Il presidente del Tribunale d’appello torna sul rapporto fra giustizia e politica. Sollevando in chi non frequenta tribunali qualche dubbio. Da chiarire.
I discorsi di Mauro Mini in veste di presidente del Tribunale d’appello un pregio ce l’hanno: fanno discutere. E animano una cerimonia – l’apertura dell’anno giudiziario – solitamente attenta a scansare invasioni di campo, perlomeno quelle manifeste. Poi è chiaro: le diagnosi e le proposte di cura formulate dal giudice che da dodici mesi è alla testa della massima autorità giudiziaria cantonale sono opinabili. Ieri a Lugano l’audace Mini ha consacrato la propria relazione a un unico tema: l’indipendenza della magistratura. E lo ha fatto richiamando il sacrosanto principio della separazione dei poteri, le costituzioni, federale e cantonale, e la Cedu, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Un intervento monotematico che in coloro che non frequentano aule giudiziarie e codici può far sorgere un dubbio. L’indipendenza del potere giudiziario ticinese è a rischio? O è addirittura già compromessa, causa la pressione di partiti e gruppi di interesse? Se così fosse, i cittadini dovrebbero preoccuparsi parecchio. Attendiamo allora sull’argomento il parere del Consiglio della magistratura, cioè dell’organo che in Ticino vigila sul funzionamento della magistratura nel suo insieme. Un chiarimento sulla delicatissima questione si impone.
Anche perché il dubbio si rafforza quando Mini (peraltro: parlava a titolo personale o a nome del plenum dei giudici del Tribunale d’appello?) ha esortato i magistrati a non nutrire “riverenza eccessiva” per gli altri poteri dello Stato e per la classe politica in generale. E quando li ha invitati a non partecipare ad attività politiche, alludendo, pensiamo, a riunioni di partito e aperitivi elettorali: cosa che nell’opinione pubblica potrebbe sollevare interrogativi sull’imparzialità delle toghe. Un invito condivisibile: ci sono comportamenti che sebbene non disciplinati dalla legge dipendono comunque da valutazioni di opportunità. Questo vale per i politici, come per i giudici e i procuratori. Va però anche detto che la vera indipendenza di un magistrato, il quale una volta nominato dichiara fedeltà esclusivamente alla Costituzione e alle leggi, sta nella sua testa, nel suo agire quotidiano attraverso l’emanazione di decisioni prese in scienza e coscienza, frutto del proprio libero convincimento. Oggi non è così? ci domandiamo tornando al discorso di Mini in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019-2020.
Ora, anche il sistema di designazione delle toghe svolge un ruolo importante, molto importante, nel garantire all’apparato giudiziario procuratori e giudici, oltre che preparati, realmente indipendenti. Ma suggerire, come ha fatto ieri il presidente del Tribunale d’appello, modalità di reclutamento diverse da quelle attuali significherebbe riavviare un dossier che dapprima una commissione ad hoc e in seguito il plenum del parlamento hanno chiuso solo di recente, dopo anni di audizioni e dibattiti. Il Gran Consiglio tuttavia non si è limitato a confermare il sistema di elezione stabilito dalla Costituzione ticinese entrata in vigore nel 1998. Vi ha apportato alcuni correttivi. Uno di questi è l’istituzione della commissione (parlamentare) ‘Giustizia e diritti’, con competenze anche nella procedura di nomina dei magistrati. Una commissione che dovrebbe responsabilizzare (maggiormente) i partiti nell’individuare i candidati migliori. Il parlamento adesso non ha più alibi.