La riforma delle forze dell'ordine proposta dal Dipartimento delle istituzioni ha trovato una forte opposizione durante la serata tenutasi martedì sera
I Comuni del Luganese vogliono mantenere l’indipendenza per quanto riguarda la gestione delle proprie forze dell’ordine, e si dicono sostanzialmente contrari al Progetto polizia ticinese, che in sintesi prevede l’unione di tutte le polizie comunali (PolCom) sotto un’unica amministrazione cantonale. Questa contrarietà, per altro non di certo inedita, è stata ribadita ieri sera, martedì, nella sala del Consiglio comunale di Cadempino, durante una serata di discussione riguardante il progetto recentemente presentato ai Comuni dal Dipartimento delle istituzioni (Di). L’incontro ha visto la partecipazione di oltre 40 rappresentanti della quasi totalità dei 44 Comuni della regione, fra cui sindaci e capidicastero sicurezza, tra cui Karin Valenzano Rossi, presidente della Conferenza regionale consultiva sulla sicurezza della Regione III del Luganese.
L’attrito sembra riguardare soprattutto la questione della governance, legata più alla parte politica che a quella tecnica. «Dal punto di vista tecnico non sono emersi grossi dissapori – ci dice Orio Galli, presidente dell'Associazione delle Polizie comunali ticinesi – ma è più che altro la parte di governance che tra virgolette ci concerne meno, perché io e Roberto Torrente (comandante della Polizia di Lugano, ndr) siamo nel gruppo di lavoro come tecnici, non come politici. Per quanto ci riguarda il progetto mira a togliere le ridondanze e a migliorare quelli che sono i servizi tra le PolCom e la PolCan, rendendo i primi gli specialisti di prossimità mentre ai secondi spetterebbe il resto della casistica».
Nella serata si sono andati dunque a discutere i contenuti del progetto – con un focus speciale sulla governance – ritenuti sostanzialmente inappropriati. In sostanza, i Comuni hanno constatato che l’attuale impostazione organizzativa di governance delle PolCom funzioni bene, mentre non si vedono elementi concreti, seri e diffusi, che possano giustificare un cambiamento così radicale nella struttura delle polizie comunali. Nel comunicato viene criticata invece la mancanza, all’interno del Progetto presentato dal Cantone, “di un’analisi dettagliata dei costi e dei benefici e di una presentazione di una migliore concreta suddivisione dei compiti e di una migliorata possibilità di sinergie”.
Il progetto non sembra di aver raccolto il benché minimo consenso tra i Comuni del Luganese, che conta quasi 150mila abitanti (oltre il 40% della popolazione del Ticino) e circa la metà delle risorse di polizia comunale del Cantone. «Se vado a vedere il lavoro della polizia, l’80% ha luogo nel Luganese» commenta Galli. Non lascia ben sperare dunque che i partecipanti abbiano espresso, come si legge nella nota “preoccupazioni unanimi riguardo al rischio che il progetto porti a una maggiore burocratizzazione e a un ulteriore grave diminuzione delle autonomie operative dei Comuni” portando così a un calo “dell’efficacia della gestione locale della sicurezza con comunque elevati costi a carico dei Comuni”. Quello che si vuole evitare, dunque, è che i Comuni continuino a farsi carico delle spese vedendosi privati dell’autonomia gestionale delle proprie forze di sicurezza, che verrebbero accentrate al Cantone.
L’idea di una polizia unica non ha mai riscosso successo tra gli enti prossimità. Come mai l'idea di una governance più centralizzata non è stata ancora accantonata? «Non è chiaro se si tratti di un’insistenza o solo di un’ipotesi lanciata – spiega Galli –. Fatto sta che la questione della governance, per come è stata spiegata, non è ancora trattata nel rapporto, proprio perché si intendeva farlo solo se quella fosse stata la strada decisa dal Gran Consiglio. Dato che la mozione è ancora pendente, si dovrà comunque decidere quale direzione prendere. Se si fosse optato per questa strada, ci saremmo concentrati anche sulla problematica della governance, ma questa è emersa in anticipo».
Come mai se ne parla già ora? «Durante le serate di presentazione ai Comuni, sono state fatte domande che hanno portato i rappresentanti del Di e degli enti locali a ventilare questa possibile soluzione, ossia quella dell’ente autonomo di diritto pubblico. Questa proposta, tuttavia, non è stata ben accolta dall’altra parte e non ha riscosso il consenso desiderato. È stato spiegato che si tratta di soluzioni applicabili in quei pochi casi dove l’assetto attuale ha mostrato delle difficoltà. Tuttavia, osservando i risultati recenti, emerge che i Comuni sembrano soddisfatti dell’attuale gestione, quindi ci si domanda se sia davvero necessario cambiare un sistema che funziona».