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I sanitari che rifiutano il vaccino ‘non sono al posto giusto’

Il farmacista cantonale rimprovera gli operatori a contatto con persone fragili. Frenano l’interesse per l’immunizzazione contagi in calo e vacanze estive

(Ti–Press)
8 luglio 2021
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I vaccini sono disponibili per tutti, ma la reticenza di alcuni sta mettendo a rischio la riuscita della campagna d’immunizzazione. Una preoccupazione espressa anche dal medico cantonale Giorgio Merlani ai microfoni della Rsi: "Le persone non vaccinate permettono al virus di circolare e osservando i numeri degli altri Paesi sono sicuro che avremo una nuova ondata in autunno". Sono prevalentemente le fasce d’età più giovani a tentennare, come pure parte del personale sanitario. Abbiamo chiesto al farmacista cantonale Giovan Maria Zanini di spiegarci come mai.

Perché c’è riluttanza di alcuni sanitari nei confronti dei vaccini?

Credo che i dubbi siano gli stessi di tutta la popolazione, anche se i lavoratori del settore dovrebbero avere degli strumenti in più per analizzare la questione. Il fenomeno lo ritroviamo con tutti i tipi di vaccinazione. Negli anni ho visto spesso fare valutazioni di rischio–beneficio puramente individuali: "Mi vaccino per l’epatite B perché se per caso mi pungo con un ago infetto corro dei grossi rischi. Non mi vaccino per l’influenza perché al massimo avrò una settimana di malattia con disturbi tutto sommato lievi". È un ragionamento che non tiene in considerazione i pazienti fragili. Si cerca di sensibilizzare e fare azioni concrete per convincere queste persone. Qualche anno fa il medico cantonale ha introdotto l’obbligo della mascherina nelle case per anziani e negli ospedali per chi non è immunizzato contro l’influenza.

Per quanto riguarda il coronavirus si è però visto quanto può essere grave.

Sì, infatti ho l’impressione che la massa di lavoratori dei reparti Covid sia più vaccinata di altri. Lo stesso vale nelle case anziani che hanno vissuto periodi particolarmente duri.

Essere vaccinati vuol dire non essere contagiosi?

Vuol dire non veicolare il virus, rendere meno probabile la sua diffusione. Chi si ammala da vaccinato ha un decorso meno grave, poiché una buona parte del virus che ha in corpo viene fermata dal sistema immunitario. La persona diventa automaticamente meno problematica per gli altri.

Cosa si sentirebbe di dire al personale sanitario che non si vuole immunizzare?

Il discorso è più importante per coloro che sono a contatto con pazienti potenzialmente più fragili e che non possono scegliere l’operatore che li assiste. Parliamo dunque di chi esercita nei servizi ospedalieri, nelle case per anziani, per le cure a domicilio. Se un medico di famiglia o un dentista non è vaccinato ci si può rivolgere a un altro professionista, cosa che non è possibile con le figure citate prima. Il Dipartimento sta valutando una serie di misure possibili per chi non si immunizzerà. Una potrebbe essere di dover mantenere la mascherina al lavoro quando i vaccinati la potranno togliere, oppure obbligare chi svolge determinate attività a contatto con i pazienti a fare un test rapido ogni due giorni. Spostare il personale di reparto è più complicato. Se per esempio trasferiamo un infermiere di terapia intensiva perdiamo competenze. Prima utilizziamo alternative più soft, anche se credo che la persona che lavora in cure intense e non vuole vaccinarsi non sia adeguata per quella mansione.

Per quale motivo per le fasce d’età più giovani si registra un tasso d’adesione minore alla campagna?

In funzione dell’età crescono i rischi di avere conseguenze gravi, durature o letali dovute alla malattia. Dunque i più anziani sono maggiormente propensi a ricevere il vaccino. Essi hanno magari visto amici, colleghi o parenti passare a miglior vita.

C’è paura per gli effetti indesiderati?

Qualcuno sicuramente temporeggia perché ancora non si fida di questi preparati. Un discorso che si continua a sentire è quello riguardante la velocità con la quale sono stati sviluppati i vaccini anti–Covid. Di conseguenza lasciano che siano gli altri a riceverli per primi. Ora però abbiamo dei dati basati su milioni di persone che ci permettono di dire che sono farmaci efficaci e sicuri, perché a livello di effetti collaterali non si contano tante complicazioni gravi. Oltretutto in Svizzera non abbiamo nemmeno avuto i prodotti di AstraZeneca e Johnson&Johnson, chiamati in ballo per il rischio di trombosi. Quindi non voglio dire che con i vaccini non capita niente, ogni tanto ci sono anche degli eventi avversi che destano un po’ più di preoccupazione, ma basta guardare i rendiconti periodici di SwissMedic per vedere che sono dei prodotti assolutamente sicuri. Le problematiche più frequenti sono delle reazioni, soprattutto dopo la seconda dose, che nel giro di 12-24 ore rientrano.

Più persone usano i farmaci e più è probabile notare effetti collaterali.

Sì, normalmente i nuovi prodotti che si affacciano sul mercato non vengono usati da così tanta gente in così poco tempo. È normale che nei primi tempi si verifichino effetti nuovi. Se per esempio un evento avverso ha la probabilità di verificarsi una volta su mille, negli studi con cinquemila persone riusciamo a notarli. Se invece capita una volta su centomila, è necessario trattare mezzo milione di persone per vederli. Con i vaccini anti–Covid abbiamo però superato di gran lunga questi numeri di somministrazione.

Qualche scettico potrebbe replicare che non sappiamo cosa comporteranno questi farmaci a lungo termine.

È un’obiezione che posso capire, nessuno di noi è in grado di fornire una risposta certa e garantita che non succederà nulla. Quello che possiamo dire è che non abbiamo nessun elemento né di natura teorica, né di natura pratica che indichi una possibilità o probabilità che si verifichino problemi.

Magari c’è invece chi non si vaccina perché vede che l’hanno già fatto in molti.

Certo, alcuni speculano sul fatto che si raggiunga l’immunità di gregge grazie agli altri che si mettono a disposizione. Poi se sia un ragionamento rispettoso della collettività è un’altra questione. Per fermare un agente infettivo non è necessario che il 100 per cento della popolazione non sia ricettiva. Dobbiamo però fare in modo che il virus non abbia la possibilità di passare da una persona all’altra. Se vi sono tanti immunizzati il virus si ferma perché non trova più l’ospite nel quale entrare. Attualmente la comunità scientifica pone la soglia utile all’80 per cento di persone vaccinate e siamo ancora abbastanza distanti. Siccome con questi tipi di coronavirus l’umanità non è mai entrata in contatto, ci vuole una percentuale maggiore di immunizzati rispetto all’influenza, virus che circola abitualmente.

Quanto incide il periodo estivo?

C’è sicuramente chi è in vacanza e non si vaccina adesso. Altri invece aspettano il termine dell’estate per evitare effetti indesiderati prima o durante una partenza. Un altro fattore in gioco è la situazione epidemiologica che nei giorni scorsi, e magari ancora adesso, sembrava volgere al bel tempo. Credo che se nei mesi scorsi avessimo avuto meno problemi di approvvigionamento delle dosi, oggi avremmo raggiunto un tasso di vaccinazione più elevato.