Il presidente del Tribunale d'appello torna sul rapporto fra toghe e partiti. Gobbi su Giustizia 2018: la riforma non resterà in un cassetto
«È giusto esigere che governo, parlamento e partiti rispettino l’indipendenza dei magistrati, ma è altrettanto fondamentale che anche i magistrati stessi siano coscienti e responsabili del loro alto ruolo istituzionale e di servizio». E quindi nei confronti della politica «non devono avere soggezione, sudditanza e reverenza eccessiva». Inoltre «dovrebbero evitare di partecipare ad attività politiche che potrebbero, verso l’esterno, rendere problematica la loro indipendenza». Il presidente del Tribunale d’appello Mauro Mini torna sul delicato e non sempre facile rapporto fra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato: esecutivo (in Ticino il Consiglio di Stato) e legislativo (il Gran Consiglio). Lo ha fatto stamattina intervenendo a Lugano alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2019/2020.
Un argomento, quello del rapporto fra magistratura e politica, sul quale Mini aveva incentrato lo scorso anno, e in occasione del medesimo evento, il proprio discorso di insediamento alla testa della massima autorità giudiziaria cantonale. Stavolta Mini rivendica maggiore indipendenza, che a suo dire passa pure dall’autonomia finanziaria del Tribunale d’appello («Non ha una propria cassa»), un autonomia che agevolerebbe per esempio «l’organizzazione di momenti di formazione per i magistrati», così come «la partecipazione» delle toghe a seminari e corsi di aggiornamento. Dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, osserva il giudice, il Tribunale d’appello «è passato da un organico di quarantanove persone fra giudici, cancellieri e funzionari amministrativi, a uno di centodiciassette persone. Un’evoluzione simile l’ha conosciuta anche il Ministero pubblico. A fronte di questa crescita delle dimensioni, non vi è stato tuttavia un incremento dell’autonomia finanziaria e delle competenze organizzative del tribunale».
Non è tutto. Nomina dei magistrati: Mini auspica «un ridimensionamento del ruolo del Gran Consiglio». Di qui la sua, personale, ricetta. In estrema sintesi: il parlamento si limiti a designare «il procuratore generale e due vice, il presidente del Tribunale d’appello e due vice, il presidente dei giudici dei provvedimenti coercitivi e un presidente dei pretori». Pg, presidente del Tribunale d’appello, quello dei gpc e quello dei pretori formerebbero poi «una commissione» che si occuperebbe del reclutamento, tramite concorso, dei magistrati componenti i vari uffici giudiziari: magistrati che verrebbero confermati o meno «dopo un periodo di prova di due anni». Mini tocca anche il capitolo ‘Giustizia 2018’, la riforma dell’apparato giudiziario ticinese annunciata (diverso) tempo fa dal Dipartimento istituzioni, con l’invito a quest’ultimo a fare ora «una sintesi» degli approfondimenti fin qui svolti. «Rassicuro il presidente del Tribunale d’appello – afferma il capo del Dipartimento Norman Gobbi, anch’egli relatore all’apertura dell’anno giudiziario 2019/20 – che nessuno dei rapporti trasmessi dai gruppi di lavoro rimarrà nei cassetti del Dipartimento, ma che, come più volte indicato nei proficui incontri semestrali tra Dipartimento istituzioni e presidenti delle magistrature parmanenti, come Consiglio di Stato abbiamo definito delle priorità d’intervento sui vari progetti inseriti nella riforma. Perché semplicemente, tutto non si può fare e va garantita l’operatività in questo caso della Divisione giustizia, che si deve occupare anche di altri settori».