Da ‘cittadini liberi’ del Distretto è nato un movimento. Si chiama ‘Mendrisiotto regione aperta’ e rivendica attività di supporto sociale ai richiedenti
A prima vista, sabato, potevano sembrare poche decine. Ma le persone (di ogni età) che in corteo hanno attraversato le vie di Chiasso, dalla sede amministrativa del Centro federale d'asilo, lì in via Milano, alla piazza Indipendenza non sono che una avanguardia di un movimento che sta prendendo forma in una parte della società civile locale. E che non ci sta a ‘leggere’ la tematica migratoria come una spina nel fianco. Manifesto-simbolo lo striscione in testa – ‘Per un mondo libero, solidale e antirazzista’ –, la settantina di partecipanti alla manifestazione (pacifica e «autorizzata», ci hanno fatto notare, seppur scortata a distanza dalla Polizia) crede sia tempo e ora di far sentire tutte le voci, incluse quelle dei migranti alloggiati nelle strutture di Chiasso e Pasture (tra Balerna e Novazzano). A chi ieri ha lasciato gli edifici di via Motta, le ragazze e i ragazzi del Collettivo R-esistiamo e SOA Molino, affiancati dai Volontari di Rebbio e da Stop all’ignoranza di massa, hanno ceduto infatti il microfono, affinché potesse raccontare un po’ del suo vissuto.
Giunti all'esterno del vecchio Centro d'asilo, a ridosso del confine chiassese, si fa avanti una signora, minuta. La si scorge a fatica oltre il pianale del furgone che fa da amplificatore a discorsi e musica. Poi si fa forza e dà libero sfogo, nella sua lingua, a ciò che ha dentro. La traduzione ci fa capire che è una donna in fuga: con i suoi figli ha cercato di sottrarsi a un marito violento, che ha tentato di ucciderli. Ed è poi approdata in Svizzera. «Sono arrivata qui – dice – per salvarli. Ma dopo cinque mesi non ho ancora ricevuto alcuna risposta dalle autorità». In più i bambini non ce la fanno a stare rinchiusi ore e ore, vivendo in promiscuità; vorrebbero uscire come gli altri. «Chiediamo quindi alla Segreteria di Stato della migrazione (Sem) di dar seguito alla nostra richiesta, così da poter vivere bene come tutte le persone». La speranza è tanta.
Del resto, la sua è una delle mille storie stipate nelle strutture d'accoglienza oltre cancelli e inferiate. Per una porzione del fronte politico – a Destra, ma non solo – i richiedenti l'asilo oggi sono, però, diventati un ‘problema’ e un tema da cavalcare in campagna elettorale in vista delle Elezioni federali. I numeri? Troppo alti (da tempo nel Basso Mendrisiotto si oscilla tra i 550 e i 600) per un territorio ristretto, si scandisce da settimane. E poi ci sono i migranti che non rispettano le regole, dentro e fuori le mura del Centro federale d'asilo: e qui si reclamano misure e sanzioni, oltre all'attenzione di Berna. Argomenti che stanno facendo breccia. La petizione lanciata da Moreno Colombo, già sindaco di Chiasso, sta veleggiando oltre le 1'500 firme. E la conta finale non è ancora stata fatta.
La politica migratoria, però, non è solo una questione di ordine pubblico. E se Collettivo e SOA lo hanno urlato a chiare lettere sabato verso le strutture federali – denunciando una "situazione disastrosa" oltre a condizioni di vita non degne e atteggiamenti violenti da parte delle autorità di sicurezza –, il nascente movimento di cittadini intende mettere sul tavolo un'altra accoglienza e un'altra integrazione possibile. Perché, si fa memoria, la domanda d'asilo è un diritto sancito dalla Costituzione e dal diritto internazionale. Il suo programma ‘politico’, d'altra parte, è già nel nome scelto: ‘Mendrisiotto regione aperta’. Un assioma nel quale credono fortemente le persone che si stanno ingaggiando su questo versante. Non a caso tra loro si annovera anche chi conosce bene le nostre istituzioni e siedeva in gremì consiliari e municipali.
«Il nostro movimento – ci spiega il coordinatore, Willy Lubrini, già municipale a Castel San Pietro – è nato in modo spontaneo in occasione della festa alternativa del Primo agosto, proprio qui in piazza a Chiasso. Di fatto si è voluto reagire alla propaganda della Destra xenofoba e razzista di criminalizzazione di questi ospiti, proponendo una inchiesta sociologica per cambiare il tipo di narrazione. Ovvero facendo parlare le persone che vivono a Chiasso sul loro vissuto e su cosa pensano della convivenza con i rifugiati. Da lì, da questa nostra inchiesta, è partito tutto».
Uno degli obiettivi iniziali, dunque, è capire come la cittadina coabita oggi con il Centro federale d'asilo. Conoscere l'esito di questo ‘sondaggio’ potrebbe modificare la percezione? «L'indagine – ci conferma Lubrini – è ancora in corso e ci vorrà un po’ di tempo per raccogliere i dati». Ma il movimento non intende fermarsi lì. «In effetti – ci mette a parte Lubrini –, abbiamo un'altra idea da portare avanti. Si tratta di una piattaforma con delle proposte concrete. Il problema che noi vediamo è chiaro: senza un supporto sociale è impossibile gestire con criteri di umanizzazione il Centro. Lo hanno già evidenziato anche i servizi psicosociali che si occupano del disagio. Le persone, infatti, hanno bisogno di socializzazione e di integrazione sociale. Vengono da territori dove questo principio, questo modo di vivere, è molto sviluppato. Ritrovandosi qui in posti chiusi per mesi – e sono famiglie, minorenni –, per loro è una sofferenza. Allora cosa facciamo? Li curiamo con gli psicofarmaci o facciamo prevenzione? Dunque, utilizziamo le risorse che abbiamo in un territorio che possiede le potenzialità per rispondere a questi bisogni di socializzazione».
Che ruolo possono giocare, quindi, le istituzioni? «Certo, ci vuole la volontà politica – richiama il coordinatore –. E proprio le istituzioni, tutti i Comuni del Mendrisiotto, devono farsi carico di questo problema, insieme al volontariato e alla società civile. Perché questo Distretto ha una tradizione di solidarietà che si è sviluppata da decenni, dalla Seconda guerra mondiale e anche prima. È il lato positivo della nostra realtà di frontiera».
Avete già potuto avere un riscontro in tal senso dalla società civile, dal mondo dell'associazionismo? «Vi sono già diverse associazioni culturali e sportive così come tanti volontari – ribadisce Lubrini – che si sono già espressi a favore delle nostre proposte. Non posso ora come ora dare un numero preciso, ma c’è una forte volontà. Ma devo dire che pure a livello istituzionale ci sono dei Comuni che si sono già messi a disposizione per organizzare lavori di utilità pubblica. Finora sono quattro, ma non bastano. Non dimentichiamo – fa presente ancora il coordinatore – che il Centro federale è stato paracadutato nel Mendrisiotto; e il Mendrisiotto deve trovare insieme delle risposte adeguate, delle opportunità di integrazione sociale».
Diciamo che occorre stringere una sorta di patto sociale tra il territorio e la comunità delle strutture federali. «Esattamente. Il nostro intento è proprio questo: sciogliere tutte le preoccupazioni che ha la Sem – in effetti ci sono, non so per quale motivo, delle forti riserve verso iniziative di socializzazione – e dimostrare, come territorio, che siamo in grado di collaborare con loro e di dare questo supporto. D'altra parte – annota Lubrini –, chi al loro interno si occupa degli equilibri mentali di queste persone, lo ha segnalato come causa del malessere mentale dei richiedenti asilo. Dobbiamo porre i presupposti per gestire al meglio questa struttura».
Lubrini, del resto, è convinto che risorse e mezzi esistano già. «Bisogna solo coordinarli in una rete e incanalarli con delle proposte politiche e sociali ben definite e concordate con tutti gli attori in campo, la Sem, Confederazione, Cantone, Comuni e privato sociale».
Di fatto vi ponete come controcanto alla narrazione di una certa politica. «Le persone che hanno provocato i problemi di ordine pubblico a Chiasso sono sei o sette. E gli strumenti per intervenire sull'ordine pubblico ci sono già. Non c ’è bisogno di declamare l’emergenza – fa notare Lubrini –. È un normale problema di gestione del territorio: far rispettare le leggi. Non si capisce, allora, questa propensione della Destra di vedere solo problemi e fantasmi, invece di guardare alla realtà. E adesso a Chiasso non ci sono problemi; e se ci sono, si interviene a salvaguardia dell'ordine pubblico. Ma non è solo questo: qui sta l'errore. Lo ripeto: è una questione di umanizzazione e accoglienza e di non concentrare molte persone in poche strutture. Ma pure qui, si può pensare di ridistribuirle sul territorio, considerando l'intera area della Svizzera centrale».