Il direttore del Dipartimento sanità e socialità: 'Il dispositivo era in grado di prontezza'. Entra tra le ipotesi la diminuzione delle operazioni elettive
«La curva della seconda ondata pandemica sta salendo con una velocità che fa impressione. Il Ticino non fa differenza, ma ha qualche giorno di vantaggio». Così il direttore del Dipartimento sanità e socialità (Dss) Raffaele De Rosa durante la conferenza stampa per fare il punto sulla situazione della pandemia in Ticino. Ma, soprattutto, per comunicare che gli ospedali ticinesi si stanno preparando all'impatto: «A fronte della velocità di diffusione del virus, preoccupa in particolare l'evoluzione delle ospedalizzazioni», ha commetnato De Rosa, rilevando come sia normale che ciò possa creare «incertezza e angoscia». Il direttore del Dss ha precisato di essere pure lui «certamente preoccupato», ma ha poi aggiunto che si tratta di una preoccupazione sana, che permette di stare vigili, che fa agire pensando al prossimo e a fare tutto il possibile per il bene comune. Il periodo in cui ci troviamo esige che ognuno faccia la propria parte per tutelare gli anziani, così come le persone a rischio. Tra cui ci sono «anche le donne in gravidanza e i futuri nascituri». In mezzo a tanti dati inquietanti, uno positivo c'è: il tasso di mobilità della popolazione ticinese è attualmente in calo.
«Non c'è motivo di pensare che il virus sia cambiato, che la sua pericolosità sia cambiata e che potremo combatterlo con delle misure diverse da quelle prese in primavera», ha commentato dal canto suo il medico cantonale Giorgio Merlani. «L'unica differenza rispetto a marzo è che ora osserviamo il fenomeno più da vicino». Un monitoraggio da cui si nota «un incremento marcato delle ospedalizzazioni» che può essere fermata «unicamente fermando i nuovi contagi».
La situazione epidemiologica complicata ha quindi portato il Consiglio di Stato ad attivare i piani di potenziamento degli ospedali, «che fino ad ora erano rimasto in stato di prontezza». Ci si è concentrati in particolare su quello che si era rivelato essere il collo di bottiglia durante la prima ondata, ovvero le cure intense, in particolare «con l'acquisto di 52 respiratori in più e procedendo a nuove assunzioni all'Ente ospedaliero». Per questa seconda ondata i nuovi contratti sono 40 e l'Eoc ha avviato un nuovo concorso per il personale avventizio. «L'Ente sta poi formando 30 infermieri perché possano dare supporto nelle cure intense». Ma «è illusorio pensare che i possano raddoppiare le risorse all'infinito, ci vogliono anni», ha aggiunto De Rosa.
«Tutto è andato più veloce di quanto ci aspettavamo», ha rilevato dal canto suo Christian Camponovo, direttore della Clinica Moncucco. Se il numero di ospedalizzazioni proseguirà seguendo una curva esponenziale, «anche un dispositivo solido come quello che abbiamo approntato non potrà resistere a lungo». A preoccupare è in particolare la durata della seconda ondata: «Servirà l'aiuto di tutti» per fare in modo che il picco non si protragga.
«Da subito abbiamo attivato l'Italiano e l'ospedale di Faido per accogliere le persone che escono dalla fase acuta della malattia, mentre si è pronti anche ad aumentare le capacità in cure intense su vari nosocomi», ha aggiunto Paolo Bianchi, direttore della Divisione salute pubblica. Non si esclude più, a questo punto, l'ipotesi di «rimandare la cure non necessarie».
I checkpoint, rimasti attivi tutta l'estate, sono ora stati rinforzati con personale paramedico, mentre per le Tre Valli sarà aperto un nuovo punto all'Infocentro Alptransit di Pollegio.
Checkpoint che funzionano bene, ha fatto sapere Mattia Lepori, vice capo area medica dell'Eoc: «Si riesce a effettuare il test nella stessa giornata dell'insorgenza dei sintomi nell'85% dei casi, mentre per il restante 15% si va al massimo alla mattina successiva». Un meccanismo che funziona bene, dunque, anche visto il confronto intercantonale: «In alcuni cantoni chi si ammala oggi deve attendere almeno fino a sabato». Le scorte di tamponi, «sono sufficienti».
A un mese dall'inizio della seconda ondata, ha commentato Lepori, «il numero di ospedalizzati è minore, la crescita è più lenta e meno persone finiscono in cure intense rispetto a questa primavera. Possiamo solo osservare questa tendenza: in altre nazioni non è così e in altri cantoni non è così. Non possiamo quindi escludere che, tra qualche settimana, si torni a un 15-20% di pazienti ricoverati che finiscono in terapia intensiva». In questo momento, ha aggiunto il vice capo area medica «sul totale dei nuovi casi giornalieri, il 3,5% richiede un ricovero». Un dato che Merlani e De Rosa invitano però a non prendere sotto gamba: «Intanto se fate parte di quel 3%, avete un problema – ha detto Merlani –. Ma, soprattutto, se in breve tempo si ammala anche solo un quarto della popolazione, nessun sistema sanitario può reggere il colpo». Una riflessione condivisa da De Rosa: «Se le cifre dei contagi crescono in maniera esponenziale, anche una percentuale bassa di ricoveri finisce comunque per sovraccaricare il sistema – ha enfatizzato –. Se nei prossimi giorni non facciamo qualcosa, se tutti non danno il contributo, rischiamo di avere un numero molto elevato di contagi. L'impatto, se non subito a livello ospedaliero, sarebbe comunque economico: tutti i malati rimangono a casa, per cui non possono andare a lavorare. Non dobbiamo dare l'allarme solo quando si è vicini al limite».
Dal punto di vista anagrafico, attualmente l'età media dei pazienti ricoverati alla Carità si aggira attorno ai 70 anni, mentre in cure intense il più giovane si trova tra i 20 e i 40 anni e il più anziano sopra gli 80.
Rispetto a questa primavera, saranno permesse le visite a malati Covid-positivi: «È estremamente deleterio per i nostri pazienti non poter vedere nessuno. L'idea è quindi quello di permette loro di ricevere visite, seppure brevi. Vogliamo anche evitare la chiusura delle scuole, evitare il confinamento ed evitare la riduzione degli interventi chirurgici elettivi».