Un saggio parla di ‘mafia gay’ in Vaticano. Una bufala che però fa riflettere su vecchi pregiudizi e sulla repressione della sessualità nei seminari
Una “mafia gay”, “alla lavanda”, un “parassita privo di scrupoli”, “un cancro che non esita ad ammazzare il suo ospite, a succhiarne fino all’ultima risorsa allo scopo di assicurarsi una comoda esistenza”, insomma una consorteria di debosciati che aspirerebbe a controllare la Chiesa cattolica e tutti i suoi gangli, dal Vaticano all’ultimo seminario. Preti paragonati esplicitamente a Cosa Nostra e alla ’ndrangheta, il tutto condito con la bufala pseudoscientifica che vorrebbe i gay più propensi alla pedofilia. È questa la delirante teoria del complotto presentata dal sacerdote polacco Dariusz Oko su ‘Theologisches’, rivista tedesca diretta dal docente della Facoltà di teologia a Lugano Manfred Hauke. Ragione per la quale una denuncia è stata presentata alla procura ticinese dalla federazione per i diritti Lgbtq+ Pink Cross; si ipotizza la violazione dell’articolo 261bis del codice penale, che sanziona le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale.
Il professor Hauke ha precisato di non aver ancora ricevuto notifica della denuncia. Nonostante ripetuti tentativi non siamo riusciti a raggiungerlo, ma già il 4 agosto, con un’intervista a ‘Kath.net’ – portale dell’estrema destra cattolica austriaca –, aveva invitato a non confondere una critica ad azioni criminali con un discorso d’odio: secondo lui – che difende l’assai discussa scientificità del testo – i toni duri servono a “suonare l’allarme di fronte a una situazione drammatica”. Per Hauke l’attacco alla ‘lobby’ non vuole essere una critica agli omosessuali in generale, e ritenerla tale equivarrebbe a confondere le accuse a Cosa Nostra con discorsi d’odio nei confronti di tutti i siciliani. Infine, il direttore della rivista difende la libertà di stampa e di opinione: “Non intendiamo inginocchiarci a uno spirito del tempo degenerato. Solo i pesci morti nuotano seguendo sempre la corrente”. La Curia vescovile invece preferisce non pronunciarsi sull’accaduto, e con una breve nota “ribadisce la non competenza in materia della Diocesi di Lugano e della Facoltà di teologia, poiché la fattispecie si è svolta in Germania”.
Ma al di là dei risvolti penali e locali, da dove spuntano certi testi? E cosa ci dicono del rapporto spesso intricato tra Chiesa, clero ultraconservatore e sessualità? Ne parliamo con Iacopo Scaramuzzi, vaticanista di lungo corso e autore del saggio ‘Dio? In fondo a destra. Perché i populismi sfruttano il cristianesimo’ (Emi 2020).
Basta osservare il lessico di scritti come quello di Oko per capire di essere finiti nella galassia della destra populista, quel network globale che unisce la Alt Right americana, i nazionalisti dell’Europa orientale e svariati parafascismi. È lo stesso vocabolario, la stessa narrazione di Viktor Orbán, Marine Le Pen, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e simili. Si direbbe che una parte minoritaria del clero coltivi simpatie analoghe, in una sorta di ‘fronda’ al pontificato di Papa Francesco. E che di mezzo, tra gli altri, ci finiscano gli omosessuali. Cosa sta succedendo?
All’interno della Chiesa cattolica la questione omosessuale – ma direi anche quella della sessualità più in generale – resta irrisolta. Il Papa si sta sforzando affinché la si affronti con maggiore distensione e serenità: oltre al famoso “chi sono io per giudicare” rivolto proprio ai gay, più di una volta ha cercato di portare avanti l’orologio della Chiesa. D’altronde è lo stesso Pontefice che ha detto “essere cattolici non significa fare figli come conigli”, e al quale è attribuita, nel corso del Conclave del 2005, la critica a quei prelati tradizionalisti che “vogliono chiudere il mondo in un preservativo”. Di fronte a queste aperture sulla sessualità, l’ala più conservatrice del clero ha reagito inasprendo i toni dello scontro, in alcuni casi arrivando ad accusare il Vaticano di proteggere improbabili lobby gay.
Colpisce molto la violenza retorica.
Va considerato che si tratta di una minoranza, ma molto rumorosa; la stessa che si posiziona molto a destra sull’Islam, sulla liturgia e ovviamente su tutto quel che ha a che fare col sesso. Ma dietro ai reazionari duri e puri – quelli che l’orologio della Chiesa vorrebbero portarlo più indietro possibile – c’è un conservatorismo meno esplicito, cresciuto all’ombra di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che però si serve proprio dei più facinorosi per spingere la sua agenda. Fuori dalla Chiesa poi, nei Paesi di lunga tradizione cattolica troviamo politici disposti a intestarsi certe battaglie di retroguardia, come ad esempio fa Salvini impugnando rosari e crocifissi, trovando terreno fertile tra chi anche nel clero teme la modernità. Il tutto si salda in una sorta di galassia ampia e complessa.
Torniamo al tema dell’omosessualità. Al di là dei proclami, si sta davvero facendo qualcosa per modernizzare l’approccio ecclesiastico, ad esempio all’interno dei seminari?
Per adesso resta in vigore l’istruzione vaticana che vieta agli omosessuali l’accesso al seminario. Un anacronismo che fa a pugni con certe prese di posizione di Francesco, come l’apertura alle unioni gay, la scelta di relazionarsi direttamente con persone omosessuali e il sostegno a personalità ecclesiastiche come il gesuita americano James Martin, che si impegna attivamente nella pastorale presso la comunità Lgbtq+.
Certi pamphlet continuano a propalare una vecchia sciocchezza priva di fondamento scientifico, quella che vorrebbe gli omosessuali più propensi alla pedofilia.
Lo aveva sostenuto perfino il cardinale Tarcisio Bertone. Ma il problema degli abusi – ce lo fanno vedere bene inchieste come quella recente sulla pedofilia nella Chiesa francese – non ha nulla a che vedere con l’omosessualità. Semmai il problema è che in alcuni seminari si nega sistematicamente qualsiasi sessualità: questo può attrarre persone – gay o etero che siano – che lì dentro si illudono di potersi ‘liberare’ da tutto quell’aspetto incandescente della vita invece di affrontarlo. Lo stesso meccanismo può attrarre dunque anche persone con una psicologia e una sessualità malate, che, magari dopo un periodo apparentemente quieto, approfittano del loro potere sociale per abusare di minorenni o altre persone deboli. Questo fenomeno mostra quanto è importante puntare sulla selezione dei futuri preti e sulla loro formazione psicologica. Ma solleva anche dei dubbi su un percorso in un ambiente chiuso come il seminario, separato da quella vita reale dove poi i sacerdoti dovranno esercitare il loro ministero.
Secondo alcuni, anche il celibato del clero contribuirebbe a una ‘selezione avversa’. È d’accordo?
Non facciamo confusione. Non credo che si debba confondere il tema del celibato con quello degli abusi. Ci sono molti abusi anche tra persone regolarmente sposate, così come ci sono persone che scelgono con maturità e coscienza il celibato, vivendolo pienamente e senza squilibri. In ogni caso non si tratta di un dogma, bensì di una disciplina che magari un giorno potrà anche cambiare. Però, ripeto: i recenti scandali dimostrano che il problema sistemico riguarda non tanto il celibato, quanto il potere clericale – perché ogni abuso sessuale è un abuso di potere – e la morale sessuale della Chiesa, perché una morale che rimuove la sessualità finisce per esserne ossessionata.
Nato ad Auschwitz nel 1960, il presbitero e teologo polacco Dariusz Oko insegna presso la Pontificia università di Cracovia. Ultraconservatore e difeso da organizzazioni vicine al partito nazionalista Diritto e giustizia, con la sua pubblicistica Oko si concentra da anni su quella che chiama ‘omoeresia’, ovvero – come ha spiegato lui stesso alla ‘Stampa’ nel 2014 – “un rifiuto del Magistero della Chiesa cattolica sull’omosessualità. I sostenitori dell’omoeresia non accettano che la tendenza omosessuale sia un disturbo della personalità. Mettono in dubbio che gli atti omosessuali siano contro la legge naturale (sic!, ndr). I difensori dell’omoeresia sono a favore del sacerdozio per i gay. L’omoeresia è una versione ecclesiastica dell’omosessualismo”. L’articolo dello scandalo è stato anche pubblicato in volume per il mercato polacco, col titolo ‘Mafia alla lavanda’ e una tiratura di 32mila copie.
Ferocemente anticonciliare, Oko ritiene che una lobby gay sia andata crescendo nella Chiesa a partire dagli anni Settanta e Ottanta, contribuendo col suo favoritismo al moltiplicarsi di orge e abusi sessuali e utilizzando il potere per garantirsi l’impunità. Il vocabolario del testo – completato il 29 aprile 2020, “Giorno del martirio del clero polacco durante la Seconda guerra mondiale” – è quello tipico della destra complottista, con riferimenti ricorrenti alla “teoria gender” e ai “marxisti culturali” ai quali la Chiesa rischierebbe di sottomettersi, sostenuti con una bibliografia che include testate e siti web populisti.
Per l’articolo comparso su ‘Theologisches’ – con sede legale a Colonia – lo scorso luglio il tribunale distrettuale della città ha inflitto a Oko una multa di 4’800 euro (oltre 5’100 franchi) per istigazione all’odio, contro la quale pende un ricorso. A condannare le parole di Oko – e la scelta editoriale di Hauke – sono stati anche numerosi sacerdoti svizzeri e tedeschi. Tra questi l’esperto di diritto ecclesiastico Wolfgang Rothe, denunciante a Colonia, che ha definito l’articolo “brutale, pieno d’odio e fascistoide”: un testo “vergognoso, prima di tutto per la totale mancanza di spessore scientifico e teologico”, “una disordinata congerie di affermazioni goffe e poco obiettive, che si cerca di supportare con riferimenti ad affermazioni goffe e poco obiettive pubblicate altrove”. Sul portale della Conferenza episcopale svizzera anche Hermann Häring – docente e allievo del grande teologo svizzero Hans Küng – formula accuse pesanti: “Si dovrebbe cercare a lungo per trovare un altro pamphlet che in nome della teologia presenti accuse e insulti così ingiuriosi e privi di fondamento scientifico”, un testo che “avvelena abbondantemente i pozzi”.