A non lasciare tranquilli viticoltori e produttori l'aumento dei mesi in stock delle bottiglie, gli sconti sui vini esteri e il calo dei consumi
In Ticino si beve meno vino, le bottiglie restano più tempo negli stock e per i viticoltori «se il prodotto finito fatica a essere venduto non è di certo un bel segnale». Insomma, per chi è nella filiera del vino il momento è in chiaroscuro. Perché sì, spiega alla presentazione della vendemmia 2019 Giuliano Maddalena, presidente di Federviti, «quella di quest’anno sarà molto buona per quanto riguarda sia la qualità sia la quantità, che potrebbe essere più alta rispetto alla media decennale superando i 56 mila quintali». Come è vero che – per fortuna – «la stagione è stata lineare, senza grossi problemi riguardo il maltempo» e che «non abbiamo riscontrato problemi a livello fitosanitario».
Ma le note dolenti partono quando dal grappolo d’uva si passa alle bottiglie di vino. E il problema per Andrea Conconi, direttore di Ticinowine, è «che se ne beve, se ne acquista sempre di meno». E snocciola i dati: «Dal 2007 a oggi il consumo di vino in Svizzera è sceso del 22 per cento, e sono volumi abbastanza importanti». Un cambio di tendenza che «si riscontra anche in Ticino – prosegue Conconi –, e si attesta attorno al 10 per cento, sebbene con diverse sfumature». Nel senso che «sta aumentando il consumo di vini bianchi, per contro è in calo quello dei rossi».
E a cosa si deve questa inversione di tendenza? Per il direttore di Ticinowine i motivi sono molteplici: «Ultimamente sono aumentate le campagne di sensibilizzazione, anche a livello nazionale, sul bere responsabilmente. Una volta si faceva una distinzione tra i vini e i distillati, o i super alcolici. Oggi sembra che vi sia una sorta di accanimento contro il vino». Anche i controlli di polizia più frequenti «magari portano le persone a non bere quel bicchiere che di solito bevevano al ristorante».
Ecco, la ristorazione. «C’è un buon dialogo tra tutte le parti», assicurano Maddalena e Conconi. Ma che anche qui qualcosa stia cambiando è innegabile. E sta cambiando in negativo. Nel senso che «ci sono meno ticinesi che gestiscono i ristoranti, che magari adesso sono meno all’insegna della cultura del vino». E poi c’è l’annosa questione degli sconti applicati ai vini esteri da parte della Grande distribuzione, dove «il 75% delle persone acquista vini che costano meno di 8 franchi la bottiglia». Gli sconti finiscono con il penalizzare i vini ticinesi, e di conseguenza tutto il settore. E Conconi annota, come altra conseguenza, il fatto che «rispetto ai 30 mesi di stock dell’anno scorso, quest’anno abbiamo raggiunto anche i 32 mesi prima di arrivare alla vendita». Troppo, decisamente troppo. La questione dei prezzi vien da sé.
Per questo motivo «tutte le parti hanno deciso di mantenere il prezzo base di 4,15 franchi per ogni chilo di uva, con 17 centesimi, sempre al chilo, di contributo destinato direttamente al sostegno delle vendite in modo da favorire il consumatore finale». Per dare una spinta al mercato insomma, auspicando che «questi soldi vengano usati davvero a sostegno di tutta la filiera».
Infine, il sistema di bonus/malus approntato l’anno scorso – «che penalizza un po’ soprattutto chi opera in collina, che ha costi maggiori», spiega Conconi – varrà pure quest’anno, anche se solo per il malus viste le possibili eccedenze: per ogni 1% di uva prodotta in più, il suo prezzo diminuirà dell’1%.