Oggi la Commissione della gestione ha ricevuto in audizione sindacati e padronato. Emergono resoconti preoccupanti. Modenini: ‘A volte è accanimento’
A quasi un anno dall’audizione - era l’ottobre 2020 - del direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi e di collaboratori della Sezione della popolazione, stamattina è stato il turno di sindacati e organizzazioni imprenditoriali. La commissione parlamentare della Gestione ha ripreso in mano il dossier dei permessi, congelato a causa anche della pandemia, sentendo Unia, Ocst, Associazione industrie ticinesi e Camera di commercio. «Controlli esagerati che finiscono per colpire anche persone che sono qui per lavorare, e pratiche messe in atto dal Cantone al momento del rinnovo dei permessi che sarebbero non conformi alla giurisprudenza, in particolare a quella del Tribunale federale: sono i due aspetti principali emersi dall’incontro», dice alla ’Regione Ivo Durisch, capogruppo in Gran Consiglio del Ps, partito che nel settembre dello scorso anno ha chiesto l’attivazione dell’alta vigilanza da parte del parlamento con l’obiettivo di “fare chiarezza su procedure e prassi adottate dall’Esecutivo": istanza inoltrata in seguito all’inchiesta giornalistica di ‘Falò ’(Rsi) sui (serrati) controlli di polizia in materia di stranieri e sulla (restrittiva) politica del Dipartimento istituzioni in materia di permessi, fra reclami e sentenze del Servizio dei ricorsi del Consiglio di Stato.
«Sia dalla parte sindacale, sia dalla parte padronale abbiamo avuto la conferma dell’impressione di essere davanti a un sistema messo in atto per mettere il bastone tra le ruote all’economia e ai lavoratori». Il deputato del Plr Matteo Quadranti, tra i primi un anno fa a voler vederci chiaro sulla questione dei permessi, dall’audizione di oggi esce sconfortato. «Gobbi ha detto che avevano aggiustato la prassi, ma oggi ci è stato risposto che le cose stanno andando più o meno come prima», rincara. Con tutto quello che, per Quadranti, ne consegue. Perché «si crea un danno mandando via gente che non ha mai avuto problemi, integrata e che può fare ricorso solo se può permetterselo e sapendo che i tempi di evasione sono lunghissimi». Senza contare, «l’effetto perverso che si crea con chi decide di tornarsene in Italia e fare un permesso G da frontaliere. Con il problema che - rileva Quadranti - se prima con il B o il C pagavano tutte le imposte qui, con i ristorni si ottiene meno. Ci si perde a livello di imposte e a livello di immagine del Cantone, perché se da un lato viene fatta molta promozione sul Ticino come luogo dove insediarsi, dall’altro quando qualcuno arriva il trattamento riservato è questo».
«Noi abbiamo riferito di varie esperienze raccontate ai nostri sportelli, nella speranza che non accadano più anche se in questo ultimo anno grandi passi avanti non sono stati fatti» ci spiega il segretario regionale di Unia Giangiorgio Gargantini. Che alza il tiro: «Adesso, dal governo mi aspetto un sussulto di dignità. Prendano in mano la situazione e dicano che non è più possibile che persone, colleghi, amici, vicini di casa subiscano questo genere di trattamento e queste pressioni». E aggiunge: «Si metta una volta per tutte mano alla situazione. Se sono necessari approfondimenti e perizie si facciano, noi siamo a disposizione perché questa realtà continuiamo a toccarla con mano e riteniamo che il Ticino non la meriti».
Afferma il direttore dell’Aiti Stefano Modenini: «I controlli, ci mancherebbe altro, vanno fatti per evitare che sul nostro territorio vi siano soggetti che non hanno diritto a un permesso o addirittura malavitosi ricercarti dalle autorità giudiziarie di altri Paesi. Ma devono essere fatti con equilibrio, affinché non penalizzino gli stranieri che in Ticino lavorano, pagano le imposte e rispettano la legge. Ci sono infatti ancora situazioni che vedono la polizia comunale reiterare i controlli su persone titolari di un permesso di lavoro, ciò che configura secondo noi un accanimento. Se pensiamo poi ai globalisti, persone facoltose che non possono lavorare per statuto, non vediamo che senso abbia chiedergli quanto latte acquistano in un anno per poter dimostrare che vivono qui. Se si tratta di cittadini dell’Ue le regole sottoscritte anche dalla Svizzera stabiliscono che una persona deve risiedere da noi almeno sei mesi all’anno, dove trascorre i restanti sei mesi non deve interessarci. Oppure una persona che chiede il permesso B non deve essere obbligata a portare qui la famiglia, non c’è l’obbligo del ricongiungimento famigliare: al riguardo il Tribunale amministrativo sovente boccia la decisione cantonale di diniego del permesso e dà ragione al ricorrente. È ora che i competenti uffici amministrativi si adeguino».