A tre mesi dall’approvazione del Preventivo 2024 il punto con le strutture di protezione per minori. Sconforto per l’incertezza dei finanziamenti futuri
«Abbiamo sempre più a che fare con bambini anche molto piccoli che vivono situazioni di forte disagio, sofferenza e fragilità. Un tempo le richieste di accoglienza nelle nostre strutture erano legate soprattutto agli adolescenti di 12, 13, 14 anni, mentre ultimamente stiamo assistendo a un abbassamento importante dell’età – fino a 3, 4, 5 anni – e a una trasformazione dei bisogni per i quali è necessario un intervento sempre più specifico. Risparmiare in questo ambito può portare a situazioni estremamente problematiche». Ribadisce un sentimento di grande preoccupazione per gli effetti delle misure di riequilibrio finanziario del Cantone Mario Ferrarini, direttore della Fondazione Vanoni e co-coordinatore della Conferenza dei direttori dei Centri educativi per minorenni (Codicem) di cui la Fondazione fa parte. Sono passati oltre tre mesi dall’approvazione da parte del Gran Consiglio del primo pacchetto della manovra di rientro iscritto a Preventivo 2024, pacchetto che per le strutture di protezione per minorenni comporta una riduzione del contributo globale per 350mila franchi e il prelievo parziale dei fondi capitalizzati per 2,34 milioni. Ma come si stanno traducendo a livello operativo queste cifre? «Per far fronte alla riduzione di 350mila franchi per la gestione ordinaria di quest’anno le strutture devono attingere ai fondi propri – spiega Ferrarini –. L’enorme problema è però che al contempo questi fondi vengono toccati dai tagli in maniera decisamente difficile da sopportare. Inoltre sono destinati a coprire i rischi aziendali e la promozione di nuove prestazioni, non le scelte politiche di tagli sui finanziamenti». A dare un ordine di grandezza dell’incisività di tale misura è Gian Paolo Conelli, anche lui co-coordinatore della Codicem nonché direttore della Fondazione Amilcare che gestisce foyer e altri progetti per adolescenti: «A causa di tale intervento i fondi della nostra Fondazione si trovano ora quasi dimezzati e questo è grave perché si tratta di riserve che sono state messe da parte con fatica, grazie a esili utili che si aggirano intorno all’1%, ma in maniera anche virtuosa per poter affrontare momenti di difficoltà nella gestione dei servizi. Se per il 2025 – quando si prospetta una manovra di rientro ancora più consistente – dovessero essere riproposte misure del genere, noi come Fondazione rischieremmo di rimanere completamente scoperti».
Per quest’anno, premettono i due coordinatori della piattaforma, sono scongiurate ricadute dirette sui servizi offerti dalle strutture per minorenni, sulle liste d’attesa e sul personale, ma il direttore della Fondazione Vanoni mette in guardia: «Se le prossime misure dovessero andare a toccare nuovamente il budget globale c’è chi sarebbe costretto a intervenire sul personale, ciò che comprometterebbe il funzionamento di un settore in cui è già ora molto difficile trovare dei professionisti. Fare l’educatore in questo ambito – argomenta Ferrarini – è molto impegnativo perché richiede di stare costantemente a contatto con situazioni di disagio palpabile». Le misure di risparmio, aggiunge al riguardo Conelli, «costituiscono un ulteriore aumento della pressione sul settore e questo genera anche in chi deve portare avanti le attività a livello dirigenziale una sensazione di sconforto. Se vogliamo garantire ai bambini e ai ragazzi di trovare nelle strutture persone che siano in grado di sostenerli e di dare loro fiducia nel futuro, servono educatori non solo competenti e formati, ma che abbiano anche delle condizioni di lavoro che non li portino al burnout».
La pressione a cui fa riferimento Conelli è la conseguenza di aumento di situazioni fragili e caratterizzate da grande complessità che stanno mettendo in difficoltà tutto il settore che lavora con i ragazzi: «Si va dalla pedopsichiatria ai servizi sociali, dalle scuole all’inserimento professionale fino ai Cem. Si tratta di una pressione che sentiamo da 6-7 anni, dunque ancora prima della pandemia. Per farvi fronte ci stiamo muovendo di concerto con l’Ufag – l’Ufficio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani che sottostà al Dipartimento sanità e socialità – per cercare di rispondere a queste sollecitazioni attraverso l’implementazione di alcuni progetti». Tre, nello specifico, sono quelli in corso di realizzazione presso la Fondazione Amilcare: «Dal 2020 – articola il direttore – stiamo inserendo un supporto all’attività diurna nelle strutture residenziali, vi stiamo introducendo anche la figura del consulente familiare, e stiamo portando avanti un progetto di riavvicinamento al mondo del lavoro chiamato ‘Adomani’. Non siamo però ancora a regime in nessuno dei tre in quanto li abbiamo dovuti scaglionare su più anni per la necessità già preesistente di ridurre l’impatto sulla spesa pubblica». Si sta dunque da tempo viaggiando a rilento rispetto ai bisogni emergenti. «Esatto, un passettino alla volta – conferma Conelli –. E ora che stavamo intravedendo il traguardo il pericolo è che con questi risparmi rimanga tutto in standby». Il 2024-25, illustra Ferrarini, è inoltre il biennio in cui dovrebbe prendere il via l’elaborazione di una Pianificazione nel settore della protezione dei minorenni a livello cantonale allo scopo di definire le priorità dei prossimi anni: «Si tratta di un esercizio estremamente importante che va fatto col Cantone. Il rischio è che anche questo venga influenzato negativamente dal discorso dei tagli». L’incertezza rispetto alle possibilità di finanziamento rende dunque ancora più critica la situazione di precarietà con cui è confrontato il settore.
A monte di tale situazione c’è «una fragilizzazione importante delle famiglie – annota il direttore della Vanoni –. Come Fondazione oltre a un Centro educativo a Lugano abbiamo il Sae – Servizio di sostegno e accompagnamento educativo – dislocato su tutto il territorio cantonale che si occupa di interventi a domicilio. In molti casi osserviamo che all’interno delle famiglie ci sono innanzitutto genitori che hanno difficoltà di tipo concreto nella quotidianità. C’è un aspetto primario che può sembrare banale ma non lo è – dice Ferrarini –, ovvero quello di riempire il frigo con qualcosa da mangiare. Se un genitore non riesce a farlo, e vediamo diverse situazioni del genere, è indispensabile partire da lì prima di iniziare a discutere di dimensione educativa e relazionale. Numerose sono anche le situazioni di abbandono scolastico e di fatica nel trovare un posto di lavoro». Il disagio e la difficoltà educativa, tiene a sottolineare Ferrarini, sono trasversali alla società. «È vero che laddove vi è più agio a livello finanziario e laddove le risorse familiari sono più ampie con nonni e zii che forniscono un appoggio, c’è a disposizione una paletta più ampia di mezzi per far fronte a certe situazioni. Dove invece i genitori sono da soli e hanno poco contesto sociale intorno, il ricorso ai servizi è più frequente. Tuttavia la sofferenza non guarda in faccia alle categorie sociali. Negli anni abbiamo seguito tutta una serie di situazioni estremamente complicate in cui le persone coinvolte non avrebbero mai immaginato di trovarsi. In molti di questi casi ci accorgiamo che il bisogno è visto come uno stigma a causa della paura di essere etichettati. Qualsiasi tipo di famiglia in difficoltà dovrebbe invece potersi sentire legittimata a dire che da sola non ce la fa. Su questo aspetto però c’è ancora tanto da lavorare». Lavoro per il quale servono maggiori – e non certo minori – risorse. «Di fronte alla crisi di disagio giovanile a cui stiamo assistendo sul piano nazionale e internazionale, ovunque gli operatori si stanno domandando cosa fare per sostenere famiglie e minorenni», indica Conelli, che segnala un esempio virtuoso: «Il Canton Vaud, anch’egli nelle cifre rosse, ha appena votato un investimento di 80 milioni di franchi per i prossimi anni allo scopo di rafforzare tutto il settore di chi lavora con i minorenni. Lì probabilmente è passato il messaggio che risparmiare ora significa posticipare la risoluzione dei problemi e ingigantirli sia per quanto riguarda l’entità del disagio e della sofferenza, sia per quel che concerne l’aumento delle spese sociali – come l’Assistenza o l’Assicurazione invalidità – che si produce quando non viene offerto un adeguato sostengono alle persone nel momento del bisogno».
In Ticino i professionisti del settore della protezione dei minori sono in attesa di «tre grosse manovre», rende noto Conelli. Vale a dire: i progetti legati alla Pianificazione sociopsichiatrica cantonale, in particolare per quanto riguarda la pedopsichiatria e il sostegno ambulatoriale dei minorenni con problemi di tipo psicologico; la riforma delle Arp, le Autorità regionali di protezione; e la costruzione del Centro educativo chiuso per minorenni (Cecm) previsto ad Arbedo-Castione. Qualche novità a proposito di quest’ultimo – a cui il Gran Consiglio ha dato il nullaosta nel febbraio del 2022 – la fornisce Ferrarini in quanto proprio alla Fondazione Vanoni è stato affidato il compito di approntare il concetto pedagogico e di gestire la struttura che accoglierà giovani con particolari problemi comportamentali o che devono scontare una pena detentiva di al massimo 14 giorni, al cui scopo è previsto un posto dei dieci totali.
«È stato un iter molto complesso e articolato perché per poter approfondire e creare un concetto pedagogico di qualcosa che in Ticino non esiste abbiamo dovuto far capo alle esperienze di altri Cantoni in cui ci siamo recati per visitare diverse strutture – ripercorre Ferrarini –. Ora con l’elaborazione del concetto pedagogico siamo in una fase molto avanzata: il Cantone ci ha affiancati nella sua definizione e ha condiviso la positività del risultato. Adesso si trova al vaglio di Berna e a breve ci incontreremo per la terza volta con i referenti dell’Ufficio federale di giustizia per perfezionare gli ultimi aspetti». Un orizzonte temporale per la realizzazione del Centro il direttore della Fondazione Vanoni non è però in grado di fornirlo. La struttura, rivela «con un pizzico di entusiasmo» Ferrarini, ha tuttavia già un nome: «L’abbiamo chiamata ‘La clessidra’. Questo perché ci siamo dati come obiettivo quello di valorizzare il più possibile il tempo che i giovani passeranno con noi, nella relazione intensiva che offriremo loro e che sarà il cardine del Centro. L’idea è di costruire insieme ai ragazzi i contenuti di quei tre mesi che di principio dovrebbero passare con i nostri educatori».
Il progetto di Centro chiuso – ricordiamo –, proposto da un’iniziativa popolare dei Giovani liberali radicali nel 2006 denominata ‘Le pacche sulle spalle non bastano’, è stato oggetto di lunghi e accesi dibattiti prima della sua approvazione in parlamento, tanto che era stato creato un Coordinamento ad hoc contrario alla sua realizzazione secondo il quale esistono “modalità più serie ed esperimentate di un Centro chiuso per offrire ai giovani l’occasione di fare una pausa/sosta”. Coordinamento che lo scorso novembre, dopo la pubblicazione del messaggio governativo sul Preventivo 2024, è tornato a manifestarsi tramite un comunicato stampa in cui rinnovava l’appello ad abbandonare definitivamente la costruzione del Centro considerato “punitivo e coercitivo”, affermando che “non c’è davvero nulla che suggerisca di mantenere questo progetto con i costi che esso comporta, anzi: con i mezzi risparmiati sarebbe possibile allocare alle strutture esistenti e funzionanti e al lavoro di prevenzione i fondi necessari a proseguire nella loro insostituibile opera” che si trova – rimarca anche il gruppo – minata dai tagli.
Replica Ferrarini: «Il parlamento ha deciso che si tratta di un servizio che va offerto ai nostri giovani, e lo ha fatto con ragione. Il bisogno è confermato e non credo che la costruzione di una struttura volta a rispondere a un bisogno non coperto in Ticino andrà a togliere risorse ad altri servizi. Questo non è mai stato l’agire dell’Ufag. Poi è vero che, come per la manovra di rientro, le scelte politiche possono prendere vie imprevedibili. Ma non sarà questo investimento – il credito votato per la sola realizzazione è di 3,3 milioni – che farà affossare l’economia del Canton Ticino. Anzi, toglierà molti costi futuri nel settore sociale, che potrebbero protrarsi per numerosi anni e persino diventare cronici». Rispetto invece agli aggettivi “punitivo e coercitivo” utilizzati dal Coordinamento contro il Cecm, Ferrarini commenta: «Una volta che il concetto sarà accettato anche da Berna verrà sottoposto al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio e allora si capirà che per i nostri giovani accolti abbiamo puntato molto su un percorso che abbia una forte valenza educativa e risocializzante sviluppando laboratori tematici, consulenze individualizzate e tanto altro. È chiaro che rimane una struttura chiusa, purtroppo ci sono dei giovani che hanno bisogno di essere fermati ma sostenuti. Il nostro lavoro sarà di offrire a questi ragazzi, come detto, una relazione intensa che permetta loro nel tempo che abbiamo a disposizione di passare dalla situazione problematica che li ha portati a entrare nella struttura a una situazione che dia loro una concreta prospettiva per il futuro».