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L’anticorpo di Humabs ‘continua a funzionare’ contro il Covid

Nonostante l’Oms non raccomandi più la cura, per Filippo Riva, sotrovimab rimane efficace pure con le varianti. Intanto si lavora a un vaccino per l’Hiv

‘Numerosi Paesi continuano ad affidarsi al nostro medicinale’
(Ti-Press)
20 ottobre 2022
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L’anticorpo monoclonale scoperto a Bellinzona da Humabs BioMed Sa, filiale di Vir Biotechnology, «continua a essere efficace anche contro le varianti del Covid-19, compresa Omicron». Ne è convinto il direttore Filippo Riva, al contrario dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che alcune settimane fa ha deciso di non più raccomandare sotrovimab quale cura contro il coronavirus. E questo proprio perché alcune sperimentazioni in vitro indicano come l’anticorpo neutralizzi in maniera minore le ultime mutazioni del virus. Una decisione piuttosto controversa che sembra seguire la strategia della Food and Drug Administration (Fda) – ovvero l’autorità statunitense che si occupa della regolamentazione di prodotti farmaceutici, come fa Swissmedic in Svizzera – che già ad aprile aveva deciso di puntare su un farmaco antivirale – ovvero un pillola meno cara da produrre e più facile da assumere – rinunciando a far valere un’opzione da un miliardo di dollari a favore dell’anticorpo di Humabs (che viene iniettato per via endovenosa).

Riva, tuttavia, non si scompone, anche perché da un lato «numerosi Paesi continuano ad affidarsi al nostro medicinale». Dall’altro, Humabs e Vir stanno anche ad esempio «sviluppando un anticorpo che neutralizza tutti i principali ceppi di influenza A» e stanno pure lavorando a «un vaccino contro l’Hiv». E questo dopo che qualche mese fa l’Oms ha raccomandato l’utilizzo di un anticorpo scoperto proprio a Bellinzona contro l’Ebola: «Per la prima volta nella storia abbiamo delle linee guida per la cura di questa grave malattia», afferma a ‘laRegione’ il direttore di Humabs. Insomma, la piccola azienda di Bellinzona – co-fondata dall’ex Direttore dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina (Irb) Antonio Lanzavecchia e poi acquisita dalla statunitense Vir Biotechnology – sembra essere sulla cresta dell’onda, contribuendo a salvare vite in tutto il mondo.

Filippo Riva, quali sono le conseguenze della decisione presa dall’Oms?

In realtà ci ha fatto più male la decisione dell’Fda, vista l’importanza del mercato statunitense. Quella dell’Oms non ci rallegra, ma per il momento sembra non avere un grande impatto: nazioni come la Svizzera, l’Inghilterra, il Giappone e in generale l’Unione europea continuano a mettere a disposizione sotrovimab (distribuito con il nome commerciale di Xevudy). Sono semmai i Paesi poveri, che solitamente seguono abbastanza alla lettera le raccomandazioni dell’Oms, che potrebbero essere in difficoltà, visto che potenzialmente potrebbero non avere più a disposizione questa cura. In generale, abbiamo contribuito a salvare vite e oggi ci sono ancora persone ad alto rischio che possono avere bisogno di questo medicamento.

Ma l’Oms potrebbe ancora cambiare idea?

Nella scienza le decisioni vengono prese sulla base dei dati che sono a disposizione. Dati che però possono anche essere sbagliati o smentiti. L’Oms si è appoggiata a studi effettuati in vitro dai quali è sembrato emergere che il nostro anticorpo fosse meno efficace contro la variante Omicron BA.2 e altre sotto varianti. Tuttavia, in alcuni casi la sperimentazione in vitro veniva effettuata in modo, a parer nostro, non corretto e questo lo abbiamo anche denunciato in alcune pubblicazioni. Altri recenti studi indipendenti [di cui uno pubblicato sulla prestigiosa rivista medica britannica The Lancet, ndr] in vivo (su animali) e sull’uomo hanno invece mostrato come sotrovimab continui a funzionare anche con le ultime mutazioni del Sars-Cov-2: magari leggermente meno, ma abbastanza per salvare una vita. A ciò va poi aggiunto che numerosi medici in tutto il mondo continuano a somministrare questa cura ai loro pazienti, reputando di conseguenza che sia efficace. Altrimenti non lo utilizzerebbero più. Insomma, se l’Oms valutasse questi nuovi dati che mostrano come sotrovimab sia ancora efficace, allora potrebbe cambiare opinione. Ma potrebbe anche succedere che, con una nuova variante, l’anticorpo non abbia davvero più alcun effetto.

State quindi cercando di sviluppare un anticorpo efficace anche contro eventuali varianti più ‘furbe’?

Finché il trattamento funziona e ce lo richiedono, noi continueremo a fornirlo. Tuttavia, la pandemia è andata avanti e noi abbiamo continuato a lavorare, anche a un sotrovimab di seconda generazione. In questo caso non si tratta più di una risposta a un’emergenza pandemica che ci ha portato a fare le cose ad altissima velocità esponendoci, di conseguenza, a rischi finanziari enormi. E tutto sommato ne è valsa la pena: certe volte agiamo perché è giusto farlo, sapendo che possiamo farci male, ma che se non lo facciamo può essere peggio. Quindi ora ci prenderemo il tempo necessario per sviluppare un prodotto ancora più efficace che potrà essere usato come profilassi o come terapia.

Intanto però sotrovimab sembra continuare a funzionare, al contrario di altri anticorpi monoclonali che hanno perso la loro efficacia. Come ci siete riusciti?

Innanzitutto siamo stati fortunati, dato che negli scorsi anni importanti investitori hanno creduto nella nostra tecnologia per combattere le malattie infettive. Poi però siamo riusciti in una vera e propria impresa. Essendo una piccola azienda abbiamo trovato dei partner, come Gsk, con cui collaborare e trovandoci poi, con l’arrivo di Omicron, senza alcuna concorrenza in quanto tutte le terapie disponibili in quel momento avevano smesso di funzionare. Al punto che gli Stati Uniti, con i quali avevamo dei rapporti non facili anche perché avevano preferito investire su altre soluzioni, hanno deciso di acquistare sotrovimab per un miliardo di dollari con un’opzione (che poi non hanno esercitato) per un altro miliardo. Concretamente, per cercare di coprire tutte le varianti possibili, abbiamo cercato un anticorpo che fosse efficace sia contro la Sars del 2003, sia contro la Sars-2: essendo i due virus simili ma non uguali, abbiamo supposto che in caso di mutazioni future sarebbe comunque rimasto efficace. E così è stato, a differenza di altri prodotti che si basavano su un cocktail di due anticorpi Sars-2 specifici come strategia contro le future varianti. Inoltre, grazie a un’ingegnerizzazione aggressiva, abbiamo anche modificato il Dna dell’anticorpo, dandogli caratteristiche migliori. La nostra cura è così stata distribuita in numerosi paesi nel mondo. Resta il fatto che ci troviamo in una situazione pandemica con un grado di insicurezza molto elevato: sappiamo che il virus potrebbe mutare, sfuggendo anche alle terapie di ultima generazione.

Terapie che tra l’altro sono passate un po’ in sordina…

È vero: in Svizzera le autorità hanno messo l’accento sui vaccini, parlando poco delle cure come la nostra. Sotrovimab è stato utilizzato anche nella Confederazione, ma il fatto che, in particolare nel contesto dell’ondata della variante Delta, non vi sia stata un’informazione chiara in merito alla disponibilità di queste terapie, è stato per me un motivo di grande frustrazione. Perché sapevamo che il nostro anticorpo poteva salvare delle vite, anche nel nostro Ticino. Purtroppo è stato così anche in altri Paesi, dove certe lungaggini o comunicazioni incomplete da parte delle autorità regolatorie non hanno permesso a tanti malati di beneficiare di questa tipologia di cure: ci è voluto molto tempo per approvare la distribuzione di sotrovimab e nel frattempo potevamo solo rimanere a guardare impotenti con la consapevolezza che potevamo offrire una cura efficace e potenzialmente evitare ricoveri o morti. Noi invece, assumendoci grandi rischi e con un impegno non indifferente, abbiamo sviluppato un prodotto molto sicuro e che funziona in tempi estremamente brevi, come d’altronde è accaduto con i vaccini.

Cosa ci aspetta per il futuro?

Il Covid è talmente infettivo che è impossibile fermarlo: dovremo conviverci come facciamo con l’influenza. Ma ora abbiamo i mezzi per combatterlo e soprattutto per salvare delle vite. A ciò va poi aggiunto che contraendo la malattia o con la vaccinazione (che raccomando) si sviluppano nel nostro corpo anticorpi che generano una sorta di ‘corazza’ che ci protegge sempre di più e meglio, rendendo il virus meno pericoloso. Continuerà a cercare di schivare questa armatura, ma per i casi gravi vi sono ora a disposizione delle cure, come gli anticorpi monoclonali, ma anche le pillole antivirali.

E per quanto riguarda il futuro di Humabs?

Premetto che, prima del Covid, le malattie infettive avevano perso d’interesse nel mondo farmaceutico. Si sentiva dire ‘tanto è solo un virus’. Con la pandemia ci siamo però resi conto che un virus può avere un impatto enorme sulla nostra vita e sulla nostra società. Crediamo quindi che ci sia bisogno di tecnologie di altissimo livello anche nel mondo delle malattie infettive. E attualmente stiamo cercando cure a diversi livelli: stiamo lavorando sull’epatite B e D, sull’influenza A, su altre malattie respiratorie, ma anche su un possibile vaccino per l’Hiv. Quest’ultimo è un virus molto più complicato rispetto al Covid e infatti negli ultimi decenni non è ancora stato trovato un vaccino. Oggi abbiamo a disposizione terapie che permettono di vivere dignitosamente nonostante l’Hiv, ma con un vaccino efficace saremmo tutti più tranquilli.

Prodotti che vengono sviluppati a Bellinzona…

È un motivo di grande orgoglio per me e per tutto il Ticino. A Bellinzona vi sono anche altri istituti, come l’Irb e l’Istituto oncologico di ricerca (Ior), che stanno portando avanti un lavoro importante. E tutto questo genera posti di lavoro di alta qualità che portano benefici a tutta la regione [ndr: ricordiamo che la commercializzazione di sotrovimab ha portato all’Irb ricavi straordinari pari a 12 milioni di franchi, visto che la tecnologia in questione, basata su scoperte di Lanzavecchia, è stata brevettata proprio dall’istituto di ricerca bellinzonese]. Tuttavia, sono una persona ambiziosa e quindi mi aspetterei che in Ticino si facesse ancora di più per sostenere questo settore, come accade in altri Cantoni. Per raggiungere l’eccellenza, non ci si può accontentare.