VINO TICINESE

Viti generose, mercato tirchio

Si prevede un'ottima vendemmia, ma i prezzi crollano. Ecco le contromisure

(Ti-Press)
24 agosto 2020
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Ci si aspetta una gran bella vendemmia in Ticino, ma dalla vigna le soddisfazioni potrebbero non arrivare fin giù in cantina, dove si sono già accumulate abbastanza bottiglie per soddisfare 34 mesi di fabbisogno. Il lockdown dovuto al coronavirus ha peggiorato ulteriormente una saturazione già in atto, facendo sfumare le vendite nei ristoranti e ad eventi grandi e piccoli: l’ente promozionale Ticinowine stima che l’invenduto per quell'infausto periodo corrisponda a circa 1 milione e mezzo di chili d’uva (a spanne, un chilo d’uva corrisponde a una bottiglia di vino). Neppure la vivacità della stagione turistica è bastata a ribaltare la situazione. Così, nonostante l’annata tra i filari sia promettente, la maturazione a buon punto e malattie e parassiti circoscritti, l’associazione di categoria Federviti e l’Interprofessione della vite e del vino ticinese – Ivvt, che raggruppa i rappresentanti dell’intera filiera vitivinicola – hanno dovuto orientare i viticoltori verso il diradamento dei grappoli: la cosiddetta ‘vendemmia verde’, pratica che contribuisce ulteriormente alla qualità del prodotto, ma fa piangere il cuore a chi deve sacrificare parte della sua produzione. Alla fine dovrebbe uscirne circa un milione di bottiglie in meno rispetto all’anno scorso, un calo complessivo attorno al 20%. D’altronde nel 2019 la raccolta era cresciuta del 15%, troppo per una domanda aumentata solo del 3%, anche grazie alla rinnovata popolarità dei vini bianchi.

Sorte incerta

Il problema della quantità diventa ovviamente un problema di prezzo, già penalizzato in passato dalla sovrapproduzione. Alla fine, le cantine dovrebbero acquistare a 4 franchi al chilo la produzione almeno entro i 500 grammi al metro quadro (il prezzo non è vincolante, ma scaturisce da un ‘patto tra gentiluomini’ interno alla filiera, che anche a livello di cantine deve fare fronte a qualche problema di liquidità). Anche con la produzione limitata a 800 grammi dal disciplinare del vino Doc – troppa uva sotto ai pampini penalizzerebbe la qualità degli acini – una sorte incerta attende i 300 grammi che restano; alcune cantine potranno ritirarli a prezzo pieno per farne vino Doc, ma in altri casi andrà venduto a 2 franchi per prodotti alternativi: grappa, spumante Igt, formati diversi dalla normale bottiglia bordolese, aceto balsamico, succo di mele, addirittura disinfettanti. E qui entra in gioco anche il Consiglio di Stato, che in settimana potrebbe decidere di sostenere l’operazione con un suo contributo: un franco dovrebbe pagarlo la cantina, l’altro il Cantone.

Lavori a rischio

Il presidente di Federviti Giuliano Maddalena è preoccupato: «Queste tendenze sviliscono il lavoro del viticoltore e ne disincentivano gli investimenti. La sfida più grande resta quella di mantenere viva la viticoltura tradizionale, sperando che il calo costante dei prezzi non induca qualcuno a gettare la spugna. Si tratterebbe di una perdita non solo per il settore, ma anche per il paesaggio e la sua attrattività turistica: pensi all’importanza in questo senso dei vigneti collinari, che richiedono uno sforzo eroico per essere coltivati». Ma se 1'200 viticoltori messi insieme producono l'8,5% del vino ticinese, nelle cantine medie e grandi ci sono in gioco centinaia di posti di lavoro (tra vigna e cantina la filiera arriva a circa 800 persone a tempo pieno, naturalmente non tutte a rischio, oltre alle migliaia di collaboratori occasionali). Di mille ettari ‘messi a vigna’ in Ticino, circa settecento sono gestiti da professionisti. Mirto Ferretti, già responsabile della ricerca viticola all’Agroscope di Cadenazzo e memoria storica del settore, spiega la crisi coi numeri: «Dal 2000, il prezzo medio pagato per le uve Merlot è stato di 4,08 franchi al chilo. Nel 2020 rischiamo di scendere sotto a 3,50. È una tendenza che va in parallelo con la superficie coltivata a vite, che è passata dai 900 ettari del 1995 ai 1’093 di oggi, con un aumento di produzione stimabile a 1,5 o 2 milioni di bottiglie all’anno». Uno sviluppo a doppio taglio, chiosa Luciano Lurati, presidente della sezione luganese di Federviti: «Se ne parla poco, ma rispetto a due anni fa rischiamo di assistere a un calo di reddito nell’ordine del 40%. Sono minacciati i piccoli produttori, ma anche quelli più grandi». Per il futuro, aggiunge Ferretti, «se non vogliamo cadere in una banalizzazione della produzione con il rischio di diminuirne la qualità, è necessaria una pianificazione delle aree viticole che ne consenta una migliore valorizzazione. In altre parole, si potrebbe differenziare meglio i prezzi per le diverse qualità di uva, in modo da diversificare meglio la gamma dei prodotti vinicoli».

'Un'annata balorda'

Intanto questa «è un’annata balorda» per Andrea Conconi, direttore di Ivvt e Ticinowine. Proprio per questo diventa fondamentale spingere a fondo il pedale del marketing: «Partirà a settembre una campagna di comunicazione che punta molto sulle emozioni, e lanceremo anche un’etichetta collettiva: ciascun produttore potrà utilizzarla per le bottiglie del suo vino base da vendere alla ristorazione a soli 8 franchi, un prezzo davvero competitivo. Questa cifra non ci permetterebbe di coprire i costi di produzione, ma il sostegno della Conferenza agroalimentare (un ente cantonale per la promozione dei prodotti della terra, ndr) ci consentirà di arrivare nei ristoranti con un prodotto estremamente accessibile, nella speranza che anche i ristoratori ne approfittino per praticare al cliente un prezzo conveniente. Poi siamo riusciti a raggiungere un accordo con la grande distribuzione per la vendita di 50mila bottiglie di spumante, e ora si mira a produrre 10mila litri di succo d’uva di elevata qualità». Un’altra idea sfruttata da alcune cantine in tempi di lockdown è stata quella di potenziare l’e-commerce, «anche se un grande problema in Svizzera restano i costi di spedizione». Nel frattempo, l’uva sta bene. Ma i produttori un po’ meno.