BERNA/BELLINZONA

Il movimento per il clima guarda al futuro, anche in Ticino

La giornata di sciopero e azioni dimostrative prevista per il prossimo maggio è solo una tappa. Intervista all'attivista Ismea Guidotti

Un momento di una delle manifestazioni dell'anno scorso a Bellinzona (Ti-Press)
5 dicembre 2020
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Da ecologista a “ecosociale”, per “unire le forze”. Il movimento Sciopero per il futuro, evoluzione di quello per il clima, alza il tiro e organizza una giornata d’azione per il prossimo 21 maggio nella quale intende coinvolgere i sindacati (Unia e il Sindacato dei servizi pubblici sono già della partita), le ong, i partiti progressisti e il mondo dell’associazionismo, oltre naturalmente a quello della scuola e ai singoli cittadini. È presto per dire che forma prenderà lo sciopero: pandemia permettendo dovrebbero tenersi manifestazioni diffuse sul territorio, inclusa una a Bellinzona; ma anche azioni dimostrative, eventi educativi ed eventuali atti di sciopero veri e propri. Un po’ quello che si era pensato per il 15 maggio di quest’anno, non fosse andata com’è andata.

Ma alla piazza il Movimento antepone lo sforzo sociale per gli anni a venire: ora si attiverà per l’organizzazione di ‘gruppi climatici’ nelle scuole, nelle aziende, nei quartieri. Anche in Ticino si cercano la partecipazione dell’intera popolazione e l’elaborazione di proposte locali sempre più concrete. Un modo per “riflettere intensamente” e “gettare le basi di un cambiamento a lungo termine”, come hanno detto ieri i portavoce in conferenza stampa.

Per arrivare alla meta, già il 17 gennaio verranno convocate in tutta la Svizzera ‘assemblee climatiche’, aperte anche ai minorenni e agli stranieri “che altrimenti non avrebbero voce nel processo politico”. Un modo, ci viene spiegato, per riprendere in mano la società contro quei poteri e quei gruppi d’interesse che vorrebbero “riavviare il sistema di prima”. Un sistema che “boccheggia” e che “non può combattere né le cause, né i sintomi delle sue crisi”: “Intendiamo mostrare come un processo democratico possa avvenire al di fuori della politica istituzionale che ha consolidato e riprodotto il nostro mondo fino a oggi”.

Per il post-Covid, insomma, l’idea è quella di un reset non solo ecologico, ma anche sociale ed economico, da realizzare coinvolgendo tutti gli attori della società civile e “senza lasciare nessuno indietro”. Per il movimento “espansione, sfruttamento e dominio” dominano infatti non solo il mondo lontano dall’Europa, ma la stessa Confederazione, che insieme ai ghiacciai vede ritirarsi, ad esempio, il supporto sociale e i diritti dei lavoratori. Eppure gli ‘scioperanti’ credono che proprio la Svizzera potrebbe fare molto. Un esempio: esercitare pressione sulla piazza finanziaria per orientare i flussi di capitale a favore di una svolta energetica, di un cambiamento nelle filiere agroalimentari e di approvvigionamento delle materie prime.

Ismea e un anno 'dietro le quinte'

Il nuovo sciopero segna il 'ritorno' di un movimento che la pandemia ha sfrattato dalle prime pagine nazionali e internazionali, data l'impossibilità di organizzare quelle manifestazioni che nel 2019 avevano riempito di giovani molte città, Bellinzona inclusa. “Che fine ha fatto la Gretina?”, sghignazzano quelli che proprio non la sopportano. E sì che il cambiamento climatico procede a tutto spiano per tutti, anche per chi non ci crede: è di metà novembre l’ultimo rapporto dell’Ufficio federale dell’ambiente, secondo il quale in Svizzera la temperatura è salita di circa 2 gradi rispetto all'era preindustriale, addirittura il doppio rispetto alla media mondiale. Secondo l’Onu, poi, il 2020 è destinato a diventare uno dei tre anni più caldi mai registrati nel mondo; potrebbe perfino superare il record del 2016.

Nonostante il calo della visibilità e dell’effetto sorpresa generato sull’opinione pubblica, comunque, il movimento ha continuato a lavorare, anche in Ticino. Facciamo il punto della situazione con l’attivista Ismea Guidotti, studentessa di Relazioni internazionali all’Università di San Gallo.

“È passata la moda”, dicono i vostri detrattori, “’sti ragazzini si sono già stufati”. Cosa risponde?

In realtà posso dire che in Ticino e in Svizzera il coinvolgimento nel movimento resta molto forte. Si tratta di un lavoro molto orizzontale, al quale ciascuno dedica il tempo e le energie che si sente di mettere a disposizione. Ma i risultati ci sono, anche se per ora il lavoro è rimasto dietro le quinte: oltre allo Sciopero per il futuro stiamo continuando con la mobilitazione continua. Anche ora che alcuni di noi sono passati dalle scuole superiori alle università, nuovi attivisti si sono aggiunti, perfino dalla quarta media. E ci stiamo adoperando per raggiungere anche gli allievi delle scuole professionali, che all’inizio erano rimasti un po’ fuori dal movimento.

Quali canali utilizzate?

Oltre alle scuole, in questo momento di pandemia abbiamo cercato di ottimizzare la nostra presenza sui social network, ad esempio con un ‘calendario climatico’ di piccole sfide quotidiane su Instagram, per spingere chi ci segue a lavorare sulla sensibilizzazione e su un cambiamento culturale già in atto, ma ancora lontano dal suo compimento. E poi c’è Radio Futuro, un progetto nato in occasione dello sciopero generale che la pandemia ci ha costretto a cancellare lo scorso maggio: una trasmissione accessibile su internet e in podcast in collaborazione con Radio Gwendalyn. Credo che dal punto di vista individuale il primo passo sia proprio quello di informare e di informarsi.

Cosa preparerete in vista del 21 maggio?

Lo sciopero in quanto tale si inserisce in uno sforzo di lungo termine, nel quale rientra la volontà di organizzare gruppi d’azione a ogni livello e in diversi ambiti della società civile: scuole, imprese, unioni professionali, comuni… L’obiettivo è avviare un confronto diffuso con la popolazione sulla crisi che stiamo vivendo ed elaborare piani di azione collettiva. Per quanto riguarda gli eventi e le eventuali manifestazioni della prossima primavera, starà alle sezioni cantonali del movimento e ai partner sociali coinvolti decidere il da farsi, anche perché naturalmente la pandemia rimane un interrogativo aperto e un problema da non sottovalutare.

Se però “il personale è politico”, come si diceva una volta, ci si aspetta anche un’agenda propositiva rispetto ai governi e ai parlamenti.

Proprio per questo stiamo preparando un Patto d’azione climatica tanto per il Ticino quanto per la Svizzera. Una serie di proposte elaborate grazie alla collaborazione di esperti in ciascuno dei temi toccati, ad esempio – per citare due dimensioni fondamentali per il nostro cantone – l’edilizia e il trasporto pubblico. Una volta finalizzate, queste proposte potranno costituire una base di dialogo con le autorità e uno spunto per il dibattito pubblico.

Quando si arriva al concreto, tuttavia, l’impressione è che venga al pettine un nodo preoccupante: quello della possibile contraddizione tra progressismo ‘ambientale’ e ‘sociale’, proprio quello che si sta cercando di superare in vista dello sciopero. Ad esempio una parte del movimento ha contestato la nuova legge sul CO2, in quanto penalizzerebbe ingiustamente chi guadagna meno ma deve comunque fare il pieno e riscaldare casa.

In effetti, soprattutto nella Svizzera romanda, si è vista una divisione sulla legge. Però credo che quella tra ‘sociale’ e ‘ambientale’ sia una contraddizione solo apparente e contingente: nel lungo termine il miglioramento della sostenibilità ambientale giova a tutti, anzitutto proprio alle fasce più deboli della popolazione, quelle che non potranno permettersi le stesse difese dai disastri del clima a disposizione dei più ricchi. Chiaramente occorre fare attenzione a trovare al più presto il giusto mix di protezione dell’ambiente e misure sociali che attenuino le disuguaglianze, ad esempio combinando disincentivi all’uso di energie fossili con aiuti legati alla mobilità alternativa. Credo sia possibile pensare a entrambi gli aspetti come complementari e non contraddittori, e che questo sia reso tanto più urgente dalla crisi legata alla pandemia.

E cosa può mai fare la piccola Svizzera?

Ad esempio preoccuparsi di come la piazza finanziaria investe i suoi soldi. Se andiamo a vedere le partecipazioni delle nostre banche in settori altamente inquinanti, vediamo che a quegli investimenti corrisponde un livello di emissioni 22 volte superiore alla produzione interna di CO2 dell’intera Confederazione.

Qualcuno dirà: eccoli qui, i soliti anticapitalisti che vogliono ammazzare l’economia per salvare il mondo.

Ma anche questa tra economia e ambiente è una contraddizione solo apparente. Se lasciamo da parte la prospettiva di breve periodo, capiamo bene che è nell’interesse di tutta l’economia garantire un futuro sostenibile. È chiaro che proprio nel breve termine ci sono dei costi, ma si tratta di un investimento molto meno gravoso di quello che potrebbe toccarci – probabilmente senza poter fare più nulla di davvero efficace – tra qualche decennio. La posta in gioco è comune. Non si tratta di salvare il mondo, ma di salvare l’umanità.

Ecco, ora vi si darà dei moralisti e degli isterici.

È chiaro che detto così può sembrare pretenzioso, ma non è un obiettivo che monopolizziamo: è uno sforzo al quale partecipiamo tutti, è l’umanità tutta che salva se stessa. Quanto all’isterismo: chiunque abbia letto i dati può provare una preoccupazione più che giustificata, che non mi pare corretto liquidare come isteria. A volte l’impressione è che si cerchi di screditare il movimento pur di non dare ascolto alla scienza, magari con lo stesso tipo di reazione ostile che si è avuta in passato per altri movimenti che difendevano i diritti di ognuno di noi.