Ticino

Un quarto delle aziende estere non paga come dovrebbe

Da inizio 2021 sembrano invece in diminuzione le segnalazioni di irregolarità

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Circa un quarto delle aziende con sede all’estero e operanti in Ticino hanno commesso delle infrazioni, soprattutto nell’ambito dei salari. È quello che emerge dalle verifiche effettuate nel 2020 dall’Associazione interprofessionale di controllo (Aic), la quale ricorda che in termini generali le segnalazioni riguardanti possibili irregolarità nei posti di lavoro sul territorio sono aumentate rispetto al 2019. Sembra però che la prima parte del 2021 sia andata meglio con un «sensibile calo rispetto agli anni precedenti», afferma Piergiorgio Rossi, vicepresidente dell’Aic. «Ciò potrebbe essere ricondotto all’effetto della terza ondata della pandemia, che ha generato una certa diffidenza dei committenti ticinesi nel far capo a ditte o padroncini esteri».

Tornando all’attività dell’associazione, che controlla unicamente ditte estere con sede fuori dalla Svizzera operanti in Ticino, nel 2020 erano 458 le infrazioni riscontrate dagli ispettori su 1850 visite sul terreno. «Circa il 25 per cento delle ditte controllate hanno commesso delle violazioni alle disposizioni previste dalle misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone», conferma Bruno Zarro, capo ufficio dell’Aic che presto andrà in pensione dopo 18 anni di attività presso l’associazione. «Questi dati confermano l’importanza del nostro operato eseguito sulla base delle notifiche che ci giungono giornalmente dall’Ufficio per la sorveglianza del mercato del lavoro, ma anche da segnalazioni provenienti da singoli cittadini e dalla nostra collaborazione con il Corpo delle guardie di confine e l’Amministrazione federale delle dogane con appostamenti congiunti presso i valichi di frontiera». Alla nostra domanda su quali sono le violazioni principali che l’Aic ha registrato nel 2020, Zarro risponde: «Sicuramente i salari non rispettati. Il dipendente estero deve, a parità di qualifica, ricevere lo stipendio svizzero. In altri casi sono state registrate ore eccessive di lavoro». E riguardo al caporalato? È un fenomeno che viene osservato? «È un problema che sicuramente nella vicina penisola c’è. Qui è stato trovato ma sempre a livello svizzero. Per noi è difficile scoprire se ditte estere che operano in Svizzera applicano questo sistema, dato che il lavoratore riceve lo stipendio in altri Stati».

Accordo quadro: ‘pericolo scampato’

L’Aic accoglie favorevolmente la non sottoscrizione da parte della Confederazione dell’Accordo quadro con l’Unione europea: «Se fosse stato approvato la Corte europea avrebbe avuto la competenza di toccare le misure di accompagnamento che abbiamo predisposto in Svizzera per contenere situazioni di dumping e concorrenza sleale», dice il presidente dell’associazione Renzo Ambrosetti. Per il momento, dunque, «pericolo scampato per il nostro cantone che è messo sotto pressione da parte dell’Italia per quanto concerne il mercato del lavoro». Se l’Accordo quadro non fosse stato respinto, pensando anche in un’ottica futura, quali misure sarebbero state implementate per restare in linea con i nuovi criteri? «In primo luogo – spiega Ambrosetti a ‘laRegione’ – sarebbe stato necessario individuare quali tra le misure d’accompagnamento che a oggi esistono sarebbero state messe in forse da parte dell’Europa e in particolare dalla Corte Europea. In effetti, l’Unione europea, da parte sua, ha un approccio molto più liberista, il che significa che in linea generale tende a dare la precedenza al mercato e meno agli interessi dei lavoratori».

Il Ticino fra i cantoni che controllano di più

Il Covid ha pesato anche sulle attività dell’Aic: «A marzo e aprile del 2020 il nostro personale è stato posto in disoccupazione, con un orario ridotto, ed era assicurato solo un picchetto a turni per casi urgenti», ricorda Ambrosetti. Dopo il lockdown il lavoro di controllo è potuto ripartire, ma quello sui cantieri «è risultato appesantito per i nostri ispettori, visto che dovevano attenersi a tutte le misure di protezione. Comunque il lavoro è stato fatto in modo professionale da tutti». Come organo di controllo, l’Aic sottostà alla Legge federale sui lavoratori distaccati, la cui attività è sorvegliata dalla Segreteria dello stato dell’economia (Seco). «Con soddisfazione possiamo dire che la nostra attività è stata giudicata positivamente e, nell’ambito di un raffronto intercantonale, siamo risultati quelli che controllano di più», ci dice il presidente.

Nel corso del 2020 l’Aic ha inoltre implementato un nuovo sistema informatico. Quello precedente aveva raggiunto «limiti fisiologici in quanto funzionalità è affidabilità», dice il vicepresidente Rossi. «Il recente periodo, un po’ più tranquillo in quanto numero di notifiche e di conseguenza di controlli, è dunque stato sfruttato dall’associazione per svolgere al meglio questo indispensabile aggiornamento tecnologico».

Una tessera per monitorare meglio

A livello generale Rossi auspica di poter continuare a collaborare con i vari organi di controllo e che la tessera di riconoscimento ‘Isab/Siac’ trovi diffusione in tutte le categorie professionali legate all’edilizia. Abbiamo chiesto al vicepresidente quale sia l’obiettivo e quali sono le tappe dell’introduzione della tessera: «Essa simboleggia il frutto di una collaborazione scaturita dalla creazione di un’associazione rappresentata sia dai sindacati sia dai titolari. In tal senso, l’idea è di rilasciare un badge – che potrebbe essere riassunto in una sorta di carta d’identità o patente di lavoro –, il cui scopo sarebbe quello di rappresentare parallelamente la ditta e il datore di lavoro. Ciò permetterebbe dunque il monitoraggio della situazione di un’azienda rispetto ai propri collaboratori, evidenziando allo stesso tempo ad esempio se ci sono procedure in corso e quale è il settore di attività della ditta. Evidentemente, questo badge è implementato in modo graduale, vale a dire partendo dal settore dell’edilizia principale, fino a quello artigianale. D’altronde, pensando al settore edile, visto che le ditte operano su vari cantieri e con un personale abbastanza dinamico, sembra logico che ci sia un supporto, per esempio anche una tessera di riconoscimento digitale volta a fornire questo tipo di dati atti alla verifica delle varie informazioni». Per quanto riguarda l’applicazione di queste tessere di riconoscimento anche ai lavoratori distaccati e padroncini, come si intende procedere a tale ampliamento? «Il punto fondamentale è che anch’essi entrino in possesso di questo ‘specchio della loro situazione’, tuttavia qui il problema risiede in altre questioni, tra cui gli accordi bilaterali o le misure accompagnatorie. La situazione in questo ambito non è dunque ancora chiara, ciò che resta però auspicabile sarebbe che tutti gli operatori, ovvero tutti coloro che si muovono in cantiere, siano identificabili in modo univoco».