Il servizio s'attende l'ondata di pazienti Covid-19 dimessi nelle prossime settimane. Abbiamo intervistato il suo direttore amministrativo Gabriele Balestra
Nel difficile contesto che stiamo vivendo a causa della propagazione del Covid-19, ci siamo chiesti come stia reagendo l'Associazione locarnese e valmaggese di assistenza e cura a domicilio, meglio conosciuta con il suo acronimo Alvad.
A tal proposito abbiamo contattato il suo direttore amministrativo, nonché vicedirettore di Spitex Svizzera, Gabriele Balestra che, trovando un po' di tempo da dedicarci in un momento di sollecitudine alta, ci ha raccontato come servizio, personale e utenza stiano affrontando la situazione emergenziale.
Iniziamo dando i numeri: 150 i collaboratori Alvad di Locarno, 25 quelli della sottosede nel Centro sociosanitario di Cevio, 30-40 ausiliari su mandato. In totale circa 200 persone attive sul territorio come servizio d'interesse pubblico.
Nella situazione emergenziale, "finora, il servizio ha reagito bene - spiega Balestra -. Di giorno in giorno, ci stiamo adeguando ai cambiamenti in atto". La situazione evolve molto rapidamente e come lei cambiano quindi direttive e disposizioni, cui il servizio deve tenere il passo. "Siamo sollecitati ad adeguarci di giorno in giorno. E per il momento riusciamo a rispondere bene; tenendo conto che stiamo lavorando a pieno regime".
Un pieno regime, tiene a sottolineare il direttore amministrativo, che non si traduce già in condizioni lavorative al limite: "I nostri collaboratori rispettano i tempi di riposo" e si evita di sovraccaricarli in prospettiva di quello che attende loro nelle prossime settimane.
L'attività dell'Alvad non è ancora influenzata dai pazienti Covid-19 dimessi, chiarisce quindi il nostro interlocutore, quanto piuttosto "dal cambiamento delle esigenze e perciò delle prestazioni. Da un lato, limitiamo il nostro intervento allo stretto indispensabile, cercando di evitare inutili contatti". Tuttavia, precisa che dall'altro è essenziale mantenere quel minimo indispensabile "perché il rischio è che nel giro di pochi giorni o settimane, le persone con patologie anche piuttosto gravi scompensino e abbiano necessità di ricovero; andando così a gravare l'ospedale. Un sistema che oggi non possiamo stressare". Quindi si assume un'ottica preventiva.
E riferendosi al nosocomio la Carità (trasformato in ospedale Covid-19), aggiunge che per poterlo liberare per accogliere i nuovi ricoveri, alcuni pazienti sono stati trasferiti in altre strutture mediche, mentre altri (laddove era possibile) sono stati fatti rientrare al loro domicilio. Persone queste ultime prese a carico dal servizio di cura, fra cui anche casi complessi come gli oncologici, chi ha necessità di trasfusioni e così via.
Per ora, conferma il direttore, il servizio non ha ancora casi di pazienti Covid-19 rientrati a domicilio di cui occuparsi ("sarà questione dei prossimi giorni"), ma stima che con ogni probabilità "l'ondata arriverà nelle prossime settimane". In quel frangente il direttore amministrativo prospetta un aumento di lavoro.
Nel frattempo, il servizio è in attesa delle direttive dall'Ufficio del medico cantonale in cui sono riportate le procedure da adottare per la presa a carico. "Noi siamo pronti, anche ad adattarci di giorno in giorno, a vari scenari".
Sul fronte dispositivi (mascherine e guanti), il direttore assicura che per ora non sono un'emergenza, "li stiamo gestendo con molta parsimonia (nel rispetto di sicurezza e disposizioni cantonali). Le scorte devono durare per parecchie settimane ancora".
L'emergenza coronavirus pone al servizio diverse sfide e ne accresce altre. "La complessità di alcune casistiche che dobbiamo seguire, in questo momento di allarme, sono acutizzate". Sono circa 200 gli utenti psicogeriatrici di cui il servizio si occupa, ad esempio persone con Alzheimer, che in questo momento sono estremamente fragili. In questo frangente, il servizio deve investire più risorse per rispondere alle loro paure, dando loro rassicurazioni e far sentire loro la vicinanza (per quanto possibile).
Ma non finisce qui. Nelle scorse settimane, fra le difficoltà incontrate il direttore rileva anche "la paura di contagio e la diffidenza iniziali degli utenti ad aprire la porta ai collaboratori. Arrivando perfino a episodi di aggressività verbale". Gli operatori, è bene ricordarlo una volta di più, lavorano sulla base di chiare direttive emanate dall'Ufficio del medico cantonale e dall'Ufficio federale della Sanità e da subito implementate. "Agiamo in tutta sicurezza e quindi l'utente a domicilio non deve temere, perché prendiamo tutte le precauzioni del caso", ribadisce il nostro interlocutore.
Inoltre, il servizio cerca di portare avanti anche in questa situazione il rapporto 'uno a uno', vale a dire che l'utente è seguito (nel limite del possibile) dallo stesso collaboratore, "per garantire maggiore continuità e sicurezza". Fra gli accorgimenti messi ancora in atto anche "visite telefoniche": laddove non c'è la necessità di andare a casa, si procede con un colloquio terapeutico telefonico, per verificare che tutto vada bene.
Nel presente, "lavoriamo tanto in sinergia con tutte le iniziative di volontariato che stanno emergendo per far fronte alla situazione", sottolinea Gabriele Balestra. Proposte benvenute, poiché aiutano ad alleggerire il carico di lavoro.
Attualmente, i riflettori sono puntati tutti sugli ospedali e le case anziani, ma non vanno dimenticati i domicili: "Sull'arco di un anno, l'Alvad segue circa duemila utenti. Siamo in prima linea dentro le case", evidenzia il nostro interlocutore.
Nel settore sociosanitario, spiega Balestra, dall'acuto al servizio a domicilio "siamo una rete e ognuno deve fare la sua parte affinché tutto funzioni, remando tutti nella stessa direzione". Riguardo a ciò, tiene a rimarcare come in queste settimane stia emergendo, in modo molto positivo, il potenziamento della collaborazione all'interno della rete sociosanitaria, seppur ci sia sempre stata.
"La rete - afferma il direttore amministrativo - funziona bene: c'è scambio e aiuto reciproco".
L'associazione, lo ricordiamo, è stata costituita nel 1999 e ha quale obiettivo garantire alle persone la possibilità di restare a casa in caso di necessarie cura e assistenza per malattia, infortunio, disabilità, maternità, vecchiaia o difficoltà socio-familiari.