Fuori per legge dal versamento delle indennità per lavoro ridotto, l’obbligo di salario resta solo in capo al datore di lavoro
Sono oltre 12 mila (12’726, per la precisione) le persone assunte per lavori domestici che alla fine del 2019 risultavano notificate alla Cassa cantonale dell’Avs. Una categoria di lavoratori, prevalentemente donne, che durante le fasi più acute della pandemia (primo e secondo lockdown, ndr) è rimasta verosimilmente e improvvisamente senza reddito. Le indennità di lavoro ridotto, infatti, non sono percepibili da chi è assunto da un privato e non da un’azienda per svolgere lavori di pulizia, babysitting o del governo della casa. Una mozione presentata nella primavera del 2020 da Lorenzo Jelmini e Sara Imelli, granconsiglieri del Ppd, chiedeva proprio di prevedere un sostegno concreto a favore di chi svolge attività domestiche. «Nella maggior parte dei casi si tratta di salariate occupate presso più famiglie e assicurate presso più datori di lavoro», ha spiegato Lorenzo Jelmini durante il dibattito parlamentare chiedendo al governo di andare oltre la prestazione ponte Covid, misura cantonale pensata per gli indipendenti e i lavoratori dipendenti che non potevano beneficiare di indennità ai sensi della Ladi (assicurazione contro la disoccupazione). «Limitarsi a dire che non era legalmente possibile in un periodo in cui la legge sul lavoro ridotto è stata cambiata più volte, è uno schiaffo a queste persone. le regole del gioco sono state stravolte più volte. Ci si poteva attendere che il cantone facesse di più rispetto alla Confederazione», ha ricordato ancora il deputato popolare democratico.
Per il relatore del rapporto, il socialista Fabrizio Sirica, la Commissione ha cercato di inquadrare subito il fenomeno quantificando numero di addetti e salari. Come detto si tratta di oltre 12 mila persone con un reddito annuale nella maggior parte dei casi inferiore a 12 mila franchi. Anche il Consiglio di Stato riconosce il problema, ma la situazione è superata dagli eventi visto che lo strumento del reddito ponte Covid è arrivato nel gennaio scorso, ma non è retroattivo.
Secondo Alessandro Speziali (Prl) «bisogna sempre riflettere prima di erogare aiuti» pur non negando che la situazione delle collaboratrici domestiche «sia entrata in un cono d’ombra legislativo». Favorevole al rapporto Sirica anche Omar Balli (Lega) e Marco Noi (Verdi).
Critici sulle conclusioni a cui è giunta la Commissione economia e lavoro, Simona Arigoni Zürcher (Mps) e Tamara Merlo (Più donne). Per la deputata dell’Mps, «il reddito di pandemia per tutti chiesto a suo tempo avrebbe evitato a tanti di essere in difficoltà. Tanto più che le imprese sono state aiutate tempestivamente». Per Merlo, «la situazione pandemica non è superata dagli eventi. Se c’è una lacuna legislativa, andrebbe colmata».
Il Consigliere di Stato Christian Vitta, direttore del Dfe, ha ricordato che il reddito ponte Covid ha dato una risposta a più di 2’500 persone. Questo in una situazione straordinaria. C’è poi il Codice delle obbligazioni che prevede che sia il datore di lavoro a pagare i quattro quinti dello stipendio se «il lavoratore è impedito a prestare il suo lavoro senza sua colpa». E questo a seconda della durata del contratto di lavoro. «Di principio è il datore di lavoro che dovrebbe intervenire e poi in subordine lo Stato con le prestazioni sociali», ha affermato Vitta
In futuro, stando il cambiamento climatico in atto, saremo sempre più confrontati con ondate di calore. Una mozione presentata da Simona Arigoni Zürcher (Mps) chiedeva di elaborare delle proposte legislative che concretizzassero la protezione della salute sul posto di lavoro in caso di canicola, sia per il personale occupato nei lavori all’aperto che all’interno e che tenga in considerazione la tutela accresciuta di determinati gruppi di lavoratori quali le donne in gravidanza e i giovani lavoratori.
Per il relatore di maggioranza, Paolo Ortelli (Plr), «il tema è sicuramente sensibile ma che si inserisce in un quadro legislativo chiaro e definito a livello federale. I Cantoni non hanno alcun margine per legiferare in questa materia in quanto le misure di tutela della salute dei lavoratori sono di esclusiva competenza della Confederazione».
Nulla da fare quindi per il rapporto di minoranza (relatore Fabrizio Sirica, Ps) che pur condividendo le tesi del rapporto di maggioranza, chiedeva in particolare di modificare il regolamento di dipendenti cantonali e di tutelare la salute dei lavoratori, nel ruolo di committente, imponendo un massimo di sei ore lavorative e indennizzando le ore perse dai lavoratori.