La struttura di Mendrisio festeggia e apre le porte alla popolazione. ‘Dall'appartamentino sgangherato di Ligornetto ne abbiamo fatta di strada’
L’appuntamento è in cucina: il ‘cuore’ anche di Casa Astra, da sempre. La memoria va a un altro desco e un'altra abitazione, due decenni fa, a Ligornetto. È lì che tutto è cominciato, per il Movimento dei Senza Voce e per chi, di fatto, non era neppure un nome, un numero o un caso da incasellare in una delle casistiche sociali delle istituzioni cantonali. Semplicemente allora i senza fissa dimora non esistevano, se non per un gruppo di volontari determinati a non restare a guardare. A pensarci, ora, sembra una vita fa. Fare del Centro di accoglienza – nato ufficialmente il primo maggio del 2004 – ciò che è oggi – una vera e propria impresa sociale – non è stato affatto semplice. La strada, soprattutto all'inizio, è stata alquanto in salita. Neanche le istituzioni, a ben vedere, credevano nel progetto. Ma prima o poi per tutti occorre fare i conti con la realtà. E oggi Casa Astra a Mendrisio è una risposta accogliente per quanti hanno messo in sospeso la loro vita. Le porte, del resto, sono aperte 24 ore su 24. E non ci sono festivi che tengano. Qui, insomma, si è riusciti a "mettere i margini al centro‘, come recita il pieghevole stampato per il ventesimo. Un traguardo che al civico 2 di via Rinaldi hanno tutta l'intenzione di rimarcare. Lo si farà spalancando domani, dalle 10.30, alla cittadinanza il portone della struttura ricavata dal 2015 dalla vecchia osteria del Ponte.
«Festeggiare vent'anni è un traguardo abbastanza inatteso per me – ammette Donato Di Blasi, direttore di Casa Astra, con Roberto Rippa, presidente del Movimento dei Senza Voce, uno dei padri del progetto –. Lo è in particolare se torno con la mente agli inizi della nostra esperienza, viste le premesse. Siamo partiti da un appartamentino alquanto sgangherato a Ligornetto, zero soldi, zero personale, volontari di passaggio: così per almeno tre anni. Ad aver cambiato prospettiva è stata la ricerca sui senza tetto commissionata alla Supsi nel 2005. All’epoca il Cantone cominciava a interessarsi alla problematica – allora Martino Rossi era direttore della Dasf (Divisione dell'azione sociale e delle famiglie) – e questo lavoro ha rilevato delle cifre consistenti di persone che ogni anno chiedevano a diversi enti, servizi, parrocchie degli alloggi di emergenza. All'epoca si parlava di circa 800 persone e di una probabile punta dell’iceberg. Ai tempi in Ticino era presente la comunità ecuadoriana, che rappresentava una parte evidente. Da lì come Movimento abbiamo realizzato un piccolo progetto, poi sottoposto al Cantone, che ha ricevuto il via libera nel 2007, assieme a un finanziamento parziale e indiretto, attraverso i fondi della lotteria».
Il bisogno, del resto, lo si è toccato con mano ben presto. «In quello stesso anno la Clinica psichiatrica cantonale ci ha sollecitato dei collocamenti, soprattutto di giovani adulti appena dimessi e senza un accompagnamento – ripercorre il direttore –. Da quel momento ci siamo detti che con il contributo pubblico ricevuto avremmo potuto sgravare le spese, ad esempio dell’affitto, e avere la possibilità di assumere a tempo parziale un operatore per seguire da vicino le persone accolte».
Sembra quasi paradossale che una istituzione cantonale, allora, vi chiedesse una mano, appoggiandosi, di fatto, a una struttura nata dalla buona volontà di un drappello di volontari. «Per effetto dei tagli in quei giorni iniziavano a chiudere alcuni appartamenti accompagnati e mancavano delle alternative. Nel frattempo – annota Di Blasi –, il Cantone collocava delle persone in difficoltà e senza una casa nelle pensioni. Cosa che avviene anche ora: a tutt’oggi nessuno ha le cifre precise del fenomeno, nonostante le varie sollecitazioni parlamentari. D'altro canto, quando si decide sui centri di accoglienza, noi non veniamo consultati in genere».
Poi strada facendo ci si è accorti che il disagio era più profondo e sulla porta di casa. «In effetti, dal 2007 Casa Astra è divenuta un approdo anche per i residenti e ci siamo resi conto anche noi dell’esistenza di questo bisogno. Agli inizi, infatti, ci occupavamo soprattutto di ‘sans papier’ presenti sul territorio. Quindi abbiamo avviato una collaborazione con un progetto della Croce Rossa, Rete esclusi dall’assistenza». Poi sulla soglia sono comparsi i cosiddetti Nem, ovvero le ’persone con decisione di non entrata in materia‘ nell'ambito della procedura d'asilo. E arrivi e presenze poco a poco sono cresciuti: dalla sessantina di persone l'anno a Ligornetto alle 120 circa in media l'anno a Mendrisio, il doppio; dalle tre stanze con quattro posti letto della prima sede alle 11 camere con 23 posti letto (e una mensa da 40 posti) odierni. A moltiplicarsi, però, nel tempo sono stati anche i rifiuti, per mancanza di posto: si sono toccati i 200 casi l'anno.
«Troppi. A quel punto – ci dicono Donato Di Blasi e Roberto Rippa – ci siamo detti: o si fa un salto di qualità per lavorare degnamente o chiudiamo, per tutti noi era così. Nel 2009 – ricorda il direttore – qualcuno mi ha detto che a Mendrisio c’era una vecchia osteria in vendita. Ci siamo guardati attorno e abbiamo fatto le nostre valutazioni: conveniva acquistare; e l'edificio in cui siamo oggi era la soluzione migliore».
E lì parte una nuova avventura. «Nel Natale del 2010 abbiamo lanciato la raccolta fondi e quattro anni dopo siamo riusciti ad acquistare lo stabile, ricevendo il benestare del Comune di Mendrisio. Dopo mille peripezie ci siamo riusciti», rievocano. Trovato casa, occorreva adattarla alle necessità del centro di accoglienza. «Ci abbiamo lavorato per un anno, operatori e ospiti: la notte a Ligonetto, il giorno al cantiere. I mezzi erano pochi», rammenta Di Blasi. «C'erano professionisti della zona che venivano a controllare e a darci indicazioni volontariamente – si aggiunge Rippa –. Il sostegno della comunità è stato prezioso e non ci è mai mancato. Anche se, sulle prime, la gente non capiva bene di cosa si trattasse».
Oggi chi continua a bussare alla porta di Casa Astra? «Una parte degli ospiti, come agli inizi, ci viene indirizzata dalla Clinica psichiatrica. Sono persone che non hanno ancora un accesso a un’altra struttura dedicata o che devono di nuovo cercare casa. Oppure si tratta di utenti in attesa di una soluzione – ci risponde Di Blasi –. Poi vi è chi ci viene segnalato da Ingrado e convive con problemi di dipendenze e di alloggio, dopo una sequela di ‘fallimenti’ vista le loro condizioni di salute. C’è poi chi ha subito uno sfratto, chi ha vissuto una separazione o ha avuto un allontanamento per violenze, e giovani adulti allontanati dalla famiglia e usciti dal radar della scuola». Per Roberto Rippa «spesso dietro queste situazioni vi è un disagio psichico non ancora diagnosticato. E le famiglie faticano ad accettare che ci sia un problema più serio; e si arriva alla frattura. Qui manca un po’ quel tipo di sostegno. Queste situazioni hanno iniziato ad avere una rilevanza sociale da un po’, ma la risposta tarda ad arrivare. Ci vorrebbe un po’ di coraggio in più».
Nel tempo la popolazione ha imparato, però, a conoscere Casa Astra anche attraverso le sue innumerevoli attività. «Gli spazi a disposizione, in effetti, ci hanno permesso di mettere in piedi una serie di progetti», ci spiega il direttore. E l'elenco è nutrito. Si è organizzato un servizio di catering, con il Buffet migrante, ma ci si è messi anche a coltivare la terra. In questi anni l'orto ha triplicato la sua superficie, per le necessità della mensa. Ma non vi siete fermati qui. «Abbiamo acquisito un piccolo vigneto a Castel San Pietro, dove insieme alla Cantina Fontana di Balerna produciamo vino, 3-400 bottiglie – etichetta Casa Astra, ndr –; continuiamo con la produzione di miele d'intesa con Ca.Stella a Meride, attività che da quest’anno ha ricevuto un finanziamento dell'Ente regionale per lo sviluppo. Abbiamo anche iniziato una produzione di piccoli frutti a Riva San Vitale, dove pensiamo di piantare pure degli ulivi».
Le idee, d'altro canto, non mancano. «C’è un progetto in corso con la Fondazione Galli, nell'ambito del Parco Valle della Motta, per l'utilizzo dei terreni agricoli intorno al Mulino del Daniello. La proposta è quella di realizzare un impianto di vite maritata e produrre uva per succo, oltre a gelsi per le marmellate. Ci vorrà ancora del tempo ma vorremmo recuperare queste antiche tradizioni». In dirittura d'arrivo c’è, invece, un'altra grande opera: il risanamento energetico della sede, che potrà godere di contributi cantonali. «Stiamo ultimando la procedura – ci conferma Di Blasi –. In animo abbiamo la volontà di cercare di avere una struttura con un impatto il minore possibile sull'ambiente. Stiamo pensando, infatti, di passare al fotovoltaico utilizzando il tetto, ma anche tre facciate. Ciò ci permetterà di abbandonare l’olio combustibile per una pompa di calore e di rinnovare completamente lo stabile, aggiungendo all’orto bio e alla fitodepurazione, pure la produzione di energia propria. In questo solco stiamo portando avanti altresì la creazione di mobilia autoprodotta per le stanze».
A Casa Astra si stringono legami che non si spezzano. Così nel 2021 si è avviato un progetto ribattezzato ‘Per aspera ad Astra’ – attraverso le asperità si giunge alle stelle –, rivolto innanzitutto agli ospiti in uscita, con l'intento di tessere una rete. «Finanziato per due anni dalla Cate della solidarietà, il sostegno ci è stato concesso per altri due anni – ci aggiorna il direttore –. Questo approccio ci permette di seguire gli ospiti in uscita e di stabilizzarli una volta fuori e, al contempo, tramite incontri e consulenze, dà modo ad altri di non dover arrivare a Casa Astra». Questa forma di accompagnamento, annota Roberto Rippa, «aiuta a non creare uno stacco traumatico. Quando le persone stanno qua, sono contente di trovare un nuovo alloggio e di ritrovare una autosufficienza, ma il distacco spesso è difficile: da una vita comunitaria ci si ritrova da soli. Serve anche un supporto psicologico».
Il sorriso sul volto di Stefania non manca mai. Nonostante tutto. Lei, ci fa capire, è una combattente. Tra poco lascerà Casa Astra: adesso ha di nuovo una abitazione tutta sua. Ma nella struttura ha trovato un’ancora di salvezza quando vi è arrivata alla fine di marzo. Cosa l’ha portata qui?, le chiediamo incrociando la sua storia nelle stanze della Casa. «Nella mia vita ho sempre lavorato – ci racconta –. Ero una assistente di studio medico. Poi sono rimasta senza lavoro. Ero in disoccupazione da due mesi e ho avuto un problema serio di salute, che mi ha costretto a ricoverarmi in ospedale per un lungo periodo. Dopo un mese mi hanno detto che non mi avrebbero più dato nulla, anche se la malattia non è una colpa».
Chi è inabile al lavoro dopo 30 giorni perde il diritto all’indennità di disoccupazione. «Così ho dovuto chiedere di accedere all'assistenza – ci spiega –. E questo ha fatto precipitare la situazione. Fuori dall’ospedale mi sono trovata senza un tetto sulla testa. Sapevo, però dell'esistenza di questa struttura. E quando sono arrivata mi hanno accolto benissimo; mi hanno aiutato tanto, anche moralmente. Non ti lasciano crollare. Non è evidente, infatti, a 50 anni trovarsi in una situazione del genere. Abbiamo fatto un percorso insieme e piano piano abbiamo cercato una sistemazione stabile, che finalmente ho trovato».
Stefania, però, un pezzetto di cuore lo lascia a Casa Astra. «Qui ho trovato anche persone che conoscevo già, persino il mio primo moroso delle scuole medie – ci svela Stefania –. Con il mio carattere poi non ho faticato a fare conoscenza un po’ con tutti e a intrecciare nuovi legami di amicizia, certo con persone diverse da quelle che erano parte della mia cerchia abituale. In questa casa c’è un senso di comunità».
L’hanno aiutata a ripartire, a riprendere in mano la sua vita? «Esatto. Sono così contenta di avere trovato una casa. Ma verrò a trovarli». Di sicuro non si perderanno di vista. «Noi non la lasceremo sola».