Le Associazioni regionale e mantello rivendicano il lavoro ridotto. E Ocst e Ppd si appellano a Seco e Consiglio di Stato
Nei giorni del coronavirus anche le strutture di accoglienza per l'infanzia si ritrovano a dover sopravvivere. Pronti a rispondere 'presente' per dare una mano ai genitori che lavorano - spesso e volentieri nel settore sanitario -, mamme diurne, nidi e centri extrascolastici hanno aperto le braccia per assicurare un adeguato accudimento ai più piccoli. Il punto è che questi servizi ora rischiano di ritrovarsi senza... rete di sicurezza, soprattutto a livello finanziario.
Rallentata la quotidianità, anche le Associazioni che in tre regioni del Ticino - Mendrisiotto, Luganese e Sopraceneri - rappresentano da ormai trent'anni un punto di riferimento per tanti genitori, hanno visto ridurre la loro attività e smagrirsi le entrate (in buona sostanza le rette). Ecco che la necessità di poter far capo al lavoro ridotto si è fatta reale, come ci fanno capire dall'Associazione famiglie diurne del Mendrisiotto (Afdm). I margini legislativi, però, non sono ancora stati chiariti fino in fondo. Se infatti per i centri extrascolastici sembra esserci una via d'uscita, resta da sciogliere il nodo delle mamme diurne. Ovvero figure, di fatto alle dipendenze del movimento associativo e riconosciute a livello cantonale, che faticano ad accedere alle misure di supporto.
Così l'Afdm ha pensato bene di scrivere direttamente al direttore del Dipartimento della sanità e della socialità (Dss) Raffaele De Rosa. «Ci siamo rivolti al Dss per avere chiarezza e un sostegno - conferma a 'laRegione' il presidente Claudio Currenti -. In effetti, siamo in stretto contatto con il Dipartimento per riuscire, quanto prima, a individuare una soluzione. Inoltre, abbiamo interessato i sindacati di categoria». Colta la precarietà del momento, del resto, l'Associazione si è mobilitata. «Ci siamo mossi subito con l'autorità competente, da un lato per risolvere, come detto, la situazione, dall'altro per garantire dei servizi primari nell'accudimento dei bambini, laddove entrambi i genitori lavorano», ribadisce ancora il presidente.
I timori sono, però, evidenti. Anche perché non si sa quanto si riuscirà a resistere in queste condizioni. Solo nel Mendrisiotto il calo delle rette è stimato in circa il 30 per cento e non si vorrebbe veder crescere ulteriormente le difficoltà. «La preoccupazione, in prospettiva futura - commenta a chiare lettere Currenti -, è quella di veder incrinare la possibilità di far conciliare famiglia e lavoro, facendo cadere così uno dei pilastri su cui l'intero Paese ha investito in questi anni».
Non a caso, nei giorni scorsi a livello nazionale si è mobilitata anche l'associazione mantello kibesuisse, in attesa di una decisione di Berna proprio sulle "questioni finanziarie". Decisione che, ad oggi, si lamenta in una lettera indirizzata ai responsabili dei nidi dell’infanzia e dei centri extrascolastici del Canton Ticino, "non si è concretizzata". La reazione, quindi, non si è fatta attendere. "Siamo indignati - ribadisce kibesuisse - per il fatto che le strutture per l'infanzia e le famiglie siano abbandonate a sé stesse dal governo federale nella crisi di Covid19. Questo, nonostante l'autorità federale abbia riconosciuto le istituzioni di assistenza per l’infanzia come servizio di prima necessità e abbia persino adottato esplicitamente la legge di emergenza per lasciarle aperte. Ora è necessario che il governo federale regoli anche il finanziamento di questo importante servizio di base durante la crisi". Non si nasconde che il servizio è stato messo sotto pressione.
C'è poi un altro aspetto da non sottovalutare: ancora una volta a vivere in modo precario sono le donne. «In questi giorni - ci conferma Lorenzo Jelmini dell'Ocst - sono tante le signore che ci chiamano, preoccupate per il loro avvenire». L'inghippo, come richiama lo stesso sindacato in una nota, è "l'elevata oscillazione delle ore di lavoro nel corso dell'anno, dovuta principalmente al costante adattamento di queste attività ai calendari scolastici e alle esigenze delle famiglie". Uno stato di cose che ha indotto l'Ocst ad appellarsi alla Seco, la Segreteria di Sato dell'economia. «Le abbiamo chiesto - spiega Jelmini - di estendere l'accesso al lavoro ridotto anche per quelle categorie professionali che non lo contemplano, come, appunto, molte donne che sono assunte da privati per svolgere compiti di pulizia, babysitting o si occupano del governo della casa. Ambito che include, però, pure le mamme diurne e gli operatori di mense scolastiche e doposcuola». Una rivendicazione che il gruppo Ppd, sempre per voce di Jelmini, questa volta in veste di deputato, ha indirizzato, a livello cantonale, pure al Consiglio di Stato, firmando un atto parlamentare. «Oggi (ieri, lunedì, per chi legge, ndr) abbiamo depositato una mozione urgente che sollecita al governo di prevedere un indennizzo anche per queste lavoratrici». Adesso non resta che confidare nelle istituzioni.