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‘Minacce e mobbing in ditta’, ma la Guess li licenzia

I vertici della società di Bioggio inviano la disdetta a una ventina di lavoratori che hanno avuto il coraggio di segnalare soprusi e angherie

L’azienda di moda è insediata nella zona industriale di Bioggio
(Ti-Press)
17 ottobre 2024
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Oltre al danno la beffa. Sono poco meno di venti i lavoratori che hanno ricevuto la disdetta dalla Guess di Bioggio, dopo aver subito – denunciano i dipendenti – «ripetute minacce, mobbing, discriminazioni di genere e di natura estetica, molestie e continue ritorsioni». La loro colpa? Aver segnalato al presidente della Guess, alle risorse umane dell’azienda, al sindacato e al laboratorio di psicopatologia cantonale una situazione inaccettabile che si protraeva da diversi anni, durante i quali, tra l’altro, singolarmente, sono arrivati a sentirsi dire: “Schiavi”, “Devi morire per Guess”.

Dal burnout alla depressione

Abbiamo incontrato personalmente una delegazione di questi dipendenti. Tutte le testimonianze sono convergenti e puntano il dito contro la figura del vicepresidente, che avrebbe pure allungato le mani su parti intime di alcune sue sottoposte, rivolgendo loro avance sessuali. Il clima di terrore in azienda si traduceva per questi dipendenti, ben prima del licenziamento, in malesseri psicologici, dal burnout alla depressione, dagli attacchi di panico all’ansia e allo stress. I problemi di salute si sono acuiti dopo gli ultimi accadimenti e sono certificati addirittura dal medico dell’assicurazione dell’azienda che, in diversi casi, nel referto ha riportato nero su bianco l’inabilità di lavoro al 100% per Guess, ma ha ritenuto il dipendente abile all’occupazione al 100%, solo però al di fuori dell’azienda.

‘Sopportate o andate dallo psicologo’

Passiamo alle testimonianze. Dapprima un lavoratore ci racconta come si è giunti alle varie disdette del rapporto di lavoro. «Le angherie nei nostri confronti sono cominciate alcuni anni fa. Protagonista è il vicepresidente che si è comportato in modo scorretto, con minacce di licenziamento, facendo mobbing e avance di natura sessuale alle sue sottoposte e assumendo atteggiamenti che ci hanno penalizzato e umiliato a livello professionale e personale. È arrivato a violare più volte la vita privata di ognuno di noi, chiamandoci e inviandoci messaggi in piena notte». Per quali ragioni non avete segnalato queste prevaricazioni prima? «Sapevamo che lui era considerato un intoccabile e avevamo paura di ripercussioni e di perdere il posto di lavoro», risponde il nostro interlocutore. «Più volte abbiamo tentato di appellarci alle risorse umane riportando la nostra situazione, di cui si sono sempre dichiarati a conoscenza, ma per cui hanno sempre sostenuto di non potere intervenire. “Sopportate”, “Andate dallo psicologo”, ci siamo sentiti dire. In diverse occasioni i nostri colloqui con le risorse umane venivano riportati al vicepresidente e questo si traduceva in un inasprimento dei suoi abusi», gli fa eco un’altra collega.

‘Discrezionalità garantita, poi disattesa’

La situazione negli ultimi tempi è perfino peggiorata. «Gli insulti e le minacce plateali di licenziamento sono diventati quotidiani. Li proferiva anche di fronte a persone esterne. Abbiamo interpellato e riferito tutto al presidente della società, che ci ha risposto di essere al corrente e di tenere monitorata la situazione coinvolgendo anche il settore delle risorse umane, cosa che abbiamo fatto. Poi il vicepresidente è stato ammonito. Tutti gli abusi che abbiamo subito sono stati raccolti e messi a verbale in un fascicolo di circa 150 pagine, registrazioni comprese. Al personale era stata garantita la massima discrezionalità». In seguito, cos’è successo? «Lo scorso maggio, il presidente ci ha chiesto il resoconto scritto e dopo qualche tempo il vicepresidente è stato sospeso a tempo indeterminato. A inizio giugno, il presidente ha comunicato il reintegro del vicepresidente a seguito di un percorso psicologico già intrapreso, con la promessa che una persona lo avrebbe costantemente affiancato in presenza dei dipendenti per arginare gli atteggiamenti di prevaricazione. Tuttavia lo stesso giorno, nonostante gli fosse stato posto il divieto di recarsi in azienda, il vicepresidente si è presentato e ha abbracciato e baciato una sua sottoposta nei corridoi. È quindi apparso chiaro che non ci fosse alcuna propensione a una sua redenzione e si è innescato un clima di ansia e stress ancora maggiore, anche perché la discrezionalità che ci avevano garantito, quando abbiamo raccontato i vari soprusi subiti, è venuta meno».

Violenza psicologica

I responsabili del settore delle risorse umane hanno nel frattempo cambiato atteggiamento e il presidente ha mantenuto la propria posizione «nonostante una lettera, presentata sotto forma di petizione e sottoscritta da una ventina di colleghi, che gli abbiamo inviato per chiedere supporto». Tornando alle prevaricazioni, «il vicepresidente imponeva un clima di violenza psicologica, faceva discriminazioni sull’aspetto fisico, in particolare delle donne. Verso alcune ha pure allungato le mani. Per evitare il mobbing, le donne incinte non potevano dirlo e venivano demansionate al rientro in azienda, nemmeno si poteva annunciare il matrimonio». «La volontà di tenere al guinzaglio il personale e di manipolarlo psicologicamente», continua un altro dipendente «era voluta. Il vicepresidente spostava a suo piacimento e senza motivi persone da una categoria di prodotto a un’altra, da una postazione all’altra, da un responsabile all’altro. Il suo obiettivo era di isolarci e metterci gli uni contro gli altri. La pressione e le ritorsioni erano continue. Questi comportamenti hanno generato incertezza e insicurezze tra i colleghi. Abbiamo pure fatto presente che il vicepresidente causava perdite economiche all’azienda, ma non c’è stato nulla da fare. Contro tutti i principi e i valori sul benessere veicolati dall’azienda, a essere penalizzati siamo stati noi, che abbiamo subito un’ingiustizia solo perché abbiamo parlato di una situazione che era nota al presidente e l’azienda non si è assunta le proprie responsabilità».

‘Un insulto al partenariato sociale’

Stando alle circostanze denunciate dai nostri interlocutori ci sarebbero gli estremi per sporgere una denuncia penale. Dal punto di vista sindacale invece, Paolo Coppi, vicesegretario di Ocst per la sede del Luganese parla di una situazione intollerabile: «Difficile commentare una situazione del genere. Pensare di risolvere un problema così profondo licenziando i collaboratori che hanno coraggiosamente fatto emergere anni di vessazioni è un insulto al partenariato sociale e un attacco alla pace sul lavoro. È gravissimo. Naturalmente piena solidarietà va a questi lavoratori che hanno dimostrato grande valore nel denunciare ogni cosa proteggendo in questo modo tutti gli altri colleghi».

Abbiamo chiesto una presa di posizione ai vertici dell’azienda ma, ieri pomeriggio, non abbiamo ricevuto risposta ai numerosi tentativi di contatto telefonico. Come detto, è stato coinvolto anche il Laboratorio di psicopatologia del lavoro, un servizio rivolto alle persone che manifestano un disagio o presentano problemi a causa di una situazione lavorativa difficile o problematica quale disoccupazione, precarietà, conflitti sul posto di lavoro, mobbing/molestie, burnout/stress, licenziamento. Interpellato da ’laRegione’, il servizio non ha confermato di essere stato chiamato in causa.