Ticino

La pietà e la rabbia

Una cartina stilizzata dell’Europa presenta tutta la parte orientale del continente puntellata di rosso

29 settembre 2018
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Una cartina stilizzata dell’Europa presenta tutta la parte orientale del continente puntellata di rosso: è costituita da fitte macchioline che si accavallano una sull’altra, determinando una sorta di grande ombra che sovrasta Paesi come la Russia, la Romania, la Bulgaria e l’Ucraina. Ogni macchia è un morto per rabbia, malattia di cui ricorreva ieri la Giornata mondiale. Secondo fonti americane, un decesso umano per la malattia – a tutt’oggi incurabile – avviene ogni 9 minuti nel mondo. Fanno 60mila morti all’anno. Cifre che apparentemente non riguardano l’iperprotetta Svizzera dei vaccini e di un sistema sanitario eccellente, ma che invece il veterinario cantonale Luca Bacciarini invita a considerare con estrema attenzione, evitando, soprattutto, qualsiasi banalizzazione.

Storia di Max

Perché banali, all’apparenza, sono storie come quella del piccolo Max, uno Yorkshire color caffè, tenero e vivace se osservato oggi. Ma pochi mesi fa, quando era stato preso in consegna dal picchetto della Protezione animali di Locarno, quel batuffolo appariva sporco e malnutrito. Era l’emblema di un canovaccio collaudato: catapultato in Ticino senza microchip di riconoscimento e passaporto sanitario, era passato di mano almeno tre volte, senza indicazioni chiare e verificabili che potessero localizzarne l’origine. Soltanto un paziente lavoro di “intelligence” aveva consentito di ricostruire il suo percorso; poi, sulla base di indicazioni sufficientemente rassicuranti, era giunta la delibera dell’Ufficio del veterinario cantonale per le cure e le vaccinazioni del caso. Il lieto fine rappresenta la recente presa a carico (qualcuno la chiama adozione) da parte di una famiglia, dove Max, che nel frattempo ha un nuovo nome, ha iniziato la sua seconda (o terza, o quarta) vita. Un lieto fine che rappresenta peraltro un’eccezione, nel panorama dei “sans papier” a quattro zampe. Il quadro che Bacciarini traccia di una problematica diffusissima anche in Ticino, ma ancora per l’appunto banalizzata, è per certi versi agghiacciante. «Stiamo parlando – dice il veterinario cantonale – di una questione serissima, di salute pubblica, riguardante la prevenzione della rabbia: una malattia considerata esotica e lontana dalla nostra realtà, ma che quando si affaccia è letale nel 100% dei casi: negli animali, fra atroci sofferenze, e naturalmente anche nelle persone, che possono contrarla anche soltanto da un contatto fra la saliva dell’animale infetto e una nostra ferita. Youtube è prodiga di filmati durissimi sulle estreme conseguenze di questa patologia».

Terreno fertilissimo per situazioni che possono potenzialmente covare un pericolo mortale è l’ampio mercato che, specialmente dall’Europa dell’Est, via Italia o altri Paesi, si è sviluppato attorno ai cuccioli e ai trovatelli e che si manifesta alle nostre latitudini in tutta la casistica dei cani senza documenti. Gli archivi dell’Ufficio del veterinario cantonale e quelli delle Protezioni animali ticinesi ormai traboccano di casi simili: cani adottati per tenerezza o per pietà tramite portali che vengono sfruttati dalle organizzazioni criminali facendo leva sul buon cuore delle persone. Che in buona fede, ma con colpevole disinvoltura, accettano tortuosi itinerari che possono nascondere dirupi.

«Il cane senza microchip e passaporto con la certificazione antirabica rappresenta un buco nero perché sappiamo che a monte prospera un commercio illegale in partenza da Paesi come Romania, Polonia o Ungheria, considerati esenti da rabbia o a bassissimo rischio, ma beneficiari di questa “qualifica” per una questione di opportunità politica in relazione all’appartenenza degli stessi Paesi all’Unione europea», sottolinea Bacciarini. La cartina citata in entrata, con i suoi puntini rossi distribuiti anche su quei territori, è la perfetta traduzione di questo grande inganno.

Se per i cani certamente nati in Svizzera la mancanza, per leggerezza, di un microchip o di un passaporto porta unicamente a un’infrazione al proprietario, per quelli importati da altri Paesi il discorso è completamente diverso e varia in base alle cosiddette “categorie di rischio”. «La premessa è che in nessun caso si può andare in deroga rispetto all’esigenza di microchip e documentazione d’accompagnamento», precisa Bacciarini. Alla categoria di rischio più basso appartengono i Paesi Ue, gli Stati Uniti e altre nazioni che presentano condizioni favorevoli (dove cioè non sono censiti casi di rabbia nelle aree urbane): per importare legalmente sono necessari il microchip e un passaporto con vaccinazione antirabica (per gli Usa, il microchip più un certificato standard). Ci sono poi i Paesi a rischio di rabbia urbana, per i quali microchip e passaporto non bastano: l’animale, dopo una comprovata vaccinazione, dev’essere sottoposto a titolazione di anticorpi, considerando a monte variabili come l’affidabilità del vaccino inoculato, una tempistica errata della vaccinazione stessa o la presenza della malattia già prima della vaccinazione.

Segnalazioni giornaliere

I “paletti” fissati dalla legislazione svizzera ed europea sono dunque chiarissimi. Eppure giornalmente, come constata Bacciarini, «ci vengono segnalati casi di cani che vengono importati in Svizzera e “adottati”, senza microchip e alcuna documentazione. Questo significa che manca, nella popolazione, una percezione del rischio e della problematica nel suo insieme».

Una problematica che si complica ulteriormente nei gangli della criminalità organizzata, dove l’esigenza di una parvenza di legalità ha portato a sviluppare un traffico di passaporti falsificati: «Parliamo di documenti trasportati in Europa centrale unitamente ai cuccioli e ai microchip. Gli abbinamenti cane-microchip-passaporto vengono fatti a casaccio. Ma spesso si tratta di falsificazioni troppo perfette, anche come tempistica delle vaccinazioni: agli addetti ai lavori per fortuna non sfuggono, così scattano i controlli ed emerge la verità». Senza dimenticare un altro “girone infernale”: quello dei canili municipali che in Italia – terra di passaggio – incassano contributi pubblici per ogni quadrupede registrato, il che non gioca a favore dei controlli su provenienza e affidabilità.

Il messaggio del veterinario cantonale, insomma, è chiarissimo: «Mai prestarsi all’inganno: dietro un cane senza microchip e passaporto, preso in casa per pietà o tenerezza, importato tramite canali poco chiari, c’è un mondo senza scrupoli, anche e soprattutto nei confronti degli animali». Che giunti in Ticino, per ragioni di salute pubblica, arrischiano fortemente di incontrare un destino che ha un nome femminile dal suono seducente: eutanasia.