Ticino

Tre anni e cinque mesi per 'Cosimo lo svizzero'

'Ndrangheta, al processo bis il Tpf conferma le imputazioni. Lieve riduzione della pena da ricondurre essenzialmente al lungo tempo trascorso dai fatti

31 agosto 2020
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«Il perimetro processuale definito dal Tribunale federale è chiaro: il parziale accoglimento del ricorso presentato dall’imputato riguarda esclusivamente la qualificazione giuridica del cavetto metallico con due anelli alle estremità». Che secondo Mon Repos non è da ritenersi un’arma ai sensi della legge federale. «Per il resto il ricorso è stato respinto» dal Tf. Pertanto, ha aggiunto il presidente della Corte penale del Tribunale penale federale Roy Garré, «non vi è alcuna possibilità di rimettere in discussione gli altri punti della sentenza del 27 novembre 2018: gli argomenti con cui la difesa ha cercato di scardinarla, e di scardinare anche quella del Tribunale federale, sono privi di qualsiasi fondamento. Vanno totalmente rigettati». Il collegio giudicante del Tpf di Bellinzona, con alla testa Garré, a latere le colleghe Fiorenza Bergomi e Miriam Forni, ha quindi confermato le imputazioni per le quali ’Cosimo lo svizzero’ è stato condannato, sempre al Tribunale penale federale, quasi due anni fa: partecipazione e sostegno a un’organizzazione criminale (nella fattispecie la ’ndrangheta), ricettazione e ripetuta infrazione alla legge sulle armi. Rispetto però al primo verdetto, la pena detentiva inflitta questo pomeriggio al 63enne di origini calabresi, domiciliato nel Canton Berna, è stata ritoccata verso il basso: da tre anni e otto mesi a tre anni e cinque mesi. Una lieve riduzione da ascrivere essenzialmente al lungo tempo trascorso dai fatti.

Alla sentenza odierna si è arrivati in seguito alla decisione, emessa l'8 gennaio di quest'anno, con cui i giudici del Tribunale federale hanno dato ragione a 'Cosimo lo svizzero' sulla qualificazione giuridica del cavetto metallico rinvenuto dagli inquirenti nella sua abitazione. Un oggetto, sequestrato unitamente a pistole e munizioni, che il Tpf in occasione del processo del 2018 aveva considerato un'arma. Di diverso parere Mon Repos. Di qui il rinvio dell’incarto, disposto dal Tf, al Tribunale penale federale per un "nuovo giudizio”. Ovvero per una «nuova commisurazione della pena», ha puntualizzato il presidente della Corte Garré. Dato che per Losanna quel cavetto non è un'arma, il suo dissequestro «si impone, mancando gli estremi della confisca», con conseguente proscioglimento del 63enne dal relativo capo di imputazione. Per contro gli altri capitoli della sentenza del novembre di due anni fa, ha evidenziato Garré, non possono essere posti in discussione. Cosa che aveva tentato di fare nell’udienza di lunedì 17 agosto al Tpf la difesa dell'uomo, parlando di «annullamento in toto», da parte di Mon Repos, del verdetto del 2018 e chiedendo l’assoluzione di ’Cosimo lo svizzero’. Losanna, aveva invece osservato quel giorno la pubblica accusa, il procuratore federale Sergio Mastroianni, «ha giudicato destituite di fondamento tutte le altre censure», salvo quella concernente appunto il cavetto, «sollevate dalla difesa».

Il giudice: fatto molto grave la partecipazione alle due ’locali’

Al termine del processo bis il 63enne è stato così riconosciuto colpevole, come scritto, anche di partecipazione e sostegno a un’organizzazione criminale. «Il soprannome Cosimo lo svizzero - ha rilevato il giudice Garré - non è un’invenzione della giustizia o dei media, ma proviene dagli ambienti criminali che l’imputato ha frequentato e che per un lasso di tempo della sua vita si compiaceva di frequentare. La partecipazione alle locali di ’ndrangheta di Giussano e Seregno, in Lombardia, e il contribuito fornito nel procurare armi e stupefacenti sono fatti molto gravi». Nell’udienza di un paio di settimane fa ’Cosimo lo svizzero’, anche oggi presente in aula, aveva dichiarato di non essere un mafioso.

I difensori del 63enne assicurano: sarà appello

Avvicinati dalla ’Regione’ dopo la lettura del verdetto, i legali del 63enne, gli avvocati Costantino Testa e Nadir Guglielmoni, hanno fatto sapere che impugneranno la sentenza davanti alla Corte d’appello del Tpf, ciò che non avevano potuto fare con la decisione del 2018, visto che l’appello penale nella giurisdizione federale è stato introdotto successivamente, il 1° gennaio 2019. Il primo verdetto del Tpf era stato di conseguenza contestato con ricorso al Tribunale federale. «Ora in appello - ha affermato l’avvocato Testa - ci sarà un riesame dei fatti ed è quello che la difesa auspicava».