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Questa è la Posta in gioco

‘Flessibilità insostenibile e disservizi’, critica Adele, postina da 15 anni. ‘Condizioni migliori nel settore e alta qualità’, replica il Ceo Cirillo

(Keystone)
21 dicembre 2023
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«Ci sono criteri di valutazione per ogni mansione che svolgiamo, ma anche di punibilità. Vanno dal controllo della pulizia del veicolo a quello del rispetto degli orari di consegna, con conseguenti ammonimenti se qualcosa non funziona. Le pretese nei nostri confronti sono sempre maggiori mentre continuiamo a operare sotto la minaccia della riduzione del personale a causa del calo degli invii, e la flessibilità è diventata quasi una “conditio sine qua non” per lavorare nell’azienda. Così nessuno si stupisce dell’alto numero di assenze per burnout e in generale malattia». La testimonianza è di Adele (nome vero noto alla redazione), impiegata della Posta nel settore della logistica come addetta ai recapiti: «Faccio la postina da 15 anni – racconta –. È una professione che mi piace ancora oggi, ma le condizioni di lavoro sono sempre più insostenibili. È diventato demotivante uscire di casa al mattino per andare in ufficio. Il clima che vi si respira è pesante e solo quando inizio il giro di consegne mi sento meglio, anche se pure lungo il percorso non mancano le situazioni spiacevoli con sempre più utenti insoddisfatti».

Errori e reclami sempre più frequenti

Lettere e pacchi che finiscono a indirizzi sbagliati, ritardi, consegne fatte in tutta fretta. «Le persone spesso se la prendono con noi perché siamo quelli con cui hanno a che fare direttamente – dice la nostra interlocutrice –. In effetti rispetto a un tempo ci sono più errori da parte nostra, ma questo è dovuto al fatto che ci viene chiesta sempre più velocità e un numero maggiore di compiti da condensare nei nostri turni. Ultimamente ad esempio è stata introdotta una nuova regola per cui al mattino dobbiamo personalmente scansionare ogni pacco prima di caricarlo sul veicolo, ciò che ci fa partire sistematicamente in ritardo. Abbiamo meno tempo da dedicare al cliente e, nostro malgrado, c’è meno empatia. Sono soprattutto gli anziani a farci notare questo cambiamento». In aggiunta, evidenzia Adele, c’è una grande rotazione del personale: «Il postino non è più quello di una volta, che compiva un lavoro preciso in una zona determinata dove conosceva tutti. Ora può succedere che di settimana in settimana per un certo giro di consegne venga cambiato l’addetto, e anche questo conduce a sbagli più frequenti». Oltre ai reclami sull’uscio della porta, ci sono quelli telefonici al servizio clienti: «Quando ce ne giunge notifica, dobbiamo giustificare per iscritto il nostro operato, motivare perché abbiamo ritardato. Alla fine la responsabilità viene tutta scaricata sull’ultimo anello della catena che siamo noi».

Esigenza di enorme versatilità

Velocità e frequenza nella rotazione del personale sono dunque tra i fattori che hanno compromesso la qualità del servizio postale, afferma Adele aprendo uno scorcio sui retroscena: «La maggior velocità richiesta causa anche più spesso degli infortuni perché andando di fretta si fa meno attenzione. E anche i veicoli subiscono danni con più frequenza. La rotazione degli impiegati invece deriva dalla tendenza che si è consolidata nel tempo di assumere sempre più persone con un grado di occupazione basso. Una politica che potrebbe sembrare un’opportunità per una migliore conciliazione lavoro-famiglia, ma è il contrario», recrimina Adale, che argomenta: «Quando è necessario chi lavora part time viene impiegato per coprire delle tratte che prevedono il tempo pieno. È infatti richiesta una grande flessibilità che permette all’azienda di avere a disposizione personale molto versatile. Il problema è che le ore in esubero non vengono retribuite ma tramutate in tempo libero. Un tempo libero che dovrebbe poter essere pianificato come nel caso delle vacanze, ma ciò non avviene perché c’è sempre qualcuno di ammalato da sostituire, ci sono sempre esigenze e necessità da coprire. I dipendenti stanno sì a casa in compensazione, ma senza poter scegliere e programmare quando. E questo crea grande stress».

Costretta a fare un altro lavoro

Anche Adele lavora a tempo parziale, e benché abbia più volte manifestato esplicito interesse a passare al 100%, le sue richieste sono sempre cadute nel vuoto: «Conosco molti turni e ho una lunga esperienza, ma non mi è mai stata data l’opportunità di aumentare il mio grado di occupazione. Considerando pure l’assegno familiare per mio figlio agli studi, al 75% percepisco dalla Posta 3’100 franchi al mese, che non sono abbastanza anche perché la mia è sempre stata una famiglia monoparentale. Sono così costretta a svolgere un lavoro pomeridiano di pulizie. Vorrei poter mettere a disposizione della Posta tutte le mie energie anziché fare il doppio lavoro e avere una stanchezza fisica non indifferente, ma mi è sempre stato detto di no». A parere di Adele si tratta di una sorta di punizione per il fatto di essersi più volte esposta nel far notare i problemi interni all’azienda: «Non mi sono mai tirata indietro nel mettere in luce le criticità. Ma ciò ai vertici evidentemente non piace e si vendicano in questo modo».

Nella rete vendita la situazione non è migliore, sostiene Adele, che per un periodo ha lavorato anche allo sportello. «Negli anni sono stati fissati degli obiettivi così alti da creare grande stress e competizione anche tra gli impiegati di questo settore. Si sono ad esempio introdotti abbonamenti di telefonia, vignette autostradali, biglietti della lotteria con delle quote di vendita da raggiungere che sono richieste a ogni dipendente. A un certo punto c’è stata una trasformazione degli uffici postali in sorte di bazar in cui si trovava di tutto, dai libri agli ombrelli, dai portafogli agli accessori da viaggio. E il personale si è trovato a dover promuovere prodotti che non avevano nulla a che fare con i servizi postali». In seguito, ripercorre Adele, si è assistito a un altro cambio di paradigma: «Di recente si è passati a puntare molto sull’e-banking – le transazioni finanziarie online – per ridurre l’utenza allo sportello. Parallelamente si è consolidata la tendenza ad avere uffici più piccoli e meno sportelli attivi, e di conseguenza file interminabili. Nei piccoli paesi sono ormai molto diffuse le agenzie, con il servizio postale che si appoggia a negozietti o piccole attività come le farmacie, in cui si possono eseguire alcune piccole operazioni quali prelevare soldi per un importo massimo di 500 franchi. Ci sono anche delle case comunali che hanno assunto questo nuovo ruolo sussidiario, ma la confusione è sempre tanta a causa ad esempio dei numerosi pacchi che la gente rimanda indietro e di cui si devono occupare i funzionari dell’ente locale».

Incompresa l’importanza del personale

La progressiva chiusura, il ridimensionamento e la trasformazione degli uffici postali hanno anche portato con sé un’importante riduzione del personale, rileva Adele: «Molti di coloro che sono andati in pensione non sono stati sostituiti. Oltretutto, per tappare i buchi, anche gli impiegati di rete postale vengono spostati continuamente per cui di mattina lavorano in un posto e al pomeriggio in un altro. Il problema è che chi gestisce l’azienda non capisce quanto sia importante il personale. Se fossimo messi nelle condizioni di lavorare bene, anche la qualità del nostro operato sarebbe migliore, si eviterebbero assenze per stress mentale e affaticamento fisico, e i fruitori sarebbero più soddisfatti».


Keystone

Difesa servizio pubblico

‘Ormai si occupa solo di quanto è redditizio’

«La Posta sta accentuando quanto deciso vent’anni fa, cioè di privilegiare i risultati finanziari rispetto alla qualità del servizio pubblico. E questo è sempre più preoccupante». Ad affermarlo è Graziano Pestoni, economista e presidente dell’Associazione per la difesa del servizio pubblico, riferendosi alle ultime comunicazioni del Gigante Giallo: la chiusura da giugno 2024 del servizio di distribuzione della filiale Direct Mail Company (Dmc), con 4mila impieghi persi; l’annuncio del Ceo Roberto Cirillo della possibile deroga all’obbligo di distribuire i giornali entro le 12.30 in determinati luoghi; le successive dichiarazioni del presidente del Cda Christian Levrat secondo cui si tratta di una prospettiva da discutere. E ancora: i nuovi aumenti delle tariffe; l’apertura di una filiale di sviluppo informatico a Lisbona. «Le idee ventilate per il futuro sono anche di distribuire le lettere soltanto un paio di giorni a settimana e la soppressione del pagamento in moneta presso Autopostale. L’azienda ormai si occupa solo di quanto è redditizio – recrimina Pestoni, autore nel 2018 del libro ‘La privatizzazione della Posta svizzera. Origine, ragione, conseguenze’ –. Si tratta di una via già intrapresa nel momento in cui il settore Poste, telefoni e telegrafi è stato trasformato in Azienda autonoma (nel 1998 con la scissione delle Ptt in La Posta Svizzera e Swisscom Sa; ndr) e poi in Società anonima di diritto speciale di proprietà della Confederazione nel 2003. Adesso la si sta percorrendo fino all’estremo».

Facile economizzare tagliando

Il mandato della Posta è di fungere da servizio universale su tutto il territorio svizzero, ciò che comprende il recapito a livello nazionale di lettere, pacchi, giornali e periodici, e la garanzia dei servizi del traffico dei pagamenti in tutte le regioni del Paese. Inoltre, secondo gli obiettivi strategici del Consiglio federale, quest’ultimo si aspetta dall’azienda che presenti una redditività abituale in tutti i settori di attività. «La Posta dovrebbe essere ancora fortemente improntata a garantire il servizio universale ma purtroppo persegue quasi unicamente lo scopo di fare utili richiesto da governo e parlamento – considera Pestoni –. Va bene cercare di organizzarsi per spendere ragionevolmente, ma oggi la situazione è ben diversa. Si riducono i costi e si fanno utili chiudendo tremila uffici postali e peggiorando le condizioni dei lavoratori. Così sono capaci tutti, non serve essere un grande manager per economizzare in tal modo», dice Pestoni in riferimento all’agire del Ceo. Quanto a Levrat e al fatto che sembri aver assunto una posizione parecchio filo-aziendalista nonostante i ruoli ricoperti in passato – è stato segretario del Sindacato della comunicazione e promotore nel 2004 dell’iniziativa popolare “Servizi postali per tutti”, nonché presidente del Partito socialista svizzero –, Pestoni (anche lui di area socialista ed ex granconsigliere) dice: «Quando una persona assume simili compiti purtroppo dimentica facilmente certi valori e si preoccupa soprattutto di eseguire il mandato ricevuto». Anche di Cirillo si potrebbe dire che non fa che eseguire il mandato per cui è stato assunto. «Sì – concorda Pestoni –. È vero che un Ceo più attento potrebbe riuscire a conciliare meglio il mantenimento del servizio pubblico e la riduzione dei costi, ma all’origine di tutto c’è un’indicazione del legislativo. La responsabilità è dunque principalmente politica».

Disservizi per giustificare soppressioni

Secondo Pestoni e l’Associazione che presiede, i peggioramenti susseguitisi negli anni hanno coinvolto tutti gli ambiti dell’azienda: «Le condizioni di lavoro si sono deteriorate, è aumentata la precarietà degli impiegati e la loro demotivazione, i servizi offerti sono sempre meno efficienti. In questo contesto il rischio che l’utenza se la prenda con gli impiegati è concreto e quotidiano». La Posta però giustifica la propria metamorfosi con la necessità di stare al passo con le mutate esigenze della clientela e l’evoluzione tecnologica. «Questo sarebbe vero se non avesse tagliato su gran parte della propria offerta di utilità pubblica – ribatte Pestoni –. Al contrario, per molti versi, si impone sulle abitudini della gente disincentivandola a utilizzare diversi servizi in modo da avere un alibi per eliminarli. Se questi sono meno buoni è ovvio che non vengano più utilizzati. Si tratta di una vera e propria strategia». Insomma, ribadisce Pestoni, «non c’è più interesse ai bisogni sul territorio, ma unicamente a diminuire i costi riducendo tutte le prestazioni che sono deficitarie. Come se tutto ciò non bastasse stanno circolando voci riguardo la privatizzazione totale di Swisscom, l’azienda delle telecomunicazioni che dispone di un patrimonio di 26 miliardi di franchi e che nel 2021 ha realizzato un utile di franchi 1,8 miliardi. Sarebbe un’ulteriore scelta nella direzione sbagliata».

Ma quanto durerà ancora la Posta? «Penso che il suo tempo non sia ancora finito perché per ora ci sono dei compiti che non possono essere delegati a nessun altro – risponde l’economista –. La Posta è stata creata nel 1848 per necessità del padronato. E ancora oggi le piccole e medie imprese hanno bisogno di un servizio che funzioni». Oltreché doveroso, Pestoni ritiene fattibile arrestare le criticate strategie gestionali: «Siamo in un periodo in cui la politica neoliberale si è molto sviluppata, ma esistono ancora numerose persone sensibili a certe istanze che possono fare fronte comune per contrapporsi a questa politica aziendale devastante. Tali mobilitazioni hanno già dato i loro frutti in quanto non tutti gli uffici postali che l’azienda aveva intenzione di dismettere sono stati chiusi. Penso che sia possibile trovare una convergenza con ancora più gente e continuare a fare resistenza in favore del servizio pubblico».


Keystone / Ti-Press
Graziano Pestoni e Roberto Cirillo

La direzione generale

‘Da sette anni risulta la migliore al mondo’

«La Posta svizzera non solo mantiene, ma ha migliorato in maniera significativa il livello dei propri servizi. Non a caso da sette anni consecutivi viene riconosciuta come la Posta migliore al mondo, e questo non era mai avvenuto nella sua storia». A mettere in evidenza i risultati dello studio dell’Unione postale universale – agenzia specializzata dell’Onu – è Roberto Cirillo, da aprile 2019 Ceo della Posta svizzera, che abbiamo intervistato.

Una serie di recenti decisioni – dalla chiusura del servizio di recapito della filiale Dmc alla chiusura di uffici postali all’aumento delle tariffe – fa temere un sempre più massiccio smantellamento del servizio pubblico di cui la Posta dovrebbe essere garante. L’azienda pensa ormai solo a fare utili?

Tutt’altro. Per quanto riguarda i servizi cuore dell’attività della Posta i dati smentiscono chiaramente che sia in corso una diminuzione della loro qualità. Nella distribuzione delle lettere la qualità delle prestazioni in tutta la Svizzera è oltre il 97%, tasso unico al mondo e più alto di quello richiesto dalla legge. Per i pacchi, la percentuale supera il 95%, anche in questo caso al di là di quanto richiede il servizio universale. Questo per la posta prioritaria. Se guardiamo alla posta B siamo addirittura a livelli di qualità del 99,3% per le lettere. Che poi all’interno delle diverse attività della Posta ci siano state delle trasformazioni è conseguenza dell’evoluzione dei tempi. Con la filiale Dmc abbiamo distribuito per anni volantini e cataloghi pubblicitari per i quali ora c’è pochissima domanda e siamo giunti alla conclusione che non è più possibile avere una rete di distribuzione separata da quella della posta classica.

Per Dmc i sindacati chiedono alla Posta di assumersi la propria responsabilità sociale e di trovare soluzioni di transizione per i 4mila dipendenti che perderanno il lavoro. Andrete in questa direzione?

Il processo di consultazione è già stato chiuso. Le persone impiegate da Dmc svolgono un lavoro molto specifico e la maggior parte a percentuali molto basse, tra l’8 e il 20%: per loro non ci sono possibilità di rioccupazione. Per quelle che lavorano a un tasso oltre il 70% potrebbero esserci delle opportunità all’interno dell’azienda, ma ci stiamo ancora lavorando.

Alla Posta viene rimproverato di imporsi sulle abitudini della popolazione spingendola forzatamente verso la digitalizzazione e di disincentivarla a utilizzare diversi servizi o modalità di fruizione – come quella agli sportelli – in modo da avere un alibi per eliminare le prestazioni deficitarie. È questa la strategia?

Sarebbe bello se la Posta potesse influenzare il tasso o la velocità di digitalizzazione nel Paese, ma è una grande illusione. La digitalizzazione dei processi e la sostituzione della comunicazione cartacea con quella digitale stanno andando avanti da 20 anni a livello mondiale. La realtà è che reagiamo a uno sviluppo che galoppa a una velocità incredibile. Negli ultimi due anni il numero di transazioni fatte allo sportello è diminuito del 20% l’anno come risultato del fatto che ormai tutti possiedono uno smartphone e in molti hanno imparato a utilizzare i mezzi di pagamento digitale. All’anno è anche diminuito del 10% il numero di lettere recapitate allo sportello e in generale il loro invio è calato del 6%. La società sta evolvendo e dobbiamo preoccuparci di cambiare abbastanza – non troppo – velocemente.

Quali trasformazioni avete avviato con l’intento di migliorare i servizi per l’utenza? Sono riconosciute come positive o prevale il malcontento per quanto andato perso?

Al giorno d’oggi ci sono più persone che visitano il nostro sito web o che usano le nostre App di quelle che entrano nelle filiali della Posta, il che dimostra che i servizi che mettiamo a disposizione in modo digitale sono sempre più apprezzati perché rendono la vita quotidiana molto più semplice. Al contempo persiste una parte dei cittadini che ha bisogno di avere un accesso fisico alla Posta e per questo in tutta la Svizzera ci sono ancora 771 filiali della Posta e 1’251 filiali con partner come farmacie e negozi estremamente ben viste e che presentano un livello di prossimità sul territorio unico in Europa. Nei prossimi anni abbiamo intenzione di aumentare ancora di più la vicinanza alla popolazione, però con formati coerenti con le richieste di una sempre maggiore digitalizzazione.

Da più parti si sente la critica secondo cui le condizioni di lavoro dei dipendenti della Posta sarebbero nettamente peggiorate. Riconosce questa situazione?

Che ci troviamo a operare in un mercato più competitivo rispetto al passato non posso che confermarlo. Oggi i servizi che si trovano ancora sotto il monopolio della Posta rappresentano solo il 14% della cifra d’affari dell’azienda. Vuol dire che l’86% sono sul mercato libero: dai pacchi alle lettere sopra i 50 grammi, dal settore finanziario a quello dei trasporti. Tenendo conto del fatto che la Posta non viene finanziata attraverso soldi pubblici, ma si deve autofinanziare con i profitti che genera attraverso queste attività sul mercato, è innegabile che in una situazione come questa la pressione sull’azienda sia più grande rispetto a 10-20 anni fa. Tuttavia in questo contesto riteniamo che le condizioni di lavoro, sia dal punto di vista contrattuale grazie al Ccl che da quello fattuale, siano in assoluto le migliori che esistono nel settore.

Dopo la levata di scudi degli editori e di diversi lettori, mantiene l’intento di non più consegnare i quotidiani entro le 12.30 in alcune zone periferiche?

Capisco le preoccupazioni della stampa, ma la mia non era una boutade. Una riflessione seria su questo aspetto è assolutamente necessaria. Il bisogno di distribuire i giornali tutti i giorni finché ve ne è la richiesta in forma cartacea non lo metto in discussione. Il problema è che nel 2020 nell’ordinanza sulle Poste è stato statuito per la prima volta il requisito riguardante l’orario per la consegna dei quotidiani in abbonamento, ciò che significa che tutti i turni dei postini devono chiudersi entro quell’ora e in certi luoghi – nel 4% del territorio – questo non è sostenibile per la distribuzione classica. Finora lo abbiamo garantito ma a costi spropositati.

Com’è lo stato di salute finanziario dell’azienda? Siete orientati verso nuovi risparmi?

Il 2023 è stato un anno particolarmente difficile per la Posta. Dopo il 2020 caratterizzato dalla pandemia e il 2021 dall’esplosione dei pacchi, il 2022 e 2023 sono stati contraddistinti dall’inflazione che si è fatta sentire in maniera significativa sui risultati dell’azienda. Abbiamo tuttavia messo in opera delle misure che ci permetteranno di contrastare almeno parzialmente questo effetto e siamo sicuri che continueremo ad avere un livello di profitto accettabile anche per quest’anno e il prossimo. È però indispensabile continuare a lavorare sull’efficacia dei nostri processi, sulla struttura dei costi e su quella dei prezzi.

Quali sono i prossimi passi in agenda per la Posta?

Ci sono tre questioni molto importanti per il 2024. Innanzitutto l’anno prossimo la Posta compie 175 anni. Oltre alle celebrazioni abbiamo intenzione di confrontarci con la popolazione e le autorità sul suo futuro perché non vogliamo che la Posta sia esistita per 175 anni, vogliamo che esista per 200 anni e più. In secondo luogo l'anno prossimo si chiude la prima fase strategica del Piano 2021-24 e dobbiamo quindi rinnovare la strategia per gli anni 2025-28 con il nuovo parlamento. Stiamo facendo un lavoro importante per definire i nuovi investimenti e l'assetto dei servizi, e verso metà 2024 arriverà qualche annuncio. Il terzo punto importante è che nel primo trimestre 2024 il Consiglio federale dovrebbe far partire una consultazione denominata ’Servizio pubblico postale 2030+'. Si tratta di una discussione essenziale per la Posta perché, lo dico in maniera molto chiara, l'azienda non potrà più esistere con lo stesso mandato di servizio pubblico scritto 15 anni fa quando gli smartphone non esistevano nemmeno. Abbiamo grandissime attese affinché il mandato sia modernizzato per il mondo digitale in cui siamo immersi, ovvero tenendo conto di come sono evoluti i bisogni della società.