“Questo progetto non è un Ufo caduto improvvisamente": presentato il comitato a favore del credito da 6,7 milioni per sperimentare la “nuova” scuola
«Se non proviamo non possiamo sapere». In altre parole, se il prossimo 23 settembre il popolo boccerà il credito da 6,7 milioni per la sperimentazione de ‘La scuola che verrà’ «ci troveremmo davanti a un veto, all’impossibilità di ogni possibile rinnovamento della didattica scolastica per molti anni». E, allo stato attuale, col mondo (soprattutto quello del lavoro) che cambia, «non possiamo assolutamente permettercelo».
Ne è più che convinta Anna De Benedetti Conti, presidente dell’Associazione ‘Sì alla scuola di tutti’. Per quattro motivi: «Innanzitutto siamo davanti a una sperimentazione di tre anni, con un inizio e una fine, non a una riforma cui dire sì o no a scatola chiusa. Perché verrà rafforzato il modo di fare scuola, non il ‘cosa’ fare. E, di conseguenza – continua De Benedetti Conti –, il credito serve a potenziare forme didattiche ritenute più efficaci da usare in più materie di Scuola media». Senza dimenticare, conclude la presidente dell’associazione a sostegno della sperimentazione, che «prevedendo un aumento dei docenti a sostegno degli alunni, è intuitivo che il tutto si traduca in più tempo dedicato a ogni studente per la sua formazione e la sua crescita».
Proprio formazione e crescita, per i sostenitori del Sì al credito, sono al centro de ‘La scuola che verrà’. E Stefano Imelli, direttore della Scuola media di Acquarossa, una delle sedi scelte per la sperimentazione, spiega che non bisogna avere paura perché «non si tratta di un terremoto, né di una rivoluzione, ma di partire da qualcosa che già funziona per migliorarlo e pensare al futuro». Non cambieranno i contenuti che verranno insegnati, «perché decisi con il nuovo piano di studio Harmos», come non cambieranno «le materie insegnate, i loro programmi, gli obiettivi che si pone la Scuola media, le ore complessive di scuola, l’accesso al post-obbligatorio in base alle attitudini degli allievi e che, al termine del ciclo, gli studenti avranno la licenza di Scuola media».
Piuttosto, rileva Imelli, «la differenziazione pedagogica in terza e quarta media non avverrà più tramite i livelli A e B, ma con altre forme didattiche. Ci saranno atelier, laboratori, giornate e settimane progetto, molte materie verranno potenziate con laboratori e atelier». Mentre la valutazione «non sarà più composta di una semplice nota, ma sarà accompagnata da un commento sulle competenze».
Competenze che, ricorda Katya Cometta, vicepresidente dell’Associazione, «non è una parolaccia». L’approccio presentato da ‘La scuola che verrà’, infatti, «si oppone a un insegnamento tout-court e fine a se stesso, senza che vengano fatti collegamenti tra discipline utili sia nella formazione, sia nella vita».
«Noi vogliamo una scuola laica, inclusiva ed equa – ribadisce Cometta –, quindi fedele ai principi che mossero Stefano Franscini e che nessun governo ha mai messo in dubbio. Vogliamo portare ogni ragazzo il più lontano possibile». L’intenzione è farlo superando i livelli, «che spesso illudono chi fa i corsi A e bloccano chi frequenta i corsi B quando poi i test Pisa mostrano come molti che non frequentano i livelli A siano alla pari, se non migliori, degli altri compagni». Che però, se c’è da cercare un apprendistato, vengono favoriti «creando sì, così, disparità».
«Un voto ragionato e non di pancia», chiede Imelli. Un superamento della «paura di cambiare» è invece la speranza di Daniela Pugno Ghirlanda, membro per il Ps della Commissione scolastica e che ha seguito da vicino le varie tappe della riforma. «Se siamo arrivati a ottenere il sì di deputati inizialmente critici, è perché è stato avvertito, dopo tanti anni, il bisogno di cambiamento». Che ci sarà anche nelle Scuole comunali. Nella Scuola dell’infanzia ed elementare, nota Donatella Faldarini, direttrice dell’Istituto scolastico di Paradiso, «ci saranno miglioramenti come l’aumento delle ore di co-docenza, che tengano conto delle diversità di competenze degli allievi».