La Camera dei Cantoni respinge l’iniziativa ticinese (27 voti a 13, quattro le astensioni). Il dossier passa ora al Nazionale
Nulla da fare oggi per l’iniziativa del Cantone Ticino che voleva vietare il licenziamento delle neo mamme nei 12 mesi successivi alla nascita. Il Consiglio degli Stati ha respinto il testo per 27 voti a 13 (4 astenuti), sostenendo che l’attuale protezione giuridica contro la disdetta sia sufficiente. Oltre alla protezione contro il licenziamento, l’iniziativa vuole che nell’anno seguente al parto le madri debbano poter fruire di un congedo non retribuito pari al massimo al 30% del proprio grado di occupazione previsto dal contratto.
Il dibattito, l’ultimo di una giornata intensa prima del “rompete le righe” decretato dal presidente della camera Thomas Hefti, ha visto contrapposti in aula i due consiglieri agli Stati ticinesi, la socialista Marina Carobbio e l’Udc Marco Chiesa. Secondo la maggioranza della commissione, la decisione negativa si basa su studi che evidenziano come la maggior parte delle giovani madri possano raggiungere un accordo amichevole con i propri datori di lavoro. Non vi è dunque la necessità di potenziare la protezione a questa voce.
Nonostante il parere negativo della commissione preparatoria, per Carobbio, spalleggiata in aula dal collega di partito Carlo Sommruga (Ge), un intervento legislatore è doveroso: molte neo mamme lascerebbero infatti il proprio posto dopo che questo passo è stato suggerito loro dal datore di lavoro oppure perché non sono riuscite a ridurre il grado di occupazione, e ciò benché vi siano studi che dicano il contrario. Secondo Chiesa, la disposizioni di legge in vigore qualificano già come abusivo un licenziamento per causa di maternità, una decisione che tra l’altro non avrebbe senso dal punto di viste economico, specie se la persona in questione si dimostra una valida collaboratrice. Tuttavia, a detta del presidente dei democentristi, il periodo di protezione proposto dall’iniziativa, decisamente troppo lungo, rischia di rivelarsi una trappola per i datori di lavoro ma, soprattutto, un’arma a doppio taglio per le neo madri: nessuna impresa infatti sottoscriverebbe un contratto “capestro” con una donna in età fertile da cui diventerebbe difficile separarsi in caso di difficoltà economiche.
La parola passa ora al Consiglio nazionale