Mendrisiotto

Violenze e percosse tra le mura domestiche, chiesti 8 anni

Per l'accusa non ci sono dubbi: il 35enne residente nel Mendrisiotto comparso oggi in aula, ha tentato di uccidere la (ex) moglie

(Ti-Press)
17 dicembre 2020
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Quattro punti di sutura alla mano, tumefazione a un ginocchio, tumefazione all'avambraccio, frattura del polso sinistro, ematoma sottoorbitale, due punti di sutura a un dito, ematoma alla rotula, avulsione di un incisivo ed ecchimosi alla guancia, microfrattura al polso destro. Quanto appena descritto è sì, a tutti gli effetti, un bollettino medico prolungato nel tempo. Ma è anche la lista presente nell'atto d'accusa stilato dalla procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis. Un elenco che riporta tutto quanto ha dovuto subire – dal 2010 all'11 aprile 2019 – la (ora ex) moglie del 35enne residente nel Mendrisiotto, ex agente alle dipendenze di un'agenzia di sicurezza, comparso oggi davanti alla Corte delle assise criminali di Mendrisio presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchietti. Una lista – non totalmente riconosciuta dall'imputato – alla quale l'episodio culmine: quello dell'11 aprile dello scorso anno. Evento che, per l'accusa, equivale a promuovere l'accusa di tentato omicidio intenzionale e proporre una pena detentiva di 8 anni. L'undici aprile, in un appartamento del Mendrisiotto, sono infatti accaduti – per dirlo con le parole della pp – «gravi fatti che avrebbero potuto per poco finire in tragedia». Quella mattina, infatti, stando a quanto ricostruito dall'inchiesta il 35enne, padre di famiglia, – difeso in aula dall'avvocato Giuseppe Gianella – ha percosso ripetutamente con calci e pugni la moglie, ha tentato di soffocarla tenendole la faccia premuta nella vasca da bagno che conteneva acqua e candeggina. Non solo, perché poco dopo in salotto (la donna era nel frattempo riuscita a liberarsi), l'imputato l'ha nuovamente sopraffatta stringendole il braccio intorno al collo facendole perdere i sensi. Da qui, dunque, il reato di tentato omicidio intenzionale, che va ad aggiungersi a quelli configurati per i precedenti anni di «percosse», di «minacce di morte»: lesioni gravi, ripetute lesioni semplici qualificate, reiterate vie di fatto e ripetuta minaccia (oltre all'infrazione alla Legge federale sulle armi e sulle munizioni nonché contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti). Gran parte della giornata processuale – che riprenderà domattina alle 10 con l'arringa difensiva e l'intervento della legale Valentina Zeli, patrocinatrice della vittima – è stata dedicata a scandagliare la mattinata dell'11 aprile. L'imputato, salvo qualche brevissima pausa dettata dalle lacrime, non ha mancato di ribadire la sua versione dei fatti. Ha ammesso più episodi, contestando però che la vittima, quella mattina di aprile, avesse perso i sensi. «Ho sbagliato troppo per troppe volte – ha commentato in aula –. Non voglio più finire in carcere, voglio stare con mio figlio. Non voglio più ripetere gli stessi errori, ne ho fatti così tanti». Nell'ammettere le proprie colpe, però, l'imputato ha menzionato anche la moglie: «Tutto quel che facevo in casa non superava la soglia di valutazione positiva» di mia moglie. «Ci mettevo impegno e costanza» ma «mi sentivo dire che ero una persona inutile». Risposta simile, incalzato dalla giudice, nel merito del suo consumo di cocaina: «È stato un susseguirsi di decisioni sbagliate. Mi veniva contestato che quanto facevo in casa non fosse sufficiente. In quel frangente pensavo che fosse 'la soluzione'».

Disturbo della personalità

Se si è arrivati a poter scoperchiare questo vaso di Pandora domestico, lo si deve anche a una vicina di casa che, l'aprile scorso, allarmata dalle urla ha avvisato la polizia. A quel punto l'inchiesta ha portato alla luce i fatti del passato: «la vittima – ha spiegato Canonica Alexakis durante la requisitoria – nel corso degli anni ha sempre coperto il suo aggressore». Alla luce anche i disturbi dell'uomo identificato da una perizia psichiatrica in un disturbo della personalità di tipo borderline, con un rischio di recidiva importante (perizia contestata dall'imputato). Ma comunque, si è ribadito, capace di intendere e di volere al momento dei fatti. Per l'accusa i dubbi sono pochi: «l'uomo si è macchiato di una colpa grave. Ha tentato di uccidere sua moglie per non doverla più sentire; per non sentire i rimproveri, non sopportava il fatto di essere messo in discussione». Poi l'affondo, riferendosi a un episodio pregresso: «Quale uomo colpisce una donna all'ottavo mese di gravidanza. Chi è capace di un simile gesto è capace di qualsiasi cosa». La ex moglie – ha poi sottolineato – «quella mattina ha visto la morte in faccia. Ma, fortunatamente, la morte non l'ha portata via». L'imputato, durante l'intera requisitoria, non ha mai abbassato lo sguardo. Neppure quando la procuratrice ha ricordato il fatto «che abbia sempre cercato di far cadere le colpe sulla moglie, o sulla cocaina. È dispiaciuto solo e unicamente per se stesso. E forse, glielo si concede, per il figlio». Sguardo fisso anche al momento della richiesta di pena: otto anni di carcere, oltre all'espulsione dalla Svizzera (il 35enne è cittadino italiano) per 10 anni. Accusa che, ha precisato, non si oppone a un'eventuale sospensione della pena a favore di una misura terapeutica (in virtù di quanto scaturito dalla perizia psichiatrica). Domattina il dibattimento riprenderà con l'intervento della rappresentante della vittima e con l'arringa della difesa. Difesa che, già sin d'ora, non riconosce l'esito della perizia e contesta il reato di tentato omicidio: l'uomo, infatti, nega fermamente d'aver mai tentato di togliere la vita alla ex moglie.