Ticino

Caso Argo 1, 'violati diritti e doveri del giornalista'

Il Consiglio della stampa accoglie il ricorso di Unia sull'operato del 'Corriere del Ticino'

(foto Ti-Press)
30 agosto 2018
|

Nel 'caso' Argo 1 il Consiglio svizzero della Stampa ha dato ragione a Unia e agli altri ricorrenti. In una nota lo stesso sindacato fa presente che la decisione ha confermato che “il Corriere del Ticino ha violato più disposizioni della Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista e delle relative Direttive, pubblicando nell’ottobre 2017 nomi e circostanze attinenti alla sfera privata di due ex dipendenti della società di sicurezza Argo 1”. Dipendenti che si erano rivolti a Unia per “denunciare mancati versamenti salariali e altre irregolarità e che erano stati sostenuti e incoraggiati dallo stesso sindacato a rendere testimonianza presso Ministero pubblico, e che per questo sono stati accusati dal quotidiano di aver agito come “infiltrati”, cioè di avere avuto da Unia l’incarico di spiare l’impresa per cui lavoravano”.

A fronte di “un addebito falso e grave”, il Cdt non è stato in grado di offrire alcuna prova, afferma il Consiglio della Stampa. Lo ha ribadito rilevando il “'mancato rispetto della verità e rimproverandogli di essere venuto meno al 'dovere di ascolto in caso di addebiti gravi', non avendo 'neppure tentato di sentire uno di loro o tutti e due prima di pubblicare accuse gravi nei loro confronti, citarli per nome' e, in un caso, segnalando fatti privati che nulla avevano a che fare con la vicenda Argo 1”. Il Consiglio della Stampa ha, infine, sentenziato, confermando le motivazioni del ricorso di Unia, che la menzione del nome di uno dei testimoni è da ritenersi illecita in quanto non era dato 'un interesse prevalente alla pubblicazione'.

 Il sindacato Unia Ticino, quindi, prende atto con “soddisfazione” della decisione del Consiglio svizzero della stampa, anche per “l’importanza che rivestono le testimonianze dei lavoratori nell’azione di contrasto della criminalità d’impresa. Testimonianze che, per ovvi motivi, sono già di per sé difficili da strappare e che servizi giornalistici come quelli in oggetto, che fanno passare i testimoni di giustizia come dei colpevoli sbattendo i loro nomi in prima pagina, rendono ancora più difficili”.