Mendrisiotto

Affari di droga, dove rispunta la pistola di via Odescalchi

Condannato 'l'interprete' tra i capi albanesi e la 'manovalanza' italofona. Lui, che si è visto puntare contro la pistola dell'omicidio avvenuto a Chiasso

30 agosto 2019
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Droga, nomi e luoghi ricorrenti, una pistola. L’ennesima condanna per infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, a cui si aggiunge il ripetuto riciclaggio di denaro. Questa mattina è stata la volta di un 30enne cittadino albanese residente in Italia, a pochi chilometri dal confine elvetico, comparso davanti alla Corte delle assise correzionali di Mendrisio presieduta dal giudice Mauro Ermani. Un padre di famiglia che – parole del giudice – «frequentava degli ambienti che non vanno bene. E non ha capito niente nemmeno quando le hanno puntato una pistola contro». Un’arma, la stessa che ha esploso i mortali proiettili di via Odescalchi a Chiasso. Un omicidio, quello avvenuto nell’ottobre del 2015 che ha portato alla morte di un 35enne portoghese; una vicenda strettamente legata al mondo della droga. Quattro i condannati per quell'azione criminale, tra cui l’autore materiale dell’omicidio, un 29enne svizzero-kosovaro che, in Appello, si è visto aumentare la pena a 15 anni e 6 mesi di carcere (18 mesi in più rispetto alla sentenza di primo grado). Una pistola che, come detto, nello stesso anno ha visto bene anche l’imputato comparso in aula quest'oggi: in un’auto, mentre gliela puntavano. E malgrado ciò, ha comunque deciso di darsi da fare nel settore. Fino al suo arresto, lo scorso febbraio, quando al penitenziario della Stampa ha ritrovato lo svizzero-kosovaro. Destini incrociati, di nuovo, dietro le sbarre, con conseguente trasferimento in un carcere d’Oltralpe per evitare eventuali problemi. In sostanza, da ottobre 2016 sino al gennaio di quest’anno, il 30enne ha intenzionalmente aiutato a importare in Svizzera e alienare quasi 600 grammi di cocaina. Il suo ruolo, si apprende leggendo l’atto d’accusa firmato dal procuratore pubblico Pablo Fäh, era nella maggior parte dei casi quello di interprete. In sostanza l’uomo metteva in contatto persone di lingua madre albanese con gli interlocutori italofoni. Spettava a lui, insomma, recepire le informazioni dagli albanesi – non identificati – e poi trasmetterle a un cittadino italiano di 40anni, incaricato di effettuare i trasporti di polvere bianca. Uomo, quest’ultimo, comparso in aula lo scorso 6 maggio e condannato, anche lui per infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, a 34 mesi di carcere parzialmente sospesi. ‘L’interprete’ – difeso dall’avvocato Marcello Biaggi – nel fare i conti con la giustizia, è stato per contro condannato a 24 mesi di carcere sospesi per un periodo di prova di 3 anni, oltre all’espulsione dalla Svizzera per 6.