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Speziali (Plr): ‘Commerci, ridiscutere gli orari di apertura’

Il presidente liberale radicale: 'Non siamo per l'obbligo di tenere aperto, ma ci vuole più elasticità. I nostri consiglieri nazionali pronti a intervenire'

Ti-Press
19 febbraio 2021
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«La situazione che vivono i commerci e gli esercizi pubblici è grave e lo sarà ancora a lungo. È il momento di ridiscutere il santuario degli orari di apertura». Il giorno dopo le comunicazioni da parte del Consiglio federale sulla strategia decisa per le riaperture delle attività, a colloquio con ‘laRegione’ il presidente del Plr Alessandro Speziali rilancia: «Non siamo per l’obbligo di apertura le domeniche o i festivi, ma per la libertà di aprire. I negozi avrebbero la possibilità di rimodulare la propria attività con il personale a disposizione o con assunzioni, non chiediamo mica di rompere il tetto massimo delle 42 ore settimanali».

Sì, ma la gestazione della Legge cantonale sull’apertura dei negozi è la dimostrazione che i tempi sono lunghi. Concretamente pensa di chiedere un decreto urgente del Consiglio di Stato? Oppure di agire a livello federale con un’iniziativa cantonale, o sulla Legge sul lavoro tramite i vostri due consiglieri nazionali?

Dopo l’interminabile parto della legge cantonale, i margini di manovra a livello ticinese non sono più molti e occorre spostarsi sul piano federale. Con Rocco Cattaneo e Alex Farinelli siamo perfettamente in sintonia e c’è la volontà di intervenire sulle regole attuali. Però mi piacerebbe che questa volontà non si trasformasse in una bandiera di partito, ma in un’azione corale tra le varie forze politiche e i cantoni.

Per quali motivi ritiene oggi essenziale questa discussione?

Sono tre. Quello pandemico è sotto gli occhi di tutti, con una fascia oraria più ampia la clientela si diluisce sapendo di avere più possibilità orarie di fare i propri acquisti. Quello economico è perché come dicevo i commerci sono in crisi, e tutta la relativa catena di valore: dai fornitori alle attività che ruotano attorno. Ma ce n’è anche uno sociale, nel senso che non viviamo più in una società scandita dagli orari e le abitudini di venti o trent’anni fa. Per essere al passo coi tempi è necessario cambiare qualcosa, e avere un po’ più di libertà in questo ambito mi pare totalmente sopportabile. Infine siamo un cantone dove il turismo genera un grande indotto, e la cultura dell’accoglienza passa anche dalle vetrine non solo illuminate, ma anche dalle serrande aperte.

Sta parlando solo di orari di apertura o nel suo progetto c’è di rivedere tutto il concetto liberalizzando maggiormente il settore?

L’emergenza coronavirus può essere sfruttata per rivedere finalmente alcuni aspetti. La sinistra dice che dobbiamo essere solidali, e concordo. Ma essere solidali con l’economia e i commerci significa dargli ossigeno e permettergli di mantenere posti di lavoro. Non vuol dire solo redistribuire la ricchezza, ma anche crearla. Ci vuole più elasticità, se noi andassimo in un paese straniero e turistico e trovassimo tutto chiuso la domenica o perché facciamo due passi dopo l’aperitivo rimarremmo perplessi. A me sembra che dopo anni dove abbiamo voluto burocratizzare e far penetrare le leggi ovunque abbiamo quasi paura di soluzioni dettate dal buon senso, si pensa male quando qualcuno chiede più libertà. La libertà non è un pericolo, semmai lo sono i corsetti giuridici che da una parte rendono difficile l’attività economica, dall’altra ammalano anche la visione della società che sembra aver paura a lasciar correre l’iniziativa e la buona voglia. Devo ancora conoscere un paese dove questi corsetti e i paletti stretti facciano del bene.