Ticino

Cosimo lo svizzero: non sono un mafioso

Il 63enne al termine dell'udienza lampo del processo bis al Tribunale penale federale: 'Non faccio parte di nessuna associazione, neppure religiosa o politica'

17 agosto 2020
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Prima di dichiarare chiusa l’udienza, il giudice gli ha concesso l’ultima parola. «Sono innocente, non faccio parte di nessuna associazione, neppure religiosa o politica. Le armi che mi erano state trovate in casa non le ho mai portate in giro. Erano per il poligono. La prego di mettersi una mano sul cuore: non per me, ma per la mia famiglia», ha detto ’Cosimo lo svizzero’ rivolgendosi al presidente della Corte Roy Garré (a latere Fiorenza Bergomi e Miriam Forni). A ricondurre stamattina nella sede di Bellinzona del Tribunale penale federale (Tpf) il 63enne di origini calabresi, domiciliato nel canton Berna, è stata una sentenza emessa in gennaio da Mon Repos. Sentenza con la quale il Tribunale federale (Tf) ha accolto parzialmente il ricorso dell’imputato contro il verdetto, pronunciato nel novembre del 2018 dal Tpf, che lo ha condannato a tre anni e otto mesi per partecipazione e sostegno a un’organizzazione criminale - nella fattispecie cellule della ’ndrangheta attive in Lombardia - ricettazione e ripetuta infrazione alla legge federale sulle armi. Solo su un punto Losanna gli ha dato ragione: quello riguardante la qualificazione giuridica del “cavetto metallico con due anelli alle estremità", rinvenuto a suo tempo dagli inquirenti nell’abitazione di ’Cosimo lo svizzero’. L’oggetto, scrive Mon Repos nella decisione di gennaio, "è liberamente acquistabile attraverso il sito internet indicato dal ricorrente, come anche presso altri siti specializzati in articoli da campeggio. Si tratta di una sega (tascabile) e con ciò di un comune utensile, che non è destinato né in via principale né in modo preponderante a ferire delle persone, bensì a tagliare legno o altri materiali (...)". Per il Tf, insomma, il cavetto metallico in questione non è da considerarsi un’arma ai sensi della legge federale. Di qui il rinvio dell’incarto al Tribunale penale federale “per un nuovo giudizio”.

L’accusa: pena da confermare
La difesa: va prosciolto

Oggi dunque il processo bis. Ai giudici della Corte penale del Tpf il procuratore federale Sergio Mastroianni ha chiesto la conferma della pena detentiva inflitta a ’Cosimo lo svizzero’ nel 2018: tre anni e otto mesi. Il Tribunale federale, ha aggiunto durante la requisitoria il rappresentante della pubblica accusa, ha ritenuto sì fondato il ricorso concernente la qualificazione giuridica del cavetto metallico, ma «ha giudicato prive di fondamento tutte le altre censure sollevate dalla difesa, respingendo per il resto il ricorso». E in primo grado l’imputato è stato riconosciuto colpevole di reati «comunque gravi», come l’organizzazione criminale, previsto dall’articolo 260ter del Codice penale. Secondo Mastroianni, quindi, «non si giustifica» una riduzione della pena irrogata nel 2018. Il Tf, ha obiettato l’avvocato Costantino Testa, difensore del 63enne ed estensore del ricorso a Mon Repos, «su alcune nostre censure non si è proprio espresso». I giudici di Losanna, ha ancora asserito Testa (in aula anche l’altro legale dell’imputato, l’avvocato Nadir Guglielmoni), avrebbero «annullato in toto» il verdetto di primo grado: una sentenza, quella di Losanna, «cassatoria con rinvio». E ciò, per la difesa, riaprirebbe il discorso sugli illeciti per i quali ’Cosimo lo svizzero’ è stato condannato nel processo del 2018 al Tribunale penale federale. Testa ha così nuovamente sollecitato l’assoluzione del proprio assistito da (quasi) tutti i reati. A cominciare dal reato di organizzazione criminale, perché, stando sempre al legale, il 63enne non sarebbe stato e non sarebbe un membro della ’ndrangheta, non avrebbe partecipato ad alcun rito di affiliazione, non avrebbe assoldato mafiosi per la sorveglianza di una coltivazione di canapa e non avrebbe procurato a ’locali’ del nord Italia né droga né armi. Il difensore aveva chiesto l’assunzione di prove (audizioni) a sostegno delle tesi poi esposte in sede di arringa. Istanza tuttavia bocciata dalla Corte. Per la detenzione abusiva di pistole e munizioni da parte dell'imputato, circostanza questa non contestata, il legale ha proposto una pena pecuniaria, sospesa condizionalmente, e una multa.

Un’udienza lampo quella tenutasi stamane al Tpf di Bellinzona, dove a quasi due anni dal primo processo si è rimaterializzato ’Cosimo lo svizzero’. «In questi due anni ho semplicemente lavorato», ha affermato, rispondendo al presidente della Corte, il 63enne che nel canton Berna è professionalmente attivo in un ristorante di cui è «locatario» il figlio. Dal 2018 l’estratto del casellario giudiziale non contempla nuove macchie. La sentenza del processo bis, ha comunicato il giudice Garré, verrà pronunciata a fine mese.

La vicenda giudiziaria del 63enne potrebbe però non concludersi con il verdetto atteso per il 31: se non lo accetteranno, le parti avranno la possibilità di impugnarlo davanti alla Corte d’appello del Tpf.