Il giovane: ‘C’erano solo cinque anni di differenza, non pensavo fosse un reato’. La Corte delle Assise criminali di Lugano gli ha inflitto trenta mesi
«C’erano solo cinque anni di differenza, lei avrebbe compiuto 16 anni nel giro di pochi mesi, non pensavo fosse un reato». E invece lo è: un 22enne, all’epoca dei fatti 20enne, è stato condannato oggi per ripetuti approcci sessuali nei confronti di una 15enne tra fine 2022 e fine 2023. La Corte delle Assise criminali di Lugano gli ha inflitto trenta mesi, pena comunemente proposta dal procuratore pubblico Alvaro Camponovo – al suo debutto in aula – e dall’avvocata Ioana Mauger, in quello che si è rivelato quasi un processo abbreviato.
Non ci sono state né requisitoria né arringa, solo un interrogatorio relativamente lungo durante il quale il giovane – uno svizzero domiciliato nel Mendrisiotto – ha ammesso i fatti, si è detto pentito di quanto fatto e si è scusato più volte con le vittime. E ha spiegato le proprie ragioni dinanzi alla Corte, composta da Mauro Ermani (presidente), Monica Sartori Lombardi e Luca Zorzi (giudici a latere). «Sapevo che mancasse qualche mese ai suoi 16 anni. A mio modo di vedere non c’era una differenza di età esagerata e pensavo che se ci fosse il consenso non fosse reato. Prendo atto che non è così. Ma non sono attratto dai minori: mi piacciono le donne, non le bambine». Gli approcci si sono consumati tutti in circa due settimane nel periodo natalizio, non sfociando mai in rapporti completi, ma al massimo in uno orale.
«Quel che mi preoccupa non è tanto il reato di atti sessuali con fanciulli, che contempla un grande ventaglio di casistiche e che nel caso concreto è legato alla differenza di età che effettivamente non era così ampia», la valutazione di Ermani. «Mi preoccupa di più il punto 4 dell’atto d’accusa (ossia il reato di pornografia dura, ndr), lei sembra provare attrazione sessuale nei confronti delle minori». Il reato è dovuto all’utilizzo da parte dell’imputato di un filtro di ‘Snapchat’ applicato al volto della sua compagna su un filmato intimo che ritrae un rapporto sessuale. «Non è così – ha replicato il 22enne –, ho diversi filmati sul mio cellulare con effetti di questo tipo e anche in questo caso non credevo che fosse un reato. Chi abusa dei ragazzini mi fa ribrezzo».
Lunga, ancora, la lista di imputazioni nell’atto d’accusa: ripetuta estorsione ad esempio, per aver in più occasioni in zona Pensilina Botta e centro città minacciato dei ragazzini per farsi dare soldi o altri oggetti di valore, o furto di lieve entità e infrazione alla Legge sulla dissimulazione del volto negli spazi pubblici, per aver derubato (50 franchi di refurtiva) un minorenne con un passamontagna. Poi: somministrazione a fanciulli di sostanze pericolose per la salute, per aver fatto bere vodka a un altro 15enne, nonché infrazione e contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti. E proprio il consumo di droga appare uno dei problemi principali del 22enne.
«A 12 anni consumava già marijuana, a 15 cocaina e altre droghe chimiche» ha ricordato Ermani, al punto che al momento dell’arresto risultava essere una tossicodipendenza pesante e in passato è stato in comunità diverse volte, ma non ha mai funzionato. «Come mai?» ha chiesto il giudice. «Non c’era volontà da parte mia. Invece ora, dopo un anno e mezzo di astinenza (forzata, ndr) e grazie al trattamento che seguo in carcere, mi sono reso conto del degrado al quale ero arrivato. Ho realizzato il male procurato alla mia famiglia, i rapporti rovinati». Sulle estorsioni, l’imputato ha ricordato che «in passato sono stato vittima di bullismo, mi succedevano queste cose e davo per scontato che fosse la normalità». «Ma lei stava bene quando era vittima di bullismo?», l’ha incalzato Ermani. «No. So di aver sbagliato. Non ero in me, ero completamente un’altra persona, sotto l’effetto di farmaci e sostanze. Oggi non rifarei niente del genere. Mi dispiace per le vittime e per le loro famiglie».
Il giovane ha inoltre ripercorso il proprio vissuto difficile, senza genitori biologici e inserito in una famiglia affidataria, si è presto «circondato di persone più grandi, che idolatravo e che pensavo potessero aiutarmi e invece hanno solo peggiorato la situazione. Ho iniziato a delinquere per sentirmi parte di qualcosa, non mi rendevo conto che fosse qualcosa di cui vergognarmi». La Corte, come detto, ha accolto la proposta di pena congiunta di pubblica accusa e difesa, sottolineando alcuni aspetti: «La libertà non è lontana, ma è prematura. La prognosi non è positiva in assenza di un trattamento ambulatoriale, inoltre non vi è un progetto concreto che possa accoglierlo in libertà e quindi occorre procedere per gradi, anche se i diciotto mesi già trascorsi in carcere non sono pochi» ha concluso Ermani, augurandosi che il condannato sia posto in regime di carcere aperto, nell’attesa che sia preparato per lui un progetto di reinserimento.
Ermani, dunque, ha regolarmente presieduto il procedimento odierno. Un aspetto non necessariamente scontato, viste le recenti polemiche che hanno investito il Tribunale penale cantonale (Tpc). Da un lato, la denuncia dei giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti nei confronti dei colleghi Amos Pagnamenta, Marco Villa e, appunto, Ermani. Dall’altro, un’immagine emersa dall’incarto della querela. Un’immagine presa da internet, che ritrae una donna seduta in mezzo a due peni giganti di plastica con la scritta ‘Ufficio penale’ aggiunta sulla foto, inviata da Ermani via WhatsApp alla segretaria presunta vittima di mobbing da parte di una collega. Fatti che hanno suscitato preoccupazioni da parte del Consiglio della magistratura. E in particolare un grande clamore politico, con il Movimento per il socialismo (Mps) che ha chiesto al Gran Consiglio di attivare l’Alta vigilanza. Non solo. L’Mps ha chiesto al presidente del Tpc di non celebrare il processo di oggi ritenendo, vista la fattispecie legata agli atti sessuali, la presenza del giudice “inopportuna e provocativa”. Invito che non è stato colto: il giudice ha invece celebrato il processo apparentemente tranquillo.