Giorgio Fonio, neo segretario dell'Ocst del Mendrisiotto, dà voce a speranze e timori. 'Gli effetti del Covid? Non abbiamo ancora visto nulla'
Giorgio Fonio, a 36 anni lei si ritrova alla guida del Segretariato Ocst del Mendrisiotto, una sfida professionale ardita, soprattutto in tempi di Covid-19. Inoltre, è responsabile a livello cantonale del settore pubblico. Dal punto di vista di un sindacalista che veste anche i panni del politico, ormai di lungo corso, è più difficile dirigere un sindacato o sedere fra i banchi del Consiglio comunale (di Chiasso) e del Gran consiglio?
(Sorride) Sono due sfide diverse. Quella politica ha le sue difficoltà, che sono quelle tipiche dell’attività politica, ma mi ha permesso di arrivare al vertice pure di un partito (il Ppd, ndr), quale vice presidente, dove però posso contare su un presidente (Fiorenzo Dadò, ndr) che è molto presente. Da sindacalista, invece, mi trovo ad avere la responsabilità del Segretariato di un sindacato, l’Ocst, che nel Distretto conta 12mila associati a fronte dei 40mila globali: non pochi. In ogni caso ho la fortuna di avere al mio fianco una squadra di stretti collaboratori eccezionali (i vice segretari Marcello Specchietti, Davina Fitas e Nenad Jovanovic e il responsabile dell’assistenza giuridica Marvin Ceruti, ndr). Certo qualche pensiero ce l’ho (e non lo nasconde, ndr). Ma ho anche la tranquillità di sapere di avere dei colleghi davvero bravi, che amano il proprio lavoro e non si risparmiano; e perseguono un ideale molto forte. La nostra è una bella realtà, e giovane. Ho accanto persone che sono entrate nel sindacato più o meno nel mio stesso periodo; fa eccezione Marcello Specchietti, che resta per tutti noi il saggio del Segretariato, che ci aiuta e ci sostiene. Da quest’anno, poi, assumerà la responsabilità di tutto il settore cantonale dell’industria; e per il Distretto che conta su un settore industriale importante è una fortuna.
Questa squadra giovane rappresenta una bella svolta per l’Ocst.
Noi arriviamo dall’era Mecatti, che è stato il mio segretario quando ho iniziato e che è sempre stato il mio punto di riferimento sindacale. Poi è stato designato Giuliano Butti, dal quale raccolgo il testimone e che si è trovato ad assumere l'incarico in un momento difficilissimo: subito dopo il crollo della soglia minima del cambio euro-franco. Per la nostra realtà, che poggia sulle esportazioni, è stato un duro colpo. Quindi tutti noi abbiamo avuto modo d'imparare tanto.
Qual è stata la prima cosa a cui ha pensato; il primo obiettivo che le si è affacciato alla mente quando ha preso possesso dell’ufficio del segretario a Mendrisio?
Quello che ho detto subito ai miei collaboratori è che in ogni cosa che affronteremo, giorno dopo giorno, dovremo mettere al centro le lavoratrici e i lavoratori. Dovremo sempre immedesimarci nelle persone che si rivolgono a noi. Anche perché lo stiamo vedendo: questa è una situazione molto difficile. La prima cosa che ho pensato, quindi? Vorrei portare ciò che mi ha sempre ispirato: coltivare una forte relazione, un legame con le persone. Che a volte ti conduce purtroppo anche a delle delusioni. Essere un sindacalista, in altre parole, non significa restare chiusi in ufficio; siamo noi a dover scendere in strada, andare sui luoghi di lavoro. Un po’ come in ‘Sister Act (sorride, ndr), quando la falsa suora convince le consorelle ad aprirsi al mondo esterno. Desidererei, insomma, che nel Mendrisiotto quando un lavoratore ha un problema sappia di poter chiamare l’Ocst. L'auspicio è di continuare a essere il sindacato di riferimento.
La crisi sanitaria ha appesantito le condizioni di lavoro e acuito i problemi, in particolare in alcuni settori dell’economia, rendendo difficoltoso altresì un mercato del lavoro già complesso: le priorità dei lavoratori sono mutate, e come? Il sindacato dovrà rivedere la sua azione?
A mio parere non abbiamo ancora visto tutto di quelle che saranno le conseguenze di questa pandemia. Sinora gli ammortizzatori sociali, infatti, hanno più o meno mitigato le difficoltà. L’unica cosa certa è che questa fase ha impoverito i lavoratori. È stato salvaguardato (non per tutti) il loro posto di lavoro, ma si sono visti decurtare una buona parte del salario: l’orario ridotto salva l'occupazione ma contrae del 20 per cento la busta paga. Per quanto concerne i posti di lavoro veri e propri, come detto, non abbiamo ancora visto niente. Certo, sono preoccupato per quello che potrebbe capitare. Stiamo assistendo, in effetti, a tutta una serie di mutazioni all’interno del mondo del lavoro che potrebbero avere degli effetti. Faccio un esempio: il telelavoro, che è una bellissima cosa e crea delle opportunità, mostra pure i suoi rischi. Pensiamo alla riapertura dopo il primo
‘lockdown’: in particolare nel settore bancario si è continuato a utilizzare lo ‘smart working’. E questo ha svuotato i centri. Si sono avute così delle conseguenze nella ristorazione: se diminuisce la cifra d’affari, calano gli impieghi. A questo punto una delle grandi sfide sarà riuscire a coniugare gli aspetti interessanti del telelavoro in alcuni ambiti con l’esigenza di mantenere i posti di lavoro in altri rami dell’economia. All'interno del sindacato, invece, si dovrà capire come adattarsi a queste mutazioni. Si tratta infatti di cambiamenti epocali. Sin qui siamo stati abituati a modalità lavorative convenzionali; questa nuova realtà, per contro, ci obbliga tutti - noi, lo Stato, la politica, il legislatore - a cambiare la visione del futuro. Basti dire che siamo sempre connessi. Dunque, il sindacato dovrà avere un ruolo determinante, come lo ha oggi nella contrattazione. Sarà fondamentale regolamentare al meglio il telelavoro a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori.
L’Ocst dovrà trovare altri argomenti nel dialogo/confronto con il padronato? Insomma, le lotte sindacali, il scendere in piazza saranno ancora strumenti efficaci in questo mondo digitale e distanziato per difendere diritti e tutele?
Assolutamente sì. Anzi, con quello che si prospetta, il sindacato dovrà avere un ruolo ancora più importante e più forte. Bisognerà evitare che con la scusa della pandemia vengano smantellati, ad esempio, delle conquiste sociali ottenute negli anni. Oppure che vengano impoveriti i salariati. Il sindacato ha la capacità di capire dove ci sono delle difficoltà, ma ha anche il dovere e il compito di comprendere dove la volontà è quella di approfittare di una determinata situazione, impoverendo qualcuno a beneficio di altri. Quindi sarà ancora più importante, e lo stiamo già vedendo in alcuni settori, la contrattazione collettiva. Lì dove c’è una contrattazione, infatti, c’è anche un rapporto franco, onesto e trasparente fra le parti. Dove non sussiste, è evidente, poter dialogare diventa molto più duro e difficile e talvolta anche più rigido.
Ha evocato il contratto collettivo di lavoro (Ccl) e la contrattazione: nel Mendrisiotto come siamo messi?
Nel Distretto, devo dire, abbiamo tanti ambiti regolati da un Ccl. È una particolarità e al contempo una tradizione che ci portiamo con noi da diversi anni. E questo è motivo di orgoglio per la regione e per i lavoratori. In effetti, abbiamo numerosi contratti collettivi. Il Mendrisiotto, secondo me, ha tante realtà sane; subisce un po’ la presenza di alcune mele marce che si approfittano delle circostanze, si infiltrano nel territorio per poi ‘inquinarlo’ in un certo senso. Nel 2011 parlavo di ‘lombardizzazione’ dei salari e del modo di fare impresa: sembrava solo ieri e sono trascorsi ormai dieci anni.
All’epoca si puntava il dito per lo più sui ‘call center’.
Un settore che grazie anche alle denunce del nostro sindacato, nel frattempo, va detto, si è dato delle regole: la dimostrazione l’abbiamo in casa, a Chiasso. Lastminute.com che inizialmente si è affacciata sul nostro territorio come un call center, è approdata, infatti, a un contratto collettivo di lavoro che garantisce, fra altre cose, sei mesi di congedo maternità. Oggi è un’azienda con cui c’è un dialogo, dopo aver avuto in passato uno scontro molto forte: è la dimostrazione che il confronto fa crescere. Oggi questa società propone delle agevolazioni sociali all’avanguardia.
A proposito di ‘infiltrati’, quali sono i settori più a rischio?
Di sicuro il terziario. Poi c’è l'edilizia: qui abbiamo infatti tutta una serie di imprese storiche, sane e con dei valori; quindi occorre fare attenzione. Del resto, abbiamo avuto dei casi arrivati persino in un’aula penale. Esempi di pseudo impresari che pensano di arrivare nel nostro Distretto e fare quello che vogliono. Una tale situazione penalizza i lavoratori ma al contempo le imprese esistenti, con cui si ha un buon dialogo e che negli anni hanno dato un contributo al tessuto sociale.
Il punto è che arduo richiamare questi ‘furbetti’ alle loro responsabilità.
Diciamo pure che a loro non importa nulla. Ma il vero problema è che le leggi sono state fatte in anni in cui tutto era diverso. Insomma, il legislatore dovrà prima o poi colmare la lacuna e modificare alcune regole. Si dovranno inasprire le norme. Anche perché il danno di queste presenze non sarà solo a carico dei salariati ma pure dell’economia sana, che è il motore del nostro Paese.
Abbiamo parlato di diritti. Passando dalla parte dei lavoratori: quali sono oggi i bisogni che manifestano maggiormente? E cosa le hanno insegnato in questi suoi dodici anni di sindacato?
In questi anni ho incontrato davvero tante persone e tanti casi. Uno degli ultimi che ricordo e che, penso, mi porterò per sempre nel cuore, è il caso dei lavoratori, uomini e donne, della casa per anziani Santa Filomena di Stabio. È stata una di quelle situazioni in cui ho vissuto insieme a loro le difficoltà che stavano passando. Mi hanno emozionato soprattutto il coraggio e la tenacia con i quali hanno difeso i loro diritti, senza timore di esporsi. Mi viene alla mente un'assemblea, durante la quale sono stato attaccato duramente dalla vecchia direzione dell'istituto e dall’allora Consiglio di fondazione: i dipendenti presenti hanno sottoscritto un documento nel quale si confermavano tutte le denunce da me portate avanti. In quel momento mi hanno insegnato che se una persona crede in quello che sta facendo e lotta per i suoi diritti, prima o poi riesce a spuntarla. Alla Santa Filomena ce l’hanno fatta.
Un’altra cosa in questi anni mi ha appassionato e coinvolto: essere al fianco dei lavoratori over 55 che hanno perso il lavoro. Quegli stessi lavoratori che mi hanno spinto, come deputato Ppd, a presentare con il sostegno di tutto il partito alcune iniziative a sostegno di questa fascia di età. È una di quelle vergogne sociali che non riesco ad accettare: vedere persone che hanno dato tanto nella loro vita e vengono licenziate senza troppi scrupoli solo perché costano un po’ di più in contributi.
C’è poi un’altra realtà lavorativa sensibile che mi sta a cuore, quella delle neo mamme. Le situazioni a cui ho assistito in questi anni, posso proprio dirlo, mi causano un gran mal di pancia. Capita che queste donne vengano allontanate con mezzi e mezzucci. Anche in queste neo mamme ho trovato la voglia di lottare per i loro diritti.
Tornando alla politica: c’è il rammarico di non aver coltivato la carriera, magari puntando al Municipio di Chiasso?
Direi proprio di no. Si tratta di una scelta che ho fatto quattro anni or sono: allora sarebbe stato il momento di provarci, dopo una legislatura alquanto battagliera. In quell’occasione mi sono trovato a un bivio: dovevo decidere cosa fare della mia vita. All’epoca ero già gran consigliere e vice presidente del partito e avevo un figlio, oggi ne ho quattro. Sta di fatto che ho deciso di concentrare le mie forze sull’attività sindacale e sulla politica cantonale; e guardando indietro non me ne pento.
Alla fine ha prevalso il sindacato.
In effetti. In ogni caso, se parliamo di politica, la carica che meglio si concilia con l'incarico di segretario sindacale è quella di parlamentare, che ti permette di portare su scala cantonale delle proposte che possono essere davvero utili per i lavoratori. Penso alle indennità per gli over 50, alla protezione delle donne incinte, alla verifica dei nuovi permessi per accertare se i salari sono conformi, senza dimenticare l’iniziativa per escludere le agenzie interinali dagli appalti. Tutte tematiche che ho preso dal mio Segretariato e ho tradotto in atti politici con la fortuna di aver sempre ricevuto il sostegno del mio partito.
Un’ultima domanda: da piccolo voleva fare il sindacalista?
In verità la mia passione erano i treni. Il mio sogno da bambino è sempre stato quello di fare il macchinista. Anche adesso mi capita di fermarmi a guardare i treni passare, magari dal ponticello sulla strada fra Sant’Antonio a Balerna e la Costa di Novazzano.