Pena pecuniaria per il 49nne cittadino turco residente nel Luganese. La difesa: nessuna propaganda per il terrorismo, faremo appello
Neppure stavolta la tesi dell'imputato - quella cioè di aver condiviso i brutali sei video sul proprio profilo Facebook, fra il settembre 2016 e il febbraio 2017, al fine di denunciare violenze e torture nei territori mediorientali martoriati dagli orrori del terrorismo di matrice jihadista - ha convinto la Corte. «Le argomentazioni portate» dal 49enne «non sono credibili», ha sostenuto nel pomeriggio al Tribunale penale federale il giudice (unico) Fiorenza Bergomi. Che ha così condannato il cittadino turco. Lo ha condannato a una pena pecuniaria - 180 aliquote giornaliere, ciascuna di trenta franchi, sospese condizionalmente per un periodo di prova di due anni - per ripetuta rappresentazione di atti di cruda violenza e per violazione della legge federale che vieta i gruppi 'Al Qaida' e 'Stato islamico'. Gli stessi illeciti, ipotizzati dal procuratore federale Sergio Mastroianni, di cui l'uomo, classe 1971, residente nel Luganese, era stato riconosciuto colpevole, sempre al Tpf di Bellinzona, nel novembre 2018. Anche allora gli era stata inflitta una pena pecuniaria e pure questa al beneficio della condizionale: 240 aliquote. Una sentenza, emessa dal giudice Giuseppe Muschietti, nel frattempo passato al Tribunale federale, che l'împutato, tramite il proprio difensore, l'avvocato Costantino Castelli, aveva impugnato. Con successo. Il verdetto di due anni fa è stato infatti annullato, con decisione dell'agosto 2019, da Mon Repos, che ha ritenuto violato il diritto di essere sentito dell'accusato. Il Tribunale federale ha quindi rinviato l'incarto al Tpf per un nuovo giudizio.
E il nuovo giudizio è stato pronunciato nelle scorse ore. Un verdetto ancora di condanna per il 49enne, che in Svizzera vive da più di vent'anni. Sposato, tre figli, attualmente lavora in un'impresa di pulizie. Nel leggere la sentenza del processo bis la presidente della Corte del Tpf ha anche accennato ai contenuti dei video condivisi dall'uomo su Facebook. Bergomi ha parlato di «immagini scioccanti»: torture, pestaggi, uccisioni. Immagini, ha sottolineato il giudice, «gravemente lesive della dignità umana, destinate a rimanere impresse nella coscienza di chi le guarda». Video «condivisi senza commenti personali, senza esplicite frasi di dissenso o di chiara denuncia della violenza perpetrata». L'imputato, ha aggiunto Bergomi, «ha voluto mostrare quelle immagini di cruda violenza ad altre persone, ad amici: era questo il suo unico vero scopo, uno scopo particolarmente riprovevole». Il 49enne «a volte non ricorda, a volte fa dichiarazioni contraddittorie, poi si difende dicendo che non è stato lui ad aver messo quei filmati in Internet: in realtà - ha evidenziato ancora la presidente della Corte - le argomentazioni portate dall'imputato non sono credibili». In relazione «a cinque video condivisi si è reso colpevole di rappresentazione di atti di cruda violenza, reato, punibile ai sensi dell'articolo 135 del Codice penale, adempiuto sia dal profilo oggettivo sia da quello soggettivo». Il 49enne è stato invece prosciolto con riferimento a un paio di immagini: «La condivisione di queste due foto su Facebook, seppur criticabile, non realizza la fattispecie penale», ha spiegato il giudice. Nessun proscioglimento invece per quel che riguarda i video, i cui contenuti, come scritto, configurano, secondo la Corte penale, il reato previsto dall'articolo 135 del Codice penale svizzero.
L'uomo è stato riconosciuto colpevole anche di violazione della legge federale che vieta i gruppi 'Al Qaida' e 'Stato islamico' nonché le organizzazioni associate. E questo poiché su uno dei filmati condivisi era apparsa, come logo, la bandiera dell'Isis, La Corte, ha indicato la sua presidente, «ha preso atto di quanto dichiarato dall'imputato», ovvero «di non aver notato la bandiera». Tuttavia, ha rilevato Bergomi, «anche se apparsa per circa quindici secondi, quella bandiera evoca d'acchito l'emblema del gruppo terroristico Stato islamico e viene immediatamente associata all'Isis».
In primo grado il cittadino turco era stato condannato nel 2018 ed è stato condannato anche oggi. Il 49enne «si professa innocente, non ha comunque manifestato alcun rammarico particolare in merito alla condivisione dei video», ha osservato il giudice: «Anzi, ha giustificato il proprio agire con la generica affermazione di voler denunciare le torture. Una motivazione che non giova all'imputato e che non ha convinto la Corte. Ha detto che stava male nel guardare quei filmati, intanto però ne ha condivisi ben sei». Tenuto conto «del lungo tempo trascorso dalla prima sentenza e dai fatti», la Corte «ha considerato adeguata» una pena pecuniaria di 180 aliquote giornaliere.
Ma il dossier penale concernente il 49enne verosimilmente si riaprirà. «Faremo appello - ha assicurato alla 'Regione' il difensore, l'avvocato Castelli -. Il mio assistito non ha mai fatto propaganda per l'Isis».