nazionale del settore logistica di Syndicom, al corrente della questione: «Abbiamo partecipato a un incontro con Unia che ci ha esposto la situazione al deposito di Giubiasco», spiega. «Qualora i fatti corrispondessero al vero, riteniamo che si tratterebbe di un’intimidazione inaccettabile. Intanto come Syndicom ci impegniamo nelle trattative – ancora allo stato embrionale – per l’elaborazione di un nuovo contratto collettivo di obbligatorietà generale che valga per tutte le centinaia di imprese in un settore che evidenzia il bisogno di regole applicate e controllate da tutti».
Nadia Ghisolfi, responsabile regione sud del sindacato Transfair e granconsigliera Ppd, è ottimista: «Non siamo stati direttamente informati per cui non so esattamente cosa è successo, ma con Dpd abbiamo sempre avuto un buon dialogo che ci ha permesso di risolvere i problemi emersi di volta in volta. Per quanto riguarda il contratto collettivo, auspichiamo che si riescano a ottenere condizioni migliori per un settore comunque messo a dura prova durante le pandemia, riconoscendo ai collaboratori tutti i diritti del caso. Non è facile, ma siamo fiduciosi».