La provincia di Como, per l’Antimafia italiana, è la seconda per numero di ’ndrine nel Nord Italia. Don Giusto Della Valle: ‘La gente finge di non vedere’
È un inquietante primato, quello della provincia di Como. Un primato dovuto anche alla vicinanza del Canton Ticino: solo quella di Torino, nelle regioni del Nord Italia, supera la provincia lariana per numero di ’ndrine di ’ndrangheta “operative sul territorio”. Un dato, questo, che è concreto, autenticato dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) italiana che, la scorsa settimana, ha pubblicato l’ultima relazione semestrale, riferita ai primi sei mesi dello scorso anno, sulla criminalità organizzata.
“L’azione di contrasto di magistratura e Polizia giudiziaria (sono citate le operazioni ‘Insubria’ e ‘Rinnovamento’ che hanno provato il radicamento della ’ndrangheta in Ticino, ndr) conferma l’operatività, nella provincia di Como, delle cosiddette locali di ’ndrangheta a Erba, Canzo-Asso, Mariano Comense, Appiano Gentile, Fino Mornasco, Cermenate e Senna Comasco”. Dal rapporto della Dia – molto corposo e dettagliato, sono ben 700 le pagine del dossier, integralmente consultabile sul sito internet della Direzione investigativa antimafia – emergono due novità. Innanzitutto, l’operatività di ’ndrine che si ritenevano invece dormienti, come quelle che hanno sede ad Appiano Gentile e a Senna Comasco. Ma, soprattutto, il fatto che, considerato tutto il Nord Italia, solo il capoluogo piemontese fa peggio di Como, a numero di ’ndrine. Torino, infatti, con 870mila abitanti al proprio attivo ha lo stesso numero di ’ndrine della provincia di Milano al suo completo, che conta 3,2 milioni di abitanti.
La Direzione investigativa antimafia ricava i dati contenuti nel proprio dossier dalle “operazioni di natura patrimoniale contro la criminalità organizzata”. E ciò conferma quanto emerso, anche di recente, in un incontro tenutosi a Erba, grazie alla responsabile della Direzione distrettuale antimafia Alessandra Dolci, ‘aggiunta’ della Procura di Milano, la quale ha sottolineato: “La ’ndrangheta sta cambiando pelle: i sodalizi criminali più evoluti prediligono ormai da tempo una strategia di basso profilo, raramente palesano connotazioni militari. Utilizzano la violenza come risorsa aggiuntiva. Ciò potrebbe sembrare una buona notizia, ma invece non lo è, perché questo forte mimetismo fa sì che la ’ndrangheta, e le mafie in generale, siano ancor più pericolose”.
Nel dossier la Dia pone l’accento principalmente sul fatto che, anche a Como, i “principali terminali dei clan sono gli imprenditori e i professionisti”. Dopo aver ricordato quanto sia pesante l’elemento della vicinanza con il Canton Ticino – “dove è facile occultare capitali sporchi” – la Dia afferma che agli imprenditori “l’associazione mafiosa si mostra come un’allettante opportunità imprenditoriale, disponendo di ingenti capitali”, mentre i professionisti spesso sono definiti “compiacenti, asserviti nel nome di convergenze affaristico-criminali”.
Dalla relazione dell’antimafia emerge anche come la provincia di Como rappresenti un passaggio strategico per la criminalità sia albanese che nigeriana sul fronte del traffico di sostanze stupefacenti e su quello della tratta di donne costrette a prostituirsi.
Per paura. O forse perché conviene. Perché magari chi è implicato in certi traffici sa dove vivi, sa dove vanno a scuola i tuoi figli. E quindi è così, «la gente fa finta di non vedere. Fa più comodo pensare che non ci siano queste ‘ndrine. Solo quando accade qualche fatto eclatante, tipo qualche omicidio, qualche arresto, qualche confisca di beni sembra che ci si veda, si aprano gli occhi». Ha il tono un po’ sconsolato Don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio (Como) e Camerlata pochi chilometri oltre la frontiera di Chiasso, molto attivo nel sociale e a contatto con il territorio. «È una realtà, c’è poco da discutere – dice raggiunto dalla ‘Regione’ – e siamo in presenza di un tessuto sociale che finge di essere fuori da questa realtà, composta anche da gente che traffica e compie reati. La priorità non è denunciare, ma vivere tranquilli». Non esprime giudizi Don Giusto, spiega. Racconta. Narra quella che è diventata la quotidianità «con trafficanti, spacciatori. Possono esserci albanesi, o tunisini, marocchini e più recentemente gambiani a vendere droga nei boschi, nelle zone discoste. Ma la regia è unica, ed è in Calabria. È la ’ndrangheta a controllare tutto». E per tutto, dalle sue parole, si intende davvero ‘tutto’. «Ci sono negozi di compravendita di oro molto dubbi, nel nostro quartiere, Rebbio, ci sono fabbricati costruiti da imprese calabresi poi fallite. Fabbricati dove molti appartamenti non sono neanche messi in affitto, e nel giro di subappalti ci sono stati pure degli arresti». E se gli appartamenti appena costruiti neanche vengono messi in affitto, «evidentemente è perché ci sono altri interessi». È una storia, questa, che purtroppo non è recente. Perché «nei paesi tra Como e Milano vivono molti ’ndranghetisti, lo sappiamo: soprattutto nella zona di Cantù e Mariano Comense. E la diffusione, già da anni, è arrivata anche alla provincia di Lecco». Tra pizzerie «dagli affari poco chiari» fino a «indagini addirittura per voto di scambio alle elezioni comunali». Nel silenzio, nel meglio guardare da un’altra parte, che ha sia chi ha paura, sia chi preferisce farsi i fatti suoi. Intanto la ’ndrangheta allunga i propri tentacoli, a due passi dal Ticino. Sempre in silenzio. Sempre di più.