Cusini, coordinatore del'Atan: 'Ci sono stati disagi, ma il settore ha retto bene. Durante il lockdown ha garantito il servizio, ingegnandosi e aiutando il sistema'
Tra le varie ripartenze che ci sono state dopo l’allentamento delle misure sanitarie per fronteggiare il coronavirus, una "positiva" è quella degli asili nido. “Ci sono stati dei disagi, per carità. Ma il settore ha retto molto bene l’impatto del Covid-19 e altrettanto bene, seppur non in forma integrale con tutte le strutture, la ripartenza” spiega alla 'Regione' Giordano Cusini, coordinatore dell’Associazione ticinese asili nido (Atan). Certo, qualcosa da affinare c’è: “Le strutture hanno segnalato chiaramente tutti i disagi, che sono dovuti più che altro alle misure ordinarie cui si era abituati e che non sono più in uso: gli ingressi e le uscite con i famigliari, o il loro saluto, non possono avvenire con tempi e modalità come prima. Ha avuto di certo un effetto”.
E c’è un aspetto su cui l’Atan sta riflettendo: quello dell’utilizzo delle mascherine. L’intenzione, afferma Cusini, è “andare oltre”. Nel senso che “l’indicazione del medico cantonale agli operatori è di utilizzarle quando non si riesce a garantire la distanza sociale”. Che però “è difficile da mantenere durante attività come il cambio del pannolino o del pranzo o se, ad esempio, bisogna consolare un bambino che si è fatto male o ha bisogno di conforto”. Momenti dove la comunicazione visiva, la mimica sono fondamentali. E Cusini rileva come “per bambini sotto l’anno di età togliere la mimica facciale è togliere molte delle informazioni sociali che gli arrivano: i meccanismi sociali a quell’età sono molto diversi rispetto ai nostri, passano molto attraverso l’espressione”. E quindi? “E quindi la riflessione avviata da alcuni operatori, e anche da alcuni genitori, è quella di considerare se è possibile sostituire la mascherina con una visiera protettiva tipo quelle usate in bar e ristoranti”. Il tutto, assicura Cusini, “ponendo come priorità la tutela della salute del lavoratore e del bambino, perché la scienza non ha ancora escluso definitivamente che i piccoli non siano vettori del virus o possano contrarlo”.
Durante questa pausa forzata sono comunque emersi problemi perché, continua il coordinatore dell’Atan, “quando è cominciato il periodo di ‘lockdown’ molti bambini hanno smesso all’improvviso di andare a scuola. Gli educatori hanno vissuto il disagio di vedere sfumare il tempo investito nell’ambientamento dei bimbi e nella creazione del gruppo, tasselli delicati e importanti”. La soluzione “creata ad hoc” è stata quella di ingegnarsi, “e molte strutture con i bambini dall’anno e mezzo in su si sono attivate con videoconferenze e appuntamenti di lettura per garantire una sorta di continuità ai legami, alla memoria. A quell’età deve esserci un allenamento costante nel tenere vivo il pensiero”.
La buona ripresa è stata garantita, osserva Cusini, “sia grazie alle misure precise da applicare sia alla professionalità degli operatori: il Canton Ticino è all’avanguardia e preso a modello da molti altri cantoni”. E, con una punta di orgoglio, nota come “i nidi non hanno mai chiuso l’attività, che è stata garantita sin da subito a medici, infermieri, o addetti al settore alimentare: tutte queste categorie hanno potuto conciliare famiglia e lavoro in un momento senza ammortizzatori sociali come i nonni, che non potevano accudire i bimbi, solo grazie alle strutture per l infanzia. I nidi hanno offerto non solo un servizio alla famiglia, se non ci fossero stati una persona in ospedale non sarebbe stata curata adeguatamente perché il personale sarebbe stato numericamente inferiore”.