La Commissione costituzione e leggi ha firmato il rapporto di Lara Filippini che raccomanda al parlamento di accogliere l'iniziativa di Piero Marchesi
I partiti o i cittadini potrebbero avere in futuro più tempo per raccogliere le firme necessarie per un referendum o un'iniziativa a livello comunale. Oggi la Commissione costituzione e leggi del Gran Consiglio ha firmato il rapporto unico sull'iniziativa parlamentare elaborata di Piero Marchesi (Udc) che chiede una modifica di legge in tal senso. «I diritti popolari a livello comunali non sono meno importanti di quelli a livello cantonale», dice alla 'Regione' la deputata democentrista Lara Filippini, relatrice del rapporto. Infatti, l'atto parlamentare chiede di portare il termine per la raccolta di sottoscrizione da 45 a 60 giorni per i referendum e da 90 a 100 giorni per le iniziative, come è già il caso a livello cantonale. Spetterà ora al parlamento decidere se accogliere tale proposta, ma essendoci un solo rapporto che ne raccomanda l'adesione, la strada sembrerebbe tutt'altro che in salita.
L'iniziativa di Marchesi è stata depositata circa un anno fa e prendeva spunto dalla decisione popolare del 10 febbraio 2019, con la quale i cittadini ticinesi hanno deciso di estendere il periodo di raccolta delle firme sia per le iniziative, sia per i referendum a livello cantonale. “Per analogia anche i termini relativi al funzionamento della democrazia diretta comunale dovrebbero essere modificati attraverso un adeguamento della Legge organica comunale (Loc)”, si legge nel testo. Attualmente la Loc prevede che un referendum risulta riuscito quando è domandato da “almeno il 15% dei cittadini” (massimo 3'000) e le firme vengono raccolte “entro quarantacinque giorni dalla data di pubblicazione della risoluzione all'albo comunale”. Per quanto riguarda le iniziative, è necessaria la firma di almeno “il 15% dei cittadini” (massimo 3'000) entro “novanta giorni” dal deposito del testo alla cancelleria comunale. Marchesi chiede quindi di portare questi termini rispettivamente a sessanta e cento giorni, senza tuttavia modificare il numero di sottoscrizioni necessarie.
«Si tratta di una questione delicata», rileva la relatrice del rapporto commissionale. «Ho quindi svolto un sondaggio tra i Comuni per capire cosa pensassero di questa modifica legislativa. È emerso che la maggioranza (45 su 70 che hanno risposto) si è detta a favore di un tale adeguamento. Sette Comuni si sono poi detti favorevoli a un'estensione del termine solo per le iniziative e non per i referendum, mentre 18 si sono detti contrari a entrambe le varianti». Filippini fa poi notare come ad esempio «Bellinzona, che ha registrato il maggior numero di referendum (sei) in dieci anni, si sia detto favorevole alla modifica, mentre altri Comuni che ne hanno avuto pochi o nessuno si sono detti contrari».
Ma come si spiega questa reticenza? Nel suo messaggio dell'ottobre scorso sull'iniziativa di Marchesi, il Consiglio di Stato faceva notare al parlamento che “l'allungamento del termine di referendum avrà quale conseguenza il procrastinare le procedure di messa in atto di una nutrita serie di risoluzioni dei Consigli comunali (...). Ad un'agevolazione nell'esercizio dei diritti popolari si contrappone quindi un certo rallentamento nell'iter d'attuazione di svariate decisioni dei Legislativi locali, iter talvolta già percepito come lungo e articolato”. Tuttavia, “non vi sono ragioni tecniche che si oppongono alle modifiche proposte”, ha rilevato il governo, lasciando così al Gran Consiglio “la ponderazione dei contrapposti interessi ed effetti in gioco”.
Una ponderazione che quindi è stata fatta, almeno in commissione. Per i Comuni l'estensione di circa due settimane dei termini «è sopportabile e tollerabile, visto il numero esiguo di referendum riusciti in dieci anni». Filippini è consapevole che con una tale modifica i Comuni possano temere un aumento del rischio di vedersi affossare alle urne «temi a cui tengono moltissimo». A ciò va però aggiunto che in alcuni Comuni non vi è stato alcun referendum: «Dovrebbero quindi essere più che contenti del loro operato». Stando alla relatrice commissionale è inoltre «corretto che il cittadino possa esprimersi» su temi importanti. Ciò sta infatti «alla base della fiducia reciproca tra il cittadino e le istituzioni, alla base della democrazia». La deputata democentrista non crede poi che questa estensione «porterà a un maggior numero di referendum». Al limite «rallenterà un po' i lavori», come ha anche rilevato il governo nel suo messaggio. Filippini è dunque fiduciosa che il Gran Consiglio accolga l'iniziativa di Marchesi.
Facendo questo lavoro di ricerca, la granconsigliera si è resa conto che in Ticino «non vi è una banca dati performante su referendum e iniziative a livello comunale». Infatti, attualmente, i Comuni possono segnalare al Cantone l’esito di una votazione popolare, ma non sono obbligati a farlo. «Sto quindi mettendo a punto un’iniziativa elaborata per creare una base legale affinché questi dati vengano trasmessi automaticamente al Cantone. Dati che possono essere interessanti sia per noi deputati, sia per i Comuni, ma anche, ad esempio, per uno storico.