L'alleanza di istituzioni, enti, Cacciatori e Wwf ha permesso di recuperare alla vita un bosco luminoso alle pendici del San Giorgio
Agli occhi dei più è di sicuro sfuggita. Chi da Meride dirige verso il Serpiano su due o quattro ruote non se ne accorge neppure. Invece, poco fuori l'abitato del Quartiere di Mendrisio, oltre la fontana-lavatoio, c'è una selva non di certo oscura (anzi), ma senz'altro sconosciuta. Solo chi vive il territorio e lo percorre con passione conosce, infatti, l'esistenza della cerreta di Premoran, alla quale veniamo guidati. Gli esperti la chiamano bosco luminoso. In effetti, basta lasciare la strada per essere colti d'un tratto di sorpresa da una radura semiaperta circondata da cerri - una specie di quercia tipica solo di aree circoscritte del Sottoceneri -, secolari come appena piantati, oltre a grosse roveri e peri selvatici. Giunti lì, quanti abitano la realtà urbana del Distretto hanno una ragione in più per riconciliarsi con il nostro ambiente. Per la fauna e la flora locali è un rifugio. Un angolo di Mendrisiotto, due ettari di territorio, che grazie all'intuizione del forestale di zona (Sanzio Guidali) oggi, a oltre tre anni di distanza, esprime tutto il suo valore. Un progetto di recupero che è riuscito a mettere d'accordo persino cacciatori e ambientalisti, uniti in questa missione.
Del resto, la Società cacciatori del Mendrisiotto non è nuova a interventi del genere. Il progetto concretizzato a Premoran, grazie all'intesa stretta fra Comune, Cantone e vari enti anche privati - tra cui si annoverano la Fondazione Doninelli e la Fondazione Blue Planet -, non è che la terza tappa di un piano d'azione ben più ampio in cinque fasi, mirato alla valorizzazione dell'habitat regionale. Dall'autunno prossimo ci si sposterà, infatti, sul Poncione d'Arzo e ci si concentrerà su un comprensorio di circa quattro ettari al 'Gerun da Merat', a ridosso di un prato secco di importanza nazionale. Sì, perché da queste parti ci si muove, appunto, fra testimonianze naturalistiche inserite nell'Inventario federale del paesaggio e dei monumenti naturali di importanza nazionale e specie rare oltre che caratteristiche di questi luoghi (dal gladiolo alla 'Filipendula vulgaris'): d'altro canto siamo sul Monte San Giorgio, bene Unesco. Diego Allio, alla testa della Società cacciatori, mostra il risultato (quasi finale) dello sforzo profuso con una punta d'orgoglio. In fondo, i 90 mila franchi cofinanziati per il recupero della cerreta non sono che un'ulteriore dimostrazione degli obiettivi di un'operazione che sin qui ha visto investire quasi mezzo milione, prendendo il 'la' nel 2015.
Il contesto in cui ci si immerge, richiama a tutti Lorenzo Schmid, responsabile del progetto, è notevole. Si parla di bolle (per gli anfibi), prati secchi e radure di riconosciuto pregio. Non per nulla, il progetto messo in campo per la cerreta porta con sé «molteplici obiettivi e funzionalità. Da un lato - spiega - ci siamo impegnati a preservare i cerri, che non si trovano di frequente in Ticino e in Svizzera, ragionando in termini di selva - come per i castagni -, dall'altro, a livello ecologico e ambientale, si va a tutelare un'area, fra la campagna di Meride e il bosco chiuso, che è l'habitat di specie rare e anche minacciate. Senza trascurare la valenza storica, culturale e paesaggistica di questo bosco luminoso».
In un certo senso è un ritorno al passato. A Premoran, infatti, richiama ancora Schmid, si è riguadagnato il terreno perso con l'abbandono dell'agricoltura tradizionale e l'avanzamento del bosco, che dalla metà del secolo scorso hanno ridotto in modo drastico gli habitat per fauna e flora. Un fenomeno, si rilancia, che non ha risparmiato neppure le pendici del San Giorgio e del Poncione d'Arzo. Senza dimenticare che nella cerreta un tempo si allevavano i maiali, ghiotti di ghiande. L'intervento, quindi, è stato particolarmente attento e restituirà il comparto alla gestione di un agricoltore della regione.
Per Giorgio Moretti, capo dell'Ufficio della selvicoltura e degli organismi pericolosi del Dipartimento del territorio, si può dire che questo luogo rappresenta «un unicum a livello subalpino». E trovare nella Società cacciatori un alleato è stato importante. Anche l'immagine dei cacciatori, fa presente Enzo Barenco della Federazione cacciatori ticinesi, non va associata solo alla carabina, non più. E a dirlo sono fatti e numeri: in questo inizio di 2021, enumera Barenco, 17 società hanno presentato 24 progetti di recupero dell'habitat per 60 ettari, 30 giorni di lavoro e 60mila franchi di costo. Tutti argomenti che sono riusciti ad abbattere le barriere tra la categoria e gli ambientalisti. «Potrà sembrare strano - concede Marta Falabrino a nome del Wwf e della Alleanza Territorio e Biodiversità - che il Wwf abbia un progetto in comune, ma qui chi ci guadagna è la natura», sgombra il campo. Soprattutto davanti a progetti «interessanti e utili».
Di motivi per non tirarsi indietro, visto la posta in gioco, ne avevano pure le istituzioni. E se il Cantone ha accolto di buon grado l'idea del suo forestale, accompagnando la realizzazione dell'intervento. La Città non è stata da meno. «Per questo tipo di progetti Mendrisio c'è», fa sapere il sindaco Samuele Cavadini. A fronte dell'esigenza di preservare le biodiversità, ribadisce poi, «è questa la visione della Città che vogliamo dare e mantenere. Tant'è che presto arriverà la risposta del Municipio sul nuovo progetto al Poncione d'Arzo». Se ne vedranno ancora delle belle, insomma. All'avvocato Graziano Papa, e a coloro che, come lui, si sono battuti una vita per questo nostro territorio, la 'nuova' cerreta sarebbe piaciuta.