Ticino

La Svizzera 'chiude' agli italiani, tranne che per i frontalieri

Lo ha deciso il Consiglio di Stato. Previsti controlli ai valichi. Ordinata la chiusure di reparti e la sospensione di operazioni non necessarie.

Foto Ti-Press
8 marzo 2020
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Frontiere ticinesi chiuse per tutti gli italiani che non si recano in Svizzera per lavorare. La Confederazione ha reagito alle misure introdotte dall'Italia per contenere il coronavirus. Ai frontalieri sarà chiesto di tenere il permesso 'G' sempre sull'uomo, in modo da poter legittimare il proprio viaggio in Ticino. A domandarne conto potrebbero essere le Guardie di confine o Polizia cantonale dispiegate nei pressi dei valichi a scopo di controllo. Le aziende sono invitate limitare l'afflusso di lavoratori dall'Italia laddove la presenza di frontalieri è strettamete necessaria, favorendo il telelavoro.

Non è invece prevista una deroga al rientro settimanale imposto ai lavoratori italiani: «Non è un tema che è stato discusso dal Governo oggi», ha precisato il presidente del Consiglio di Stato Christian Vitta incontrando la stampa.

Dieci casi in ospedale, 4 in cure intense

Delle 58 persone che in Ticino sono affette da coronavirus, 10 sono ospedalizzati: Altri quattro si trovano in cure intense. «Per la maggior parte dei casi si tratta di anziani, ma in rari casi vengono colpiti seriamente anche persone di mezza età».

Quarantena ridotta a 5 giorni

Come si temeva venerdì, il numero di casi in Ticino è diventato abbastanza alto da rendere impossibile seguire tutti i contatti dei contagiati. «Per l'autorità sanitaria è impossibile controllare la quarantena: ai contatti stretti dei malati verranno quindi fornite semplicemente informazioni su come comportarsi», ha indicato il medico cantonale Giorgio Merlani. «La quarantena scende inoltre (da 14) a 5 giorni, visto che le osservazioni sul campo permettono di stabilire che questo lasso di tempo è sufficiente per verificare l'esistenza di un contagio tra i contati stretti».

Chiusi i reparti di ostetricia e neonatologia a Mendrisio e Locarno

Intanto le strutture sanitarie in Ticino si preparano all'impatto con l'ondata epidemica («Non fatevi ingannare dal lieve aumento di oggi», ha suggerito Merlani, aggiungendo che «durante il fine settimana si fanno meno analisi e meno tamponi»). Così per le strutture sanitarie è stato decisa la riduzione al minimo delle unità non necessarie e la concentrazione di altre. Sospese provvisoriamente le attività nei reparti di ostetricia e neonatologia negli ospedali dell'Ente cantonale a Mendrisio (Beata Vergine) e Locarno (Carità): i pazienti verranno tutti dirottati a Bellinzona (San Giovanni) e Lugano (Civico), dove le gestanti potranno essere seguite dal proprio medico. Chiusi pure i pronti soccorso di Faido, Acquarossa e dell'Ospedale Italiano: le urgenze verranno prese a carico dagli altri ospedali dell'Ente, dalla Moncucco (Lugano) e dalla Clinica Santa Chiara (Locarno). «Si tratta di misure provvisorie che permetteranno di gestire meglio le risorse umane e tecniche, in modo da poter reagire in tempi più rapidi –, ha precisato il direttore del Dipartimento sanità e socialità Raffaele De Rosa –. Ad Acquarossa e Faido si eviteranno inoltre possibili contagi». Lo scopo delle nuove misure «è sempre quello di rallentare il più possibile il progredire del contagio».

Si pensa al divieto di visita e alla sospensione di congedi e vacanze per il personale sanitario

Negli ospedali dell'Eoc saranno pure ridotte le attività ambulatoriali non essenziali così come le attività operatorie non urgenti. Per ora non è invece ancora stato introdotto il divieto di visite, che rimane comunque una delle misure in fase di valtuazione, così come la deroga alla durata dei turni e la sospensione di congedi e vacanze per il personale sanitario. «Al momento in Ticino il sistema funziona bene, ma ci attendono comunque momenti difficili» ha aggiunto De Rosa. 

Scuole aperte

Domani riapriranno anche le scuole: «Della loro chiusura si discute da tempo - ha rilevato Merlani –. Si tratta però di uno strumento da usare al momento giusto. Chiudendo gli istituti adesso, senza peraltro sapere quando le potremo riaprire, non andremmo a modificare in modo sensibile l'andamento dei contagi. Quando avvertiremo un'impennata nella diffusione del virus, potremmo cambiare strategia".

 

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