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Covid, efficace all’85% l’anticorpo bellinzonese

Brucia le tappe il farmaco sviluppato sulla base delle ricerche nei laboratori di Humabs BioMed. Il direttore Davide Corti ne spiega l’importanza.

Il dottor Davide Corti
11 marzo 2021
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Uno studio clinico solitamente viene interrotto perché il farmaco non funziona, non perché funziona troppo bene. Per questo il team del dottor Davide Corti alla Humabs BioMed ha accolto con «emozione e una gioia immensa» i risultati dello studio – sospeso per “chiare prove di efficacia” – sul VIR-7831, l’anticorpo monoclonale identificato nel febbraio del 2020 nei laboratori di Bellinzona e poi sviluppato in collaborazione con il gigante britannico GlaxoSmithKline (Gsk). A comunicarli è stata ieri la casa madre: la società farmaceutica californiana VIR Biotechnology rivendica un’efficacia all’85% dell’anticorpo nel prevenire l’ospedalizzazione e la morte dei pazienti affetti da Covid-19. Una domanda di approvazione accelerata sarà presentata dapprima negli Usa. Il nullaosta potrebbe anche giungere entro «poche settimane», dice Corti a ‘laRegione’.

I risultati vanno oltre le più rosee aspettative. Decessi e ricoveri in ospedale di persone che hanno ricevuto il VIR-7831 sono stati appunto dell’85% inferiori rispetto a quelle a cui è stato somministrato un placebo. Lo studio si basa sui dati di 583 pazienti e «ha funzionato talmente bene che è stato interrotto, in modo da accelerare il processo di approvazione da parte delle autorità sanitarie statunitensi. Un fatto abbastanza eccezionale», spiega il direttore scientifico di Humabs BioMed. In effetti VIR Biotechnology ha riferito ieri che un comitato indipendente ha raccomandato la sospensione del reclutamento di persone per uno studio di fase III – che dovrebbe valutare l’utilità del preparato per il trattamento precoce in pazienti ad alto rischio di ospedalizzazione – a causa di “chiare prove di efficacia”. «In genere avviene il contrario: uno studio è interrotto per mancanza di risultati», fa notare Corti.

In tempi record

VIR e Gsk prevedono ora di presentare una domanda d’autorizzazione all’uso di emergenza alla Food and Drug Administration (Fda), l’autorità americana di controllo dei medicinali, e agli enti regolatori di altri paesi. Negli Stati Uniti dovrebbe essere questione di giorni, precisa il direttore scientifico di Humabs. Il nullaosta della Fda, come detto, non dovrebbe farsi attendere a lungo e arrivare «ancora prima dell’estate». Per quanto riguarda gli altri Paesi, Corti indica che domande di autorizzazione potrebbero essere inoltrate tra l’altro alle autorità competenti di Unione europea, Gran Bretagna e Svizzera.

È il frutto di «un lavoro intensissimo», cominciato poco più di un anno fa, agli albori della pandemia in Svizzera. Tutto è andato molto velocemente. L’anticorpo è stato identificato usando il sangue di un paziente guarito dalla Sars nel 2003 (i virus della Sars e del Covid non sono la stessa cosa, ma sono simili al 76%). Una volta isolato e ‘caratterizzato’, è partito il processo di produzione. «Solitamente questo richiede più di un anno, fino a 18 mesi. In questo caso – spiega Corti – siamo riusciti in tre, quattro mesi ad avere il farmaco a disposizione, in quantità sufficienti e con la necessaria qualità per essere somministrato all’uomo nella fase clinica. A partire da ottobre, poi, abbiamo condotto lo studio clinico, nel quale sono state riunite le fasi I, II e III». C’è voluto «poco più di un anno» dal laboratorio ai risultati conclusivi che attestano sicurezza ed efficacia del farmaco: «Una cosa eccezionale, motivo d’orgoglio per il Ticino», dice il direttore di Humabs. 

Corti non è incline all’enfasi. Ma oggi afferma che «la scoperta ha un impatto veramente importante nella gestione della pandemia, a livello mondiale». Il VIR-7831 non solo ha un’efficacia «elevata» nel prevenire ospedalizzazioni e decessi dei malati di Covid-19, per di più con «una dose piuttosto bassa» («il che fa ben sperare in una semplificazione della modalità di somministrazione: da via endovenosa alla classica iniezione intramuscolare»). L’anticorpo ha anche «una caratteristica assolutamente unica»: la capacità di ‘riconoscere’ tutte le varianti del virus, quindi anche la britannica, la sudafricana e la brasiliana. VIR e Gsk hanno presentato ieri i risultati di un nuovo studio che lo dimostra, sulla base di analisi in vitro.

Riconosce anche le varianti

La ‘versatilità’ deriva da una precisa scelta: quella «di non isolare un anticorpo in un soggetto affetto da Covid, ma di puntare su un soggetto che si era infettato nel 2003 con il virus che causa la Sars. Per questo il nostro anticorpo è in grado, un po’ come un passepartout, di riconoscere diverse varianti dello stesso virus e addirittura altri virus della stessa famiglia. È una caratteristica unica, che non hanno i pochi altri anticorpi monoclonali approvati finora».

Parliamo di una terapia, non di un vaccino: una terapia specifica, «in grado di ridurre il rischio di insorgenza di sintomi gravi, che possono condurre a un ricovero in cure intense». In questo senso, «laddove i vaccini non sono ancora disponibili, o si rivelassero inefficaci su soggetti immunodepressi, affetti da altre patologie o molto anziani, avere a disposizione una terapia così efficace potrà anche portare a una importantissima riduzione del carico di lavoro per gli ospedali». Si tratta quindi «di un’arma in più nella gestione della pandemia», spiega Corti. Inoltre, a breve partirà un altro studio clinico per «valutare la possibilità di utilizzare questo anticorpo anche in chiave preventiva, in soggetti che potrebbero non rispondere bene al vaccino».

Acquisita nel 2017 dalla VIR Biotechnology, Humabs Biomed è una ‘creatura’ dell’Istituto di ricerca in biomedicina di Bellinzona (Irb). È nota fra l’altro per aver sviluppato anticorpi contro l’ebola, la rabbia o il virus Zika. Per la produzione del VIR-7831 si avvale della collaborazione di colossi del settore, come la Gsk. «Abbiamo deciso con grande anticipo di avviare la produzione, così ci siamo portati molto avanti. Avremo a disposizione un elevato numero di dosi, che speriamo possano essere rapidamente impiegate a favore dei pazienti che più ne avranno bisogno», conclude il direttore di Humabs.