Operatori messi a dura prova dai controlli ai valichi; e le giornate si allungano. Il direttore dell'Acd: 'Siamo al fronte'
Lavorano nelle retrovie rispetto alle linea del fronte, ma a combattere la lotta quotidiana contro gli effetti del coronavirus ci sono anche loro: gli operatori delle cure domiciliari. Con l'Obv di Mendrisio, divenuto un ospedale 'Covid-19', e i medici di base in prima linea, tocca a loro accudire e rassicurare le tante persone - anziani, ma non solo - che necessitano di assistenza e una buona parola. E muoversi in una zona di frontiera in questi giorni non ha fatto altro che complicare le cose. Strette le maglie dei controlli sul lato italiano del confine, sigillati nove valichi secondari sul versante svizzero, soprattutto per infermieri, assistenti e ausiliari dei piccoli Spitex privati raggiungere i propri utenti è divenuto assai difficoltoso. I tempi da una visita all'altra, la mattina e la sera, si sono dilatati. E le ore trascorse in auto, incolonnati, aumentano a dismisura. Decine di minuti preziosi che per i collaboratori lasciati filtrare da oltrefrontiera si sommano alle lunghe trasferte per coprire il tragitto casa-lavoro.
Quello che sale da Isabelle Dufour, direttrice sanitaria di Spitex Gruppo Salute di Chiasso, è quasi un grido d'aiuto. «In questi momenti abbiamo enormi difficoltà a curare i nostri pazienti per i disagi causati dal traffico. Per portare a termine i giri di visita, in particolare la sera, in coincidenza con il rientro dei pendolari, i nostri operatori partono alle 16 e terminano il servizio alle 21.30, superando di almeno tre ore l'abituale orario di lavoro». Per chi arriva dall'altra parte della dogana, poi, le giornate non finiscono mai. «Ho del personale che si alza alle 4.30 del mattino per poter assolvere ai suoi compiti, altri a fine giornata riescono a varcare la soglia di casa a mezzanotte. Con la chiusura dei valichi minori la situazione poi è peggiorata. Non penso che siamo i soli, tra gli Spitex privati almeno, ad essere confrontati con questo scenario».
Una quotidianità problematica alla quale la categoria risponde facendo quadrato. "In questo momento - ha scritto a 'laRegione' il 'Personale sanitario di un Istituto del Mendrisiotto' -, come operatrici sanitarie ticinesi siamo testimoni di grande professionalità da parte dei colleghi italiani, che si impegnano a rispettare gli orari di lavoro partendo da casa anche con 2 o 3 di anticipo, ma arrivando comunque ritardo. Purtroppo - annotano, richiamando l'attenzione - nel lungo termine questo diventerà insostenibile. E dato che la situazione non sarà probabilmente di breve durata, queste persone andrebbero tutelate almeno nei loro spostamenti al fine di preservare le loro energie, nell'interesse della sanità ticinese". L'appello alle istituzioni cantonali è chiaro.
Il settore delle cure a domicilio, del resto, si sente un po' trascurato. «Nessuno - ci dice ancora Isabelle Dufour - parla in questo momento delle nostre condizioni di lavoro sul campo. Oggi infatti siamo chiamati a prodigarci affinché le persone più vulnerabili non vengano ricoverate in ospedale. In alcuni casi si tratta di ovviare all'assenza della badante, che non può passare il confine, in altri di portare cure di cui la persona ha assoluta necessità». Anche se taluni anziani, sopraffatti dalla paura del contagio, non aprono la porta neppure agli operatori domiciliari. «E' un problema molto complesso: hanno bisogno di cure ma temono questo virus. Poi magari ricevono figli e nipoti. Noi applichiamo delle precauzioni stringenti e abbiamo anche cercato di informare al meglio le famiglie, ma per le persone di una certa età stare isolati è faticoso».
Spostandosi dagli Spitex privati all'Associazione cure a domicilio (Acd) del Mendrisiotto e Basso Ceresio (quindi l'ente pubblico), la vera preoccupazione adesso, ci fa capire il direttore Brian Frischknecht, non è tanto il traffico quanto l'aspetto clinico della faccenda. Oggi l'Acd è chiamato, da un lato, a rassicurare l'utenza e dall'altro a supplire in alcuni casi ai medici di famiglia, «oberati di lavoro». La pianificazione dell'Acd, annota ancora il direttore, ha retto insomma all'urto delle colonne di auto che, conferma, «non hanno compromesso il servizio, al di là di qualche disguido superabile. Da parte nostra comunque siamo pronti a fronteggiare le necessità».
Merito, tiene a ribadire Frischknecht, della reazione del personale. «I nostri collaboratori hanno mostrato un grande senso di responsabilità, prontezza e solidarietà, fra loro e con i pazienti, che sono disorientati e hanno bisogno di una buona parola in un momento in cui non sono possibili gli scambi intergenerazionali. Da parte degli operatori si investe così pure dal profilo emotivo nella relazione con l'utente. Ma vedo che anche i famigliari mostrano una maggiore presenza».
A dare coraggio ora è anche la constatazione che, al momento, tutti gli utenti - sia coloro che vengono seguiti dallo Spitex privato che chi è paziente dell'Acd - stanno bene; e che l'intero staff di infermieri, assistenti e ausiliari è al suo posto. Tutto ciò nella consapevolezza che la situazione muta di ora in ora. «Siamo coscienti e lucidi - spiega Isabelle Dufour - che, prima o poi, ci potremo aspettare qualche caso». Nel frattempo, si resiste. «Anche perché se dovesse ammalarsi un operatore, non so come potremo farvi fronte».
C'è un altra forma di resistenza, anzi di 'sopravvivenza', soprattutto per i piccoli Spitex. «I ritardi dovuti al traffico, quindi un maggior numero di ore di servizio, provocano dei costi non indifferenti - lamenta ancora Dufour -. Ma, mi domando chi li copre? Le casse malati no, non rispondono sulle spese di trasferta. Chiaro, sto facendo un ragionamento meramente finanziario. In ogni caso, se questa condizione durerà poco potremo affrontare la crisi e farvi fronte, al meglio possibile. Se, però, dovesse perdurare, rischia di non essere sostenibile, almeno per noi». Tra le pieghe del problema, ci si aspetta una risposta dello Stato, pure sul piano economico.