Guess entra a far parte del circuito del Plan B e accetterà anche i Lvga Points. Ma non dovevano essere un aiuto per il commercio locale?
A inizio anno avevamo discusso di criptovalute e Lvga Points con Pietro Poretti, direttore della Divisione sviluppo economico della città di Lugano. Da quella conversazione era emerso che i Lvga (criptovaluta emessa ufficialmente dalla Città il cui valore è ancorato a quello del franco), fossero innanzitutto uno strumento di promozione per i piccoli commerci locali, dal momento che essi possono essere spesi unicamente presso i partner che si trovano a Lugano. Il 22 marzo scorso, la Città ha però annunciato che tra questi partner è stato arruolato Guess, il celebre marchio di moda con sede principale a Bioggio (che non è proprio Lugano ma ci siamo vicini). Si tratta di un cambiamento di strategia da parte del progetto di MyLugano o di una sua evoluzione?
«Abbiamo quasi raggiunto i 350 Pos attivi in città – spiega Poretti –, segno che il progetto sta crescendo. Il numero di commercianti affiliati è aumentato, così come la loro diversificazione: una cinquantina sono bar e ristoranti, poi ci sono i rivenditori al dettaglio e i servizi rivolti alla persona, come ad esempio i parrucchieri». I Lvga Points, lo ricordiamo, permettono di ricevere il 10 percento di cashback sugli acquisti eseguiti (con qualunque valuta) presso questi commercianti. In altre parole, se si spendono 10 franchi in un negozio, è possibile ricevere un franco in Lvga Points sulla propria app MyLugano, che sarà a sua volta spendibile presso gli altri affiliati. E la possibilità di ricevere questo sconto costituisce certamente il punto forte dell’operazione: lo dimostra il fatto che ogni giorno vengono effettuate migliaia di transazioni, molte delle quali, si stima, sono appunto legate alla restituzione del cashback.
Tra questi affiliati però non è presente la grande distribuzione. «Questo circuito è pensato innanzitutto come un programma di fidelizzazione – specifica –, e le grandi catene hanno già i loro metodi». L’app MyLugano e il susseguente utilizzo dei Lvga Points, la cui nascita precede lo stesso Plan B, era stata infatti inizialmente pensata per andare in aiuto dei piccoli commerci locali, messi in difficoltà dalla pandemia, offrendo un incentivo alle persone per spendere di più in questi negozi.
Come molti sapranno, Guess non rientra proprio nella categoria dei piccoli commerci locali, e i prezzi dei suoi prodotti, che superano talvolta le diverse centinaia di franchi, offrono la possibilità di ricevere un cashback ben superiore al franchetto. Viene dunque da chiedersi cosa ne venga in tasca a questo marchio internazionale. «Innanzitutto c’è la volontà di far parte di un progetto legato al territorio – spiega Robert Bregy, segretario comunale –. Poi c’è l’aspetto della visibilità, perché non dimentichiamo che quando il McDonald’s è entrato a far parte del circuito, ad accettare i Lvga e a dare il cashback, la notizia ha fatto il giro del mondo e la loro immagine ne ha guadagnato». Un altro vantaggio è quello costituito dalle tasse di commissione, gratis per i primi tre mesi poi diventano dell’uno percento, applicate alle transazioni effettuate mediante i Pos, che sono essi stessi forniti gratuitamente. Le commissioni vengono dunque riscosse dalla società che fornisce i Pos stessi, un’azienda slovena con sede anche a Lugano.
E tra i membri illustri potrebbe tra poco giungere un altro grande nome del fashion, questa volta di lusso: Bally, la casa di moda elvetica con sede a Caslano (ancora, non proprio Lugano ma quasi), avrebbe infatti dimostrato la seria intenzione di entrare a far parte del Plan B, e i piani alti dell’azienda starebbero ora vagliando l’offerta della Città. E con l’entrata di un brand di lusso, si può quindi desumere che MyLugano non sia più destinata solo ai piccoli commerci. «Per l’adesione al circuito non ci sono in realtà molti paletti – continua Bregy –. L’unico vero requisito è quello di avere una presenza o una sede a Lugano. Non ci sono limiti legati alla dimensione dell’azienda o al numero di collaboratori, ma siamo aperti a ogni tipo di attività economica presente sul territorio».
Con l’entrata di Bally e Guess, viene automatico pensare che il passo successivo sarà l’ingresso di altri negozi di via Nassa. E nella via del lusso, il 10 percento di sconto acquisisce tutto un altro valore. «Se si accetta di offrire uno sconto tramite l’app, questo dev’essere del 10 percento – afferma Poretti –. Iniziare a concedere eccezioni su questo punto va contro il nostro obiettivo di uniformare l’offerta. Abbiamo però ricevuto delle sollecitazioni su questo aspetto, e pertanto abbiamo deciso di fissare un tetto massimo di sconto a 500 franchi».
«Il numero di commercianti affiliati in via Nassa sta aumentando, anche se inizialmente il progetto non era rivolto a loro – continua –. E con il progetto di rendere la via interamente ’crypto-friendly’, vi è sempre un maggiore interesse verso il Plan B e MyLugano, in particolare grazie al Pos, che permette di accettare sia i Lvga che altre criptovalute come i Bitcoint e Usdt».
Con questi grandi marchi che si avvicinano al progetto e oltre 9mila wallet (portafogli virtuali) attivi, MyLugano appare sempre di più come uno strumento di uso più comune. Un grande numero di wallet attivi implica anche un gran numero di dati a cui attingere, non da ultimo i dati d’identificazione personale (come ad esempio la foto del documento d’identità), necessari per utilizzare l’applicazione. Questi dati però, rassicura Bregy, non sono in alcun modo per la profilazione degli acquisti. «Questi dati – chiarisce Poretti – sono necessari ai fini delle normative antiriciclaggio. Abbiamo delle regole molto severe riguardo l’utilizzo di questi dati, tutte consultabili sul nostro sito».
Mentre MyLugano è un’applicazione controllata dalla Città, e che quindi difficilmente si presta ad attività di riciclaggio anche con importi molto alti, lo stesso non si può dire degli acquisti fatti usando i Bitcoin. Un problema di cui la Città è cosciente, ma a cui non è stata per il momento in grado di trovare una soluzione. «Ora come ora – conferma Poretti –, l’unica persona che può impedire un acquisto effettuato con delle criptovalute di dubbia provenienza è il commerciante stesso». Si stanno però effettuando dei passi per cercare di regolamentare la situazione, e dal momento che a dicembre l’Organismo di autodisciplina dei fiduciari del Canton Ticino (Oad Fct), ossia l’ente a cui si era rivolta la Città, aveva confermato a ‘laRegione’ che non si sarebbe occupata di criptovalute (ma accettando comunque di lavorare con i Lvga), Lugano ha deciso di rivolgersi a qualcun altro. «Al momento stiamo prendendo contatto con un altro organismo di autodisciplina con sede in Ticino» conclude Poretti.