Stefano Modenini (direttore di Aiti): ‘Ci sono stati diversi casi di quarantene dovute a contatti familiari. I piani di protezione funzionano’.
Nelle imprese ticinesi non sono stati registrati focolai, ma ‘solo’ diverse quarantene. «Nelle circa 220 aziende che fanno riferimento a noi, i piani di protezione vengono rispettati. Anche perché, in caso contrario, l’ispettorato lo avrebbe segnalato», afferma a ‘laRegione’ Stefano Modenini. Il direttore dell'Associazione industrie ticinesi (Aiti) getta dunque acqua sul fuoco in merito alla polemica emersa in Italia, sul fatto che sarebbero i lavoratori frontalieri a contribuire alla diffusione del coronavirus nel Varesotto, visto che in Ticino le misure di protezione nelle aziende sarebbero blande o non rispettate.
Nella provincia di Varese il coronavirus sta mettendo in seria difficoltà la popolazione e il sistema sanitario. In particolare nel comune di Arcisate dove, stando all’agenzia di stampa Ansa, un decimo dei 10mila abitanti è in quarantena. Ma “qual è la causa dell’invasività della pandemia ad Arcisate?”, si chiedeva ieri il ‘Corriere della Sera’. “Un parere diffuso tira in ballo la vicina Svizzera (l’area di Mendrisio)”, si legge in un articolo online. La testata italiana si riferisce ai molti frontalieri che ogni giorno varcano il confine per recarsi sul posto di lavoro e poi tornano a casa alla sera. “Vero che al momento non risultano picchi di contagi nei lavoratori di trasferta in Canton Ticino – precisa l'articolo –; ma è pur vero che più testimonianze raccontano di un approccio elvetico blando per lunghi periodi, di superficiali misure di sicurezza adottate nelle aziende, di protocolli non rispettati, insomma di una situazione che ha ‘creato’ portatori di Covid”.
«Da almeno sei mesi gli ispettori del lavoro e quelli della Suva verificano l’attuazione delle misure di protezione da parte delle aziende», spiega Modenini. «E finora non sono state segnalate disfunzioni gravi». Tuttavia, «a volte si verificano manchevolezze, come plexiglas non installati correttamente o distanze non rispettate». In questi casi l’ispettore segnala i problemi riscontrati all’azienda «che deve immediatamente correggere gli errori». Il direttore di Aiti non esclude che «su circa 220mila posti di lavoro in Ticino vi sia qualcuno che non rispetti le regole», ma finora «non ci sono stati segnalati focolai nelle aziende». Vi sono però «diversi casi di quarantene». Quarantene che sono «perlopiù dovute a contatti familiari: un dipendente resta a casa perché un suo parente si è ammalato». A rimanere a casa sono quindi anche persone sane, che non hanno contratto il virus. E per Modenini ciò indica che «sul posto di lavoro si rispettano le regole».
«Le indicazione date alle aziende (e poi trasmesse ai dipendenti) sono chiare», prosegue il direttore di Aiti: le misure di protezione e un comportamento responsabile «devono essere messi in atto non solo durante l’orario di lavoro, ma anche al di fuori di esso e durante le pause». Pause che sono spesso indicate come situazioni a rischio, visto che il caffè si beve senza mascherina e le distanze non sono sempre garantite. In questi casi l’azienda deve garantire che nel locale preposto vi sia sufficiente spazio oppure assicurare che «i collaboratori non facciano la pausa tutti assieme, ma a orari scaglionati». Ovviamente, si deve anche fare affidamento sull'ormai nota responsabilità individuale. «Non essendo uno stato di polizia, non sappiamo sempre se una persona rispetti o meno le misure di protezione, in particolare al di fuori dall'orario di lavoro. È però nell’interesse delle aziende che i loro collaboratori lavorino in maniera responsabile, perché sennò verrebbe a mancare il personale» che è essenziale per far funzionare un’azienda.
L’Ocst invita “i datori di lavoro a rispettare scrupolosamente le norme Covid, che non sono facoltative, a protezione della salute delle lavoratrici e dei lavoratori”. In un comunicato, il sindacato ricorda anche che “qualsiasi licenziamento motivato dall'assenza da lavoro per una quarantena è certamente da considerarsi abusivo”. Una precisazione dovuta al fatto che “numerose persone telefonano al sindacato dichiarando di essere state minacciate di licenziamento se non si presentano al lavoro pur positivi al Covid o in quarantena”. Per l’Ocst è tuttavia “poco chiaro il motivo per cui un datore di lavoro dovrebbe mettere a rischio la salute pubblica e la possibilità stessa di proseguire la propria attività, dal momento che per l’assenza dei dipendenti in caso di quarantena si riceve l’indennità Covid”. Secondo il sindacato, è “molto più lungimirante” per un’azienda arrestare “temporaneamente la propria attività per arginare il più rapidamente possibile i primi indizi di contagio e garantire il proseguimento dell’attività su lungo termine”.
Stando a Unia, non tutte le aziende ticinesi adottano “in modo sistematico le misure di protezione necessarie”. Quindi, per contenere il virus, “le attività produttive devono essere ridotte il più possibile, pena la loro sospensione pura e semplice, come nel marzo scorso”, afferma il sindacato in una nota. In questo modo, infatti, si ridurrebbe “il numero di persone che si spostano giornalmente dal loro domicilio”, rendendo così le misure restrittive decise dalle autorità per combattere il coronavirus “efficaci”. Diminuendo le attività produttive, lo Stato dovrebbe “ovviamente” assumersi “i costi di tali riduzioni, alfine di evitare il collasso del sistema economico e sociale oltre che quello, pericolosamente vicino, del sistema sanitario”.